Il 19 e il 20 marzo del 1904 viene organizzato un evento che contribuirà a cambiare la montagna piemontese. Da quel momento in poi l'immaginario con cui si guarderà le terre alte, sarà segnato da due tracce sottili su sfondo bianco e ben presto lo stesso paesaggio sarà interessato da massicci interventi che caratterizzeranno i decenni a venire. Ma procediamo con ordine e torniamo alla sera del 18.
Il ritrovo è fissato a Oulx in alta val Susa: la maggior parte dei partecipanti arriva con la ferrovia, alcuni raggiungono il luogo dell'appuntamento «col rauco suon della pneumatica tromba». Nella notte, alle 2,30, con le vetture, si raggiunge Cesana. Da quest'ultima località si preparano sette slitte e - alle 5 di mattina - si inizia la salita verso il Colle del Sestrières. Giunti al Baraccone del colle «fu bentosto un intenso scalpiccio di scarponi ferrati, uno sbatacchiamento di ski, e soprattutto un vocìo, cui l'effetto benefico dell'aria frizzante sugli stomachi vuoti, dava un'intonazione uniforme».
Inizia ufficialmente il Primo Convegno Nazionale degli Skiatori. Skiatori non è un errore di battitura, perchè questi pionieri degli sport invernali utilizzavano ai loro piedi degli ski.
Conosciuti da molto tempo, soprattutto nei Paesi nordici (e a questo proposito delle belle illustrazioni si trovano nell'opera del 1555 di Olao Magno dal titolo Historiae de gentibus septentrionalibus consultabile online), in Italia approdano più tardi: «Lo ski venne introdotto in Italia dall'ingegnere Adolfo Kind, il quale fece bentosto una buona messe di proseliti fra i militari e fra gli alpinisti; nel 1901 riusciva a fondare in seno al Club Alpino, a Torino, il primo Ski-Club, con lo scopo di diffonderne l'uso, popolarizzarlo, facendone apprezzare l'utilità sia dal lato alpinistico del divertimento, sia dal lato pratico delle comunicazioni».
Seguiamo l'evolversi della manifestazione attraverso la voce della Rivista Mensile Club Alpino Italiano del 1904, lasciandoci un po' trasportare dal linguaggio aulico del tempo: «Se è vero che la poesia dell'Alpe si sprigiona in modo più intenso nell'alta solitudine, nel silenzio che incombe sulle eccelse regioni, l'inverno è, senza dubbio, la migliore stagione dell'anno per assaporarne la squisita essenza. La neve ha tutto coperto; sui prati, sui boschi, sulle creste, sui brecciai, nelle valli, dovunque, la bianca ancella dell'inverno stende livellatrice, padrona assoluta, il soffice suo mantello. Soltanto nei dintorni dei casolari abitati c'è qualche traccia che rompe l'uniforme candore: è il montanaro che va al vicino bosco a fare legna, o il cacciatore che sorte di buon mattino per sorprendere la volpe o la lepre bianca. Ma son tracce sottili, presto sperdute. A volte passa, come un soffio, un qualche rumore, reso dolce, soffice anch'esso, come i fianchi della montagna che lo ripercuotono: è il rintocco d'una campana, o il latrato d'un cane. Altro non si sente. Il torrente brontola sommessamente e il ruscelletto non canta più: il freddo l'ha irrigidito. Una volta quelle regioni rimanevano, durante lunghi mesi, chiuse per l'uomo; di rado, un ardimentoso, l'alpinista, tentava penetrarne il mistero; ma i disagi, le fatiche enormi per transitare su quei pendii di neve farinosa, polverulenta, in cui alle volte si affonda fino alla cintola, avvelenavano il piacere della gita. Erano tentativi che stancavano; la montagna d'inverno non era ancor ben domata. Alcuni anni or sono un fremito si insinuò per quelle gelide, solitarie plaghe. Un qualche cosa di strano, di fantastico, era passato, ratto come una visione, leggero come la nuvoletta di nevischio che l'avvolgeva. I buoni spiriti della montagna, che, all'appressarsi della inusata meteora, si erano appiattati sotto le ombrelle dei pini, uscirono poi timorosi e guardinghi, e videro sulla bianca superficie nevosa due strisce parallele, uniformi, continue, come due rotaie di una ferrovia, e di quando in quando delle buche ampie, sconvolte: le stazioni. La meteora ritornò, si moltiplicò di puntini vivaci e di grida giulive quei campi già immacolati, e che ora lascia striati in ogni senso dei più matti disegni; la montagna invernale ha trovato il domatore».
Con queste parole, la preziosa cornice del quadro è pronta, ora occorre colorare la tela: «Sbrigata rapidamente la colazione di squisito latte, gli skiatori si affrettano a calzare i loro lunghi arnesi, ed a lanciarsi alla pazza voluttà di lunghe scivolate sui pendii dolci e ondulati del colle, che fanno di Sestrières un campo davvero ideale per le esercitazioni. (...) Una gaia animazione regna tutt'attorno al Baraccone, presso cui un gruppo di valligiani si gode l'inusato spettacolo. A gruppi, alla spicciolata, gli skiatori invadono le pendici; l'aria è piena delle grida di chi corre e di chi capitombola; e son risa matte dei vicini a veder i caduti sbattersi nella neve farinosa, dimenando furiosamente in alto le gambe impacciate dalle lunghe, strane appendici; e le risa aumentano quando, riapparsi dopo mille contorcimenti, i caduti si presentano come infarinati dalla testa ai piedi, traballanti nell'affannosa ricerca di un equilibrio, ahi! Troppo instabile».
