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La guerra chimica degli anfibi

Rane, rospi, salamandre, ululoni: ecco come funzionano i loro meccanismi d'offesa e di difesa. Le ghiandole sulla cute producono tossine contro i nemici naturali. E la ricerca lavora su queste sostanze che potrebbero sconfiggere malattie incurabili dell'uomo.

  • Emanuele Biggi
  • Gennaio febbraio 2011
  • Lunedì, 5 Maggio 2014
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Gli animali hanno sviluppato sofisticati meccanismi fisiologici d'offesa o difesa. L'uso dei veleni e delle tossine è sicuramente uno dei sistemi più avanzati, e gli Anfibi hanno fatto della "guerra chimica" la maggiore barriera contro i nemici naturali. Dopo il loro arrivo sulle terre emerse, gli Anfibi iniziarono a fronteggiare milioni di parassiti come funghi, infezioni batteriche e virus di ogni sorta. Presto quindi cominciarono a sviluppare un potentissimo sistema immunitario, che ancora oggi è in piena evoluzione. Buona parte di questo "scudo tossico" è prodotto da ghiandole specializzate che si trovano nella pelle, il maggior vettore di liquidi e ossigeno e quindi il primo bastione contro le malattie. Per questa ragione sembra che molte rane, rospi e salamandre abbiano un serissimo problema di acne. La pelle pustolosa è il primo segno di presenza di tossine. I rospi sono i "re delle pustole" e spesso sfoggiano grandi ghiandole dette parotoidi dietro agli occhi, vere e proprie batterie di sostanze pronte a difenderli. Altre rane come le raganelle scimmia del genere Phyllomedusa sembrano meno ruvide, ma possono essere ancora più tossiche. All'interno della cute di una raganella scimmia sono presenti decine di sostanze differenti, da alcaloidi (sostanze chimiche contenenti gruppi amminici di solito di origine vegetale) ad altri peptidi bioattivi (catene di pochi amminoacidi in grado di regolare alcune funzioni fisiologiche). Solo gli alcaloidi presenti in molte specie non sono prodotti direttamente dall'Anfibio ma anche "sequestrati" dal cibo che viene ingerito. Questo è il risultato di milioni di anni di co-evoluzione per contrastare gli attacchi di centinaia di parassiti, nell'infinita guerra per la sopravvivenza. Ma la cute non è solo protetta dalle minacce microscopiche. Gli Anfibi sono predati da molti grandi animali, come mammiferi, serpenti e uccelli. Possedere tossine può essere molto utile, ma occorre comunicarlo tramite un linguaggio universale: come si può mostrare ai più svariati predatori che si è tossici? È qui che entrano in scena gli splendidi colori che molti di questi animali sfoggiano con grande disinvoltura. La famiglia Dendrobatidae del Sud America ha tra le sue fila alcuni dei più colorati e al tempo stesso velenosi animali del creato: le rane del genere Ameerega, Oophaga e Phyllobates. Queste colorazioni, dette aposematiche, servono a generare nella mente di un potenziale assalitore un avvertimento di pericolosità. Di solito molti predatori hanno avuto in giovane età un'esperienza traumatica con qualche animale vivacemente colorato e quindi serbano nella mente l'associazione "colore vivace = pericolo". Anche in Italia non si scherza e alcune delle nostre specie possono vantare un discreto grado di tossicità. Occorre precisare che tutti questi animali non presentano in realtà alcun pericolo per l'uomo, che di solito non si nutre di anfibi crudi. Potrebbe forse essere diverso per cani e altri animali domestici, ma salvo rari casi di animali giovani e inesperti, di solito rane, rospi e salamandre vengono saggiamente ignorati. Anche qui come ai tropici vige l'associazione tra colorazioni aposematiche e velenosità. Ne sono esempi lampanti le salamandre del fuoco (Salamandra salamandra), a spasso per faggete e castagneti. Il loro nome comune deriva dalla leggenda secondo la quale nascono dal fuoco e portano il marchio giallo e nero impresso dalla fiamma e dal carbone. È facile osservare come al nostro arrivo non tentino affatto la fuga, confidando totalmente nell'avvertimento dato dall'abbinamento giallo-nero. Ci sono poi Anfibi nostrani che, pur essendo tossici e colorati vivacemente, tengono nascosti i colori per le situazioni d'emergenza. Queste specie sono ad esempio gli ululoni dal ventre giallo (Bombina variegata e B. pachypus) e le salamandrine dagli occhiali (Sala­mandrina perspicillata e S. terdigitata). Se scoperti e braccati da un assalitore, capiscono che la loro livrea normalmente mimetica ha fatto cilecca e quindi possono ricorre all'avvertimento. Il modo in cui lo fanno è descritto in tedesco come unkenreflex ("riflesso del malaugurio" o anche "riflesso di avvertimento").

