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Villa dei Laghi, storia di una Cenerentola

Situata nel cuore del Parco della Mandria, la tenuta 'Villa dei Laghi' è nota per essere un angolo di paesaggio fiabesco, voluto da Vittorio Emanuele II e successivamente all'estro del paesaggista Pietro Porcinai. I quattro laghi artificiali che la adornano, ai tempi del Re, erano limpidi e ospitavano lucci guizzanti ma, ultimamente, erano diventati di un colore verde-fango e ospitavano carpe sonnacchiose. Oggi, un restauro ecologico durato due anni, cerca di riportarli all'antico splendore.

 

  • Daniele Pesce
  • Aprile 2021
Giovedì, 1 Aprile 2021
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Veduta area di Villa dei Laghi, Parco La Mandria | Foto archivio Ente Parchi Reali Veduta area di Villa dei Laghi, Parco La Mandria | Foto archivio Ente Parchi Reali

La tenuta della Villa dei Laghi, nel Parco La Mandria, è nota per essere un angolo di paesaggio romantico con una nota di fiabesco, accentuata qualche anno fa per essere stata scelta come casa di Cenerentola nella produzione RAI della Cenerentola di Rossini.

I laghi che caratterizzano la tenuta sono ben quattro: Grande, Cristoforo (per via di una statua di Cristoforo Colombo sulla sponda), Strada e Superiore, detto anche delle Anitre. Dobbiamo questo angolo pittoresco, i laghi sono infatti tutti artificiali, al capriccio di Vittorio Emanuele II e successivamente all'estro del paesaggista Pietro Porcinai.

La Villa dei Laghi non è attualmente fruibile ma a breve partiranno i lavori per consentire l'uso al pubblico della manica anteriore. Forse non è cosa nota ma anche i laghi, nel tempo, avevano perso il loro splendore e necessitavano di restauro... ecologico.

Ai tempi del Re, i laghi erano limpidi e ospitavano lucci guizzanti ma, ultimamente, erano diventati di un colore verde-fango e ospitavano carpe sonnacchiose. Un cantiere durato due anni ha cercato di riportarli all'antico splendore. Vediamo come.

Di questo paradiso di biodiversità non rimaneva traccia, come si è potuto costatare svuotando i bacini: una desolante assenza di qualsiasi vegetazione e un forte interramento aveva ridotto fortemente la profondità che, nel Lago Grande, raggiungeva un tempo addirittura i nove metri.

Cosa era successo? L'habitat dei laghi piatti è tipicamente instabile e, come la zucca che diventa carrozza nella favola, può oscillare bruscamente tra due stati di equilibrio: uno dominato da vegetazione acquatica a macrofite e acque chiare, l'altro in cui il fitoplancton è prevalente e le acque sono torbide. Questo secondo stato comporta tutta una serie di effetti collaterali negativi.

La conversione degli ecosistemi 

Innanzitutto, visto che non era più possibile ricorrere alle arti magiche della Fata Madrina, peraltro specializzata in zucche, si è dovuto rimediare con l'ingegneria naturalistica e la manipolazione biologica, sovvenzionati dai fondi europei del Piano di Sviluppo Rurale. Fondi erogati in seguito a un progetto denominato "Restauro naturalistico, eradicazione e contrasto alle specie alloctone, creazione di habitat per l'ittiofauna autoctona e per Emys orbicularis nel Lago Grande presso il SIC La Mandria.

In pratica, si è trattato di convertire un ecosistema in un altro, da zucca in carrozza, insomma. 
Le "zucche" in questione sono i laghi piatti: si definisce un lago come piatto, se la profondità dell'acqua non è mai tale da impedire alla luce di raggiungere il fondo. Se l'acqua è limpida, stiamo parlando di 5-7 metri. Questi laghi sono dunque tappezzati da vegetazione sommersa che forma una comunità detta potameto (dal genere più rappresentativo Potamogeton o brasca) in grado di costituire vere e proprie foreste sommerse (esattamente come fanno le posidonia nel Mediterraneo) con una fauna e una flora epifitica (che cresce su altre piante) associata ricchissima. Oltre il potameto, fino a 10 metri, è ancora possibile la vita vegetale grazie alle alghe del genere Chara.

