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Quando lo scarabeo non c'era

Al Parco naturale della Mandria, dallo scorso giugno, ha preso avvio il monitoraggio dell'Osmoderma, un coleottero che ha trovato dimora nel viale monumentale del parco. Ecco perchè è importante monitorarlo.

 

  • Daniele Pesce
  • Settembre 2018
  • Lunedì, 29 Ottobre 2018
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 Foto D. Pesce Foto D. Pesce

C'è stato un periodo nella storia della Terra in cui se ci fossimo addentrati nella foresta avremmo potuto calpestare dei millepiedi lunghi e grossi come dei cobra. Stiamo parlando delle foreste del Carbonifero, più di trecento milioni di anni fa, per fortuna.

Ora soffermiamoci su un aspetto paleoecologico: questi esseri dovevano avere le stesse necessità abitative degli attuali millepiedi. E i millepiedi sono degli erbivori che abitano la lettiera umida. Quindi nel Carbonifero le lettiere dovevano essere spesse un paio di metri! Costituito da ammassi di tronchi di licopodi e fronde di felci, si tratta del materiale torboso che poi, trasformatosi in carbone, ha permesso all'umanità il salto tecnologico che, in ultimo, ha permesso di poter scrivere questo pezzo con un editor di testo.

Come sia stato possibile avere una tale produttività forestale nel Carbonifero, e solo in quel periodo lungo tutta la storia della Terra, è uno dei misteri della paleoecologia. Secondo le ultime ricerche, però, non si trattò tanto di elevata produttività del sistema forestale quanto di scarsa efficienza della comunità di organismi incaricati della degradazione del materiale organico.
Insomma il materiale legnoso si accumulava sul suolo perché non c'era un modo veloce di riciclarlo. La prova paleontologica si può ritrovare osservando che nelle torbe fossili carbonifere è possibile riscontrare la conservazione di strutture vegetali molto delicate, strutture che si conservano solo molto raramente e male nelle torbe più recenti. Siccome negli ecosistemi forestali gran parte dei nutrienti deriva dal riciclo delle biomasse grazie all'interazione tra batteri, funghi e invertebrati detritivori, una bassa capacità di decomposizione comporta suoli poco fertili e bassa produttività. Quindi le foreste del Carbonifero erano in realtà ben poco produttive poiché la comunità dei decompositori era relativamente inefficiente, soprattutto nella degradazione della lignina, l'ultima trovata dell'evoluzione botanica.

C'è coleottero e coleottero!

Una delle teorie, ancora molto in voga, afferma che la velocità di degradazione cominciò ad aumentare, verso la fine del Carbonifero, grazie all'apparizione di funghi lignivori. Ma c'è abbondante prova che tali funghi già esistevano a metà del periodo, senza gran risultati. Chi non c'era, era la comunità dei decompositori e perforatori del legno di tipo moderno. Stiamo parlando di coleotteri, termiti, formiche, vespe (Siricidae) e mosche (Xylomidae), apparsi nel periodo successivo al Carbonifero, il Permiano. Tutti questi animali accelerano la decomposizione del legno soprattutto frammentando le parti grossolane ed aumentando così esponenzialmente la superficie attaccabile da funghi e batteri.
Gli animali che scavano gallerie nel legno, anche solo per riparo, hanno lo stesso effetto. Anche le feci dei detritivori creano un ambiente particolarmente favorevole, anzi molte comunità batteriche sono sostanzialmente dormienti finché non ingerite ed espulse. E così via, le interazioni sono innumerevoli e forse non ancora comprese del tutto. Fortunatamente, come i lettori di Piemonte Parchi sanno bene, le querce secolari del parco La mandria ospitano una popolazione di Osmoderma eremita ( http://www.piemonteparchi.it/cms/index.php/parchi-piemontesi/item/2064-alla-mandria-il-viale-monumentale-del-coleottero-eremita ), uno dei più specializzati, ma anche dei più minacciati, coleotteri tra quelli che si occupano di digerire il legno.

Ora, siccome l'efficienza e quindi la salute del sistema forestale è direttamente proporzionale al numero di artropodi presenti nella lettiera, nella rosura, nel legno morto, sorge la necessità di valutare la consistenza di questa popolazione. Quindi, lo scorso giugno l'Ente parco ha cominciato un monitoraggio mediante trappole di cattura nell'ambito del progetto InNat ( http://innat.it/wp-content/uploads/2018/06/Monitoraggio_Osmoderma_eremita.pdf ). Nelle foto le operazioni di messa in posto delle trappole e... la prima cattura! Forse è presto per il ritorno del millepiedi gigante.

 

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