Ululoni e salamandrine inarcano la schiena e gli arti in modo da esporre le parti ventrali vivacemente colorate. Restano in questa posizione anche per alcuni minuti e si assicurano che l'assalitore capisca che è meglio lasciar perdere. Alcune specie di tritone americano (genere Taricha), durante l'unkenreflex sono in grado di essudare una tossina letale presente anche nel corpo dei pesci palla: la tetradotossina. I rospi, di cui in Italia esistono diverse specie - il rospo comune (Bufo bufo) e i rospi smeraldini (Pseudepidalea sp.) - sono anch'essi molto ben attrezzati, potendo secernere la bufotossina, un mix piuttosto potente di sostanze come le bufotionine, le bufotonine, epinephrine, norepinephrine, ecc. Questa pozione è specifica per la difesa contro i Vertebrati e non ha altro utilizzo se non quello di assicurare che chi provi ad assaggiare un rospo eviti di ripetere l'errore in futuro. Chi assaggia uno di questi Anfibi accusa una grave infiammazione della mucosa orale, vomito, salivazione accentuata e talvolta si può arrivare all'attacco epilettico e al soffocamento. Quest'ultima eventualità è piuttosto rara, anche perché il fine è quello di creare un deterrente, non uccidere necessariamente il predatore. Gli Anfibi purtroppo stanno pian piano scomparendo, soprattutto per cause umane. Questo non è solo un problema che riguarda solo occhialuti appassionati di piccoli e viscidi animali. Proprio i cocktail di sostanze attive presenti nella cute di questi animali potrebbero fornire un servizio molto importante all'uomo nella lotta di malattie considerate incurabili. Ad esempio, da ricerche italiane è emerso come nella pelle dell'ululone e altre specie nostrane vi siano peptidi in grado di agire in maniera forte contro infezioni batteriche resistenti a qualsiasi antibiotico attualmente conosciuto. Ma non finisce qui. Un gruppo di ricerca internazionale capitanato dal Dipartimento di Microbiologia e Immu­nologia dell'Università di Nashville (USA), ha scoperto nel 2005 che i peptidi di alcuni anfibi sono molto attivi sul virus dell'HIV nella mucosa, tanto da inibirlo completamente nell'arco di pochi minuti. La ricerca è ancora in atto per scoprire i meccanismi che regolano questa potente reazione e in futuro si potrebbe ottenere da questi "veleni" qualcosa per prevenire e magari anche curare questa malattia. La cosa più sorprendente è che se si catturano due specie strettamente imparentate a pochi chilometri l'una dall'altra, si trovano sostanze simili ma tecnicamente differenti. Alcune specie di Atelopus possiedono tetradotossina, mentre altre chiriquitotossina, simile alla prima, ma non certo identica. Questo fa capire quanto sia importante preservare la biodiversità, perché un giorno forse quelle stesse sostanze potrebbero fornirci la soluzione ad alcuni dei grandi mali che colpiscono l'uomo. Dipenderà dalla capacità di comprendere i nostri errori e impedire che specie potenzialmente molto utili scompaiano prima ancora di essere scoperte. Una volta che li avremo aiutati a sopravvivere, gli Anfibi e le loro tossine ci renderanno sicuramente il favore.

Emanuele Biggi

naturalista, fotografo e giornalista scientifico, specializzato nel riprendere i soggetti più schivi e meno conosciuti. Si occupa di conservazione della Natura e di comunicazione scientifica collaborando con riviste di settore e con la televisione.

Info: www.anura.it

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