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E l'allocco... sarei io?

Se un rapace potesse parlare, cosa vi direbbe? Sfruttando la conoscenza e i segreti che il mestiere di guardiaparco nasconde, ci siamo traovato 'a tu per tu' con un allocco, veterano tra gli allocchi dei parchi piemontesi. Ecco cosa ci ha rivelato. 

  • Luca Giunti
  • Luglio 2019
  • Martedì, 23 Luglio 2019
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Esemplare di allocco (foto Campora/Galasso | arc. CeDrap) Esemplare di allocco (foto Campora/Galasso | arc. CeDrap)

Sono il veterano degli allocchi dei parchi piemontesi, forse il più saggio. I miei colleghi rapaci, diurni e notturni, mi incaricano sovente di rappresentarli, in occasioni come questa chiacchierata con il vostro insistente guardiaparco. Le creature del bosco conoscono bene l'abilità silenziosa e precisa con la quale catturo di notte i topi nascosti sotto le foglie secche, e le riflessioni un po' malinconiche che maturo contemplando le stelle infinite.
Voi umani, invece, indicate con il mio nome gli sciocchi e i babbei. Forse perché ho la testa rotonda e se vengo disturbato di giorno sembro un po' lento e tardo?
Vorrei vedere voi, a venir svegliati nel pieno del sonno e rimanere vispi e allegri!

Questa incomprensione è frequente nei rapporti tra noi rapaci e voi umani. Pensate alle mie cugine civette, rispettate dagli antichi greci come simboli della dea Atena, protettrici dell'ingegno e delle arti, ma anche ritenute portatrici di sventura e annunciatrici di morte. Ricordate l'aquila reale, simbolo di nobiltà e fierezza, ma minacciata d'estinzione vent'anni fa. Per non parlare del mansueto gipeto: oggi fate una fatica dannata a riportarlo sulle Alpi, con un progetto di reintroduzione internazionale lungo e costoso, ma siete voi che l'avete sterminato a furia di chiamarlo "avvoltoio degli agnelli", e di accusarlo di rapire greggi e persino bambini!
E poi l'allocco sarei io?

La difficile vita di un allocco

Devo ammetterlo, ce l'abbiamo un po' con voi. Ma dovete capirci: questa storia del parco che ci protegge e colloca le cassette nido per la mia amica capogrosso, è recente. Mentre noi abbiamo buona memoria, e abbiamo ancora negli occhi – quegli occhi acuti che ci invidiate tanto – le civette inchiodate ad ali aperte sulle porte delle stalle per proteggervi dal malocchio. Si può essere più stolti, altroché allocchi! E non dimentichiamo che fino al 1977 una vostra legge nazionale ci considerava esplicitamente nocivi - noi che tra tutti mangiamo topi, cavallette, serpenti e vespe - e quindi cacciabili sempre e comunque.
E poi, da anni, il gusto della carne che mangiamo si è trasformato. Avvertiamo il piombo e i pesticidi che si accumulano nei nostri corpi, e rendono fragili le nostre uova. Talvolta ne moriamo, ma gli stessi veleni intossicano lentamente anche voi umani. Avete steso ovunque una rete infinita di cavi, e molti di noi, rapaci notturni ci si schiantano contro, e i più grossi, come il rarissimo gufo reale, si fulminano. Avete rarefatto i nostri habitat ed eliminato tante nostre prede. Siamo rimasti pochi. Tuttavia negli ultimi anni i boschi stanno riprendendo terreno, e diversi colleghi rapaci trovano un buon rifugio persino nelle vostre città, in giardini pubblici o in vecchi edifici.

Amore e odio degli umani

E' strano: vi abbiamo sempre affascinato e intimorito. Sarà invidia per i nostri voli perfetti, o perché dominiamo un elemento dove voi, nella vostra onnipotenza, non arrivate? Infatti il nome che ci avete dato, rapaci, evoca la nostra forza e la nostra velocità. E' di un nostro rappresentante, il falco pellegrino, il record tuttora imbattuto di velocità animale sulla Terra. Eravamo sacri agli dèi presso Egizi, Assiri, Greci, Etruschi, Romani, Inca, Pellerossa. La caccia con i falchi era uno sport nobile, riservato a re e principi: Federico II di Svevia commissionò un'enciclopedia apposta, e si era solo nel 1200. Molti di noi compaiono negli stemmi araldici di duchi e imperatori, e sugli emblemi di diverse nazioni. Ancora oggi siamo protagonisti in film e fumetti, sui monumenti e nel vostro parlare. Quando dite "fare la civetta, essere un avvoltoio, o un vecchio barbagianni, gufare, avere occhi d'aquila", non vi accorgete nemmeno più di quanto siamo radicati nel vostro immaginario collettivo. Usate persino i termini "falchi e colombe" per contrapporre gli spietati ai mansueti, come se in natura una simile separazione avesse un senso.
E poi l'allocco sarei io?

Uomini e allocchi si riconcilieranno?

Negli ultimi anni, però, per noi la situazione è migliorata. Ci sono i Centri di recupero che curano i compagni feriti, i parchi dove stiamo tranquilli, la LIPU che ci aiuta e ci studia. Ma soprattutto è aumentata la vostra sensibilità nei confronti della natura, la vostra preoccupazione per le sorti dell'ambiente. Alla fin fine, noi e voi abitiamo sullo stesso, unico, pianeta. Anche l'idea di queste interviste sulla vostra rivista è segno di attenzione e rispetto. Ci disturbano un po' ma è per una buona causa. E i vostri guardiaparco sanno come prenderci e come ascoltarci. Dovrete senz'altro percorrere ancora molta strada, prima di considerarci riconciliati. I nostri penetranti occhi, rossi, gialli e neri, vi sorveglieranno a lungo, prima di emettere un giudizio definitivo. Citando un vecchio amico, il capo indiano Seattle dei pellerossa Dunawish: "Può darsi che siamo fratelli, dopotutto. Vedremo."

E ora lasciatemi tranquillo. Devo riposare, mi aspettano lunghe notti di caccia in questa calda estate.
Arrivederci a settembre.

 

 

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