Gypaetus barbatus, è questo il nome scientifico dell'avvoltoio che in passato popolava le nostre montagne. Per lungo tempo considerato come un feroce predatore e soggetto per questo motivo a una caccia indiscriminata (basti pensare che nel diciannovesimo secolo lo studioso tedesco Gotthilf Heinrich Von Schubert scriveva a riguardo: «... ha una forza muscolare incredibile, tanto che può con facilità trasportare agnelli, capre, persino bambini tra i suoi artigli da una montagna all'altra»). Si tratta in realtà di una convinzione assolutamente priva di qualsivoglia fondamento scientifico: il gipeto si pone sì all'apice della catena alimentare, ma si nutre esclusivamente di carcasse.
A inizio del secolo scorso il gipeto era completamente scomparso dalle Alpi. Solo nel 1986, tramite un progetto di reintroduzione finanziato dal progetto LIFE dell'Unione Europea e dalla Fondation Prince Albert II de Monaco, la popolazione ha cominciato a ricomparire, arrivando a raggiungere un range compreso tra i 288 e i 377 individui. Secondo la IUCN, oggi la specie si colloca nella categoria a rischio di near threatened (letteralmente "quasi a rischio"). In questo contesto si è tenuta una giornata di monitoraggio e avvistamenti, alla quale ha partecipato anche un biologo del Parco del Monviso osservando il settore della valle Varaita dove è noto che alcuni individui di gipeti presenzino in maniera stabile .
In occasione della Giornata Internazionale di osservazione del gipeto tenutasi l'anno scorso, la partecipazione è stata assai numerosa: più di 1.167 volontari sparsi su oltre 700 siti di monitoraggio ubicati in tutta Europa.