Di questo paradiso di biodiversità non rimaneva traccia, come si è potuto costatare svuotando i bacini: una desolante assenza di qualsiasi vegetazione e un forte interramento aveva ridotto fortemente la profondità che, nel Lago Grande, raggiungeva un tempo addirittura i nove metri.

Cosa era successo? L'habitat dei laghi piatti è tipicamente instabile e, come la zucca che diventa carrozza nella favola, può oscillare bruscamente tra due stati di equilibrio: uno dominato da vegetazione acquatica a macrofite e acque chiare, l'altro in cui il fitoplancton è prevalente e le acque sono torbide. Questo secondo stato comporta tutta una serie di effetti collaterali negativi.

Innanzitutto è come se l'acqua fosse un brodo di coltura, con alte concentrazioni di fosforo e azoto liberamente disponibili per gli organismi e ciò favorisce le comunità vegetale flottanti - alghe, batteri e fitoplancton - concentrati in superficie a bloccare la luce necessaria per il potameto. E poi, troppa sostanza organica in decomposizione e quindi una ossigenazione insufficiente per molte specie di pesci. Nonché fondali non trattenuti da radici e quindi fango in sospensione... un panorama di morte, insomma, anche se non per tutti!

Arrivano i nostri!

Il cambiamento delle condizioni ambientali ha facilitato l'insediamento di specie ittiche alloctone ad ampia valenza ecologica (vale a dire che si adattano a diversi ambienti) quali il persico sole, il pesce gatto, il persico trota e il pesce rosso a scapito di entità autoctone quali il luccio mediterraneo, il vairone, la sanguinerola, il cavedano e il cobite comune la cui presenza è ora piuttosto rara.

In pratica la catena trofica, molto lunga e complessa (macrofite-invertebrati- pesci onnivori-pesci carnivori) si è accorciata in fitoplancton-zooplancton-pesci onnivori (soprattutto ciprinidi).

Il restauro ecologico si è dunque concentrato sul ripristino dell'habitat delle macrofite sommerse e della comunità dei pesci carnivori. Con un natante dotato di elettrostorditore si è provveduto alla cattura dei pesci separando la componente alloctona e stabulando - cioè mettendo - gli esemplari pregiati in altri bacini del parco.

Le sponde sono state rimodellate posizionando gabbionate di mattoni forati che stanno già ospitando sia il radicamento delle piante sia le ovature e le fasi giovanili delle specie ittiche, al riparo da predazioni. Al di sopra sono state poste delle isole artificiali tipo BioHaven costituite da galleggianti in plastica sostenenti un substrato di crescita per piante palustri, ispirate al ruolo ecologico delle naturali zattere di torba presenti nei laghi nordici, rifugio per l'ittiofauna al di sotto, e sito di nidificazione al di sopra. Con le stesse finalità si provvederà anche a fissare sul fondo degli esemplari di alberi frondosi.

In più saranno creati lungo gli emissari dei laghi dei letti di frega in ghiaia per le specie come le alborelle e delle spiagge artificiali per la testuggine Emys orbicularis che ancora sopravvive in pochissimi esemplari.

I primi risultati

Tra qualche anno, si spera nella stabilizzazione del nuovo habitat. Intanto i laghi sono fruibili con percorsi protetti da nuove barriere visive, per ora di frasche, in seguito costituite da arbusti autoctoni. Ma i primi risultati già si vedono.
Mentre le acque del Lago Cristoforo sono sempre verde-fango (è un bacino a monte, che serve a depurare e laminare le acque provenienti dall'esterno) le acque del Lago Grande sono molto più trasparenti e hanno assunto un colore brunastro dovuto alla comunità di macrofite (soprattutto Ceratophyllum) ricoperte da un sano biofilm.
La trasformazione è in corso e bisogna avere un po' di pazienza. Anche perché il tempo delle favole è finito.

 

 

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