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La montagna dell’amianto

«La montagna scendeva pezzo a pezzo nei frantoi della fabbrica e veniva risputata in enormi cumuli di scorie, a formare un nuovo, ancora informe sistema montuoso grigio opaco». Così nel 1954 Italo Calvino scriveva dell'amiantifera di Balangero. Anche Primo Levi ci lavorò come chimico nel 1941 e le dedicò Nichel, uno dei racconti del suo bellissimo sistema periodico

  • Filippo Ceragioli
  • giugno 2010
  • Domenica, 13 Giugno 2010
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La storia dell'Amiantifera comincia nel 1904, quando Callisto Cornut, un imprenditore attivo in Val d'Ossola nel campo della trasformazione dell'amianto, si assicura i diritti per lo sfruttamento di un giacimento del minerale individuato sulle basse montagne che dividono il bacino della Stura di Lanzo da quello del Torrente Fandaglia. Passano poi quasi vent'anni tra prospezioni, perizie e passaggi di proprietà; vengono quindi messi a punto gli impianti finché nel 1921 la "Società Anonima Cave di San Vittore" comincia la produzione.
Per la coltivazione della cava si usava in un primo tempo il metodo "glory hole", che prevedeva lo scavo di grandi imbuti al fondo dei quali la roccia frantumata veniva caricata su vagoncini e trasportata allo stabilimento di lavorazione. Qui il materiale roccioso era ulteriormente macinato, quindi lo si essiccava e se ne estraeva con potenti aspiratori la fibra di amianto che veniva infine insaccata e commercializzata. Tra il 1950 e il 1958 la miniera subì una radicale trasformazione e passò a una coltivazione per "gradoni meccanizzati", gli stessi che ancora oggi caratterizzano il sito. Da questi gradoni, dell'altezza di 14 metri e larghi circa 10 metri, la roccia veniva estratta (prima con esplosivi e in seguito con potenti macchine scavatrici dette "ripper") e fatta precipitare nel centro dell'anfiteatro formato dai gradoni stessi. Qui un enorme frantoio effettuava la frantumazione minuta e la inviava, mediante lunghi nastri trasportatori, fino allo stabilimento per l'estrazione della fibra.

Il residuo di lavorazione, il cui tenore in amianto era comunque ancora significativo, andava ad alimentare due gigantesche discariche collocate l'una sul versante Stura di Lanzo e l'altra poco più a nord, nel bacino del Torrente Fandaglia. La società arrivò a impiegare circa 300 lavoratori e la produzione crebbe fino a toccare le 40.000 tonnellate all'anno di fibra, in buona parte destinata all'esportazione.
Nel corso della storia quasi secolare il controllo della miniera cambiò varie volte di mano. Una buona parte del pacchetto azionario della Società Anonima Cave di San Vittore, che si trasformò poi in "Amiantifera di Balangero S.p.A.", fu per molti anni dell'I.R.I. e passò poi a Eternit, azienda un tempo leader nella trasformazione dell'amianto in materiali per l'edilizia e oggi sotto processo con l'accusa di aver provocato migliaia di morti.

Gli ultimi proprietari dell'Amiantifera furono i fratelli Puccini, due imprenditori romani che ne acquisirono il controllo nel 1983.
A partire dagli anni Sessanta le prove mediche della pericolosità delle fibre amiantifere diventarono sempre più evidenti. La nuova coscienza del rischio che correvano i lavoratori e la popolazione della zona coinvolse gradualmente prima la società civile e poi le istituzioni locali; il comune di Corio, in particolare, espresse chiaramente la propria preoccupazione per la gravissima situazione ambientale che la miniera aveva creato sul territorio. L'impiego dell'amianto in Italia si ridusse nel tempo e fu infine del tutto bandito dalla legge 257 del 1992; l'estrazione del minerale a Balangero era comunque cessata già dal 1990, perché crescenti difficoltà economiche avevano portato al fallimento della società mineraria.
Per vari anni il sito dell'amiantifera fu abbandonato a se stesso e si aprì un lungo contenzioso legale per il recupero dei crediti e degli stipendi non pagati. Nel frattempo la parte più bassa dell'anfiteatro costituito dai gradoni di coltivazione, si era riempita d'acqua e aveva formato il vasto lago tuttora presente al centro della cava.

La bonifica
Nel novembre del 1994 fu creata una società a capitale interamente pubblico, la RSA srl (Risanamento e Sviluppo Ambientale), alla quale la Regione Piemonte affidò il compito di bonificare l'area dell'ex-amiantifera. Il sito è stato anche inserito, con una legge del 1998, in una lista di 14 bonifiche di importanza nazionale. Questa bonifica, che riguarda una superficie di più di 300 ettari, ha comportato la rimozione di varie giacenze di fibra amiantifera abbandonata. Un altro importante lavoro, oggi quasi concluso, è stata la sistemazione idraulica e idrogeologica delle enormi discariche di pietrisco sui due lati dell'amiantifera le quali, dopo la chiusura degli impianti, tendevano a franare a valle e a disperdere la residue fibre di amianto nell'ambiente. La pendenza dei versanti è stata ridotta e sono state poi create, con le tecniche dell'ingegneria naturalistica, canalizzazioni e gradonature per diminuire l'erosione dovuta al ruscellamento dell'acqua piovana. La vegetazione delle pendici così rimodellate è stata infine favorita con la distribuzione superficiale di terreno agrario e compost, l'idrosemina dall'elicottero di piante erbacee e la messa a dimora di alberi e cespugli.
I risultati sembrerebbero buoni: da vari monitoraggi effettuati dall'ARPA risulta che la presenza di fibre di amianto nelle aree attorno alla cava si è notevolmente ridotta e rimane ancora significativa solo nelle giornate molto ventose. Restano però da smantellare gli edifici del vecchio stabilimento e va trovata una destinazione d'uso per l'area una volta terminata la bonifica. Una tra le ipotesi che sembrano prendere corpo è quella di installare nella zona della cava una grande centrale fotovoltaica, che ne sfrutterebbe l'ottima esposizione al sole per la produzione di energia elettrica. In parallelo è previsto che l'anfiteatro attorno al lago di cava possa venire utilizzato per l'allestimento di eventi e spettacoli.

L'Amiantifera oggi
Oggi l'accesso all'area oggetto dei lavori è consentito solo nel corso delle visite guidate organizzate dalla RSA. Per farsi un'idea di come stanno le cose è però possibile salire al Monte Rolei (898 m), che domina tutta la zona da est. Per raggiungere la cima esistono alcuni sentieri non segnati: uno di questi parte poco a nord di Benne di Corio e risale poi il costolone orientale della montagna, mentre un secondo si stacca dalla stradina asfaltata che collega Benne e Balangero e scavalca il Monte Giovetto (757 m) prima di raggiungere l'ex-amiantifera.

Contornando le recinzioni dell'area di bonifica è anche possibile salire alla cappella romanica di San Vittore, che sorge sulla collina omonima (891 m). Questa piccola chiesa dell'XI secolo è rimasta fortunosamente intatta dopo tanti decenni di pesantissimo sfruttamento del territorio circostante e domina oggi il lago di cava sul quale si apre con una graziosa bifora in pietra.
Quasi superflua è la raccomandazione di rispettare i divieti di accesso alle zone dove i lavori sono ancora in corso, divieti il cui posizionamento può cambiare nel corso del tempo. Si può poi sconsigliare di visitare la zona in giornate secche e molto ventose, in modo da evitare un'inutile esposizione alle fibre di amianto.

 

Per saperne di più www.rsa-srl.it

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