L'ennesima giornata di pioggia e vento sta per terminare.Le montagne del Parco Nazionale Gran Paradiso osservano silenziose un branco di stambecchi alpini (Capra ibex) che si prepara a trascorrere la notte su una cengia erbosa.
Un imponente maschio adulto si separa dal gruppo e si inerpica a passi lenti su una cresta: la sua sagoma, resa inconfondibile dalla forma ricurva delle corna, domina il paesaggio circostante da un punto di vista privilegiato. All'improvviso un raggio di sole riesce a far breccia nella coltre di nuvole: la flebile luce che filtra dal cielo cupo illumina solo una piccola porzione della pietraia situata alle spalle dell'animale.
Mentre ammiro attraverso il mirino della fotocamera la fiera silhouette dell'ungulato ripenso a quando, non più tardi di due secoli fa, il bracconaggio spinse lo stambecco delle Alpi sull'orlo dell'estinzione. Paradossalmente, a mettere un freno alla mattanza messa in atto da centinaia di cacciatori fu il Re d'Italia Vittorio Emanuele II, che trasformò quello che oggi è a grandi linee il territorio del Parco Nazionale Gran Paradiso, nella propria, personale, Riserva di Caccia. Era il 1854.
Da quel giorno in avanti, visto che solamente il Re, sporadico visitatore di quelle valli, aveva il diritto di abbattere questi pacifici mammiferi, il numero di esemplari presenti nella Riserva ricominciò a salire. Quando il Gran Paradiso fu dichiarato primo parco nazionale italiano, nel 1922, ebbe poi inizio un ambizioso progetto di reintroduzione della specie, che tornò a prosperare sulle nostre montagne.