È in questi momenti che si inaugura purtroppo anche la stagione degli infortuni: uno degli organizzatori si procura una distorsione al ginocchio sinistro e deve mestamente abbandonare l'attività per essere trasportato su una slitta a valle.
Verso le 11 viene servita un'abbondante colazione, dopodiché, mentre i novizi ridiscendono, 25 persone partecipano all'escursione organizzata per raggiungere la cima del Fraitève: «In breve si sparpagliarono su pei declivi della montagna; i primi pendii piuttosto ripidi furono superati con degli ampi zig-zag; più in su, la pendenza essendosi raddolcita alquanto, si proseguì direttamente, sia per la faccia sud-est, sia per la cresta est, in alcuni tratti già spoglia di neve. La temperatura era quasi calda, per modo che tutti camminavano in maniche di camicia; la neve si mantenne dovunque buona; soltanto sulla cresta, dove spirava un venticello fresco, c'erano dei brevi tratti gelati. Giunti i primi salitori in cima alle 15, poco alla volta vengono raggiunti da tutti i partecipanti: si inalberò la bandiera tricolore, salutata da un triplice "urrah!", si ammirò il panorama che, da quell'altura, e con un'atmosfera tersa e limpidissima, si presentava davvero imponente, e poi, sollecitati da una brezza che tendeva a rinfrescarsi, si tolse il campo; la neve continuava ad essere in condizioni eccellentissime, cosicché ognuno, secondo il proprio gusto, e le proprie attitudini, aveva modo di aggiustarsi una discesa più o meno ripida, dilettevole sempre. Ed in verità è nella discesa che si provano le più gradevoli emozioni degli ski: o scendendo i pendii direttamente, variando la posizione del corpo e delle gambe, col variare dell'inclinazione, o tagliandoli di sbieco, ritornando poi al momento opportuno con una bella curva, contro la prima direzione, il piacere della velocità assorbe, trasporta. La ruvida carezza del vento, o quella ancor più ruvida di qualche ramoscello che non si è fatto a tempo di schivare, non guastano il piacere; lo guastano un poco certi violenti arresti che si provano, quando, improvvisamente e nel momento più bello d'una volata, ci si trova colla testa tuffata nella neve, e le gambe in aria aggrovigliate negli ski; il cambiamento di posizione è, se non doloroso, supremamente fastidioso, e non è a dire se qualche maledizione sia stata confidata sordamente nella neve in quel faccia-faccia, da cui non è tanto facile staccarsi; ed occorre invece non poca calma per rendersi conto della posizione in cui ci si trova, e di quanto occorra fare per togliersene; finalmente si è di nuovo in piedi; una buona squassata di tutto il corpo come fanno i cani, e poi via di nuovo di corsa ... fino ad un'altra caduta».
A Cesana gli sciatori provetti e i novizi, si ritrovano insieme: «Qui tutta la brigata si radunò all'albergo dello Chaberton, che servì un buon pranzetto, e poi, a digestione iniziata, e salutati i colleghi che scendevano coll'automobile a far da battistrada, si ripresero le vetture che riportarono ad Oulx, a godersi negli alberghi delle Alpi Cozie, del Commercio, della Corona Grossa e del Leon d'Oro, un riposo ben meritato. Il giorno successivo il programma prevede alcune prove di salto: scelto un pendio uniforme, non troppo ripido, che termini al basso con leggera curva in piano, si forma verso il mezzo uno scalino di neve ben battuta. Questo scalino deve essere sufficientemente alto da permettere al saltatore, mentre è librato in aria, di capovolgersi con tutto suo comodo; e il pendio di sotto deve essere ben liscio, affinché chi salta, possa scavarci dentro delle grandi buche, che sono una vera consolazione per chi vien dopo. (...) I valligiani si erano mossi anch'essi, e uomini, ragazzetti e donne, queste con la caratteristica bianca cuffia, si affollavano presso il salto, insieme ai colleghi nostri non provvisti di ski, che erano saliti anch'essi a godersi la montagna. (...) Come dire quel che si prova? Non si può; i piedi accostati e paralleli, uno alquanto più avanti dell'altro, le gambe tese, il corpo leggermente piegato innanzi, le braccia aperte a bilanciere, e si va; il pendio è ripido, la corsa è vertiginosa, l'aria frizzante accarezza la faccia, fischia attorno alle orecchie, una bianca nuvola di nevischio ribolle attorno agli ski, come l'onda sulla prua della nave; leggere grida di piacere sfuggono dalle labbra, e si va, e si fila, finché si arriva come freccia in fondo, sul piano, dove a poco a poco l'abbrivio diminuisce, si calma, s'arresta. Il salto, poi, è un piacere ancora più raffinato, più vigoroso; ma fatte poche eccezioni, rappresenta ancora un'incognita, di cui si cerca invano la soluzione in fondo a quelle immense buche di cui si seminano i pendii».
Il successivo pranzo annuncia l'imminente fine del convegno; terminati gli assaggi delle diverse portate, esauriti i discorsi, i partecipanti si salutano l'un l'altro con la promessa di rivedersi, di ritrovarsi, per rivivere quei momenti trascorsi sulle montagne piemontesi.
Le immagini sono tratte dalla Rivista Mensile Club Alpino Italiano del 1904.