Se cibarsi con gli animali è abitudine, per lo meno da quando l'uomo ha lasciato l'Africa e ha iniziato la colonizzazione del mondo, il loro uso nella medicina di tradizione è anch'essa pratica millenaria nelle culture popolari di varie parti del mondo. Quasi ogni cultura infatti, ha individuato animali magici con cui guarire o animali totemici con cui immedesimarsi, acquisendone i tratti più caratteristici e funzionali. Retaggio proveniente dall'antico ed empirico "principio del simile", profondamente radicato nall'antichità. Tra i Greci, Ippocrate (460-377 a.C.), propose una dottrina basata sulla similitudine: "attraverso il simile la malattia si sviluppa e impiegando il simile la malattia si cura". Applicazioni primitive del principio di similitudine possono essere ritrovate nelle pratiche magiche dei popoli primitivi, come ad esempio nel bere decotti preparati col corpo di animali prolifici (vespe, mosche) per curare problemi di sterilità, oppure nel cibarsi dei nemici uccisi (cannibalismo) per assumerne il coraggio. Primi esempi del trattamento del "simile mediante il simile" possono essere trovati nel papiro di Ebers (1500 a.C.): malattie dell'orecchio trattate con estratti di orecchio, cefalea con testa di pesce, cecità con occhio di suino, calcoli umani nella calcolosi...L'enumerazione degli utilizzi di materiali del regno animale o vegetale secondo questo principio sarebbe davvero senza fine. La difficoltà di procurarsi "l'idem" (identico) spesso portava all'uso del simillimum (il più simile) che ravvisiamo nei rimedi e nelle credenze curative della medicina popolare di tutte le culture, anche a base di rimedi animali, anche se poco si sa di certo, sulla loro efficacia. Il "serpentin" dell'antica ballata che secondo alcuni ricorda l'assasinio di Elmichi da parte di Rosmunda, è sicuramente una vipera, a suggello di una tradizione che vuole tutti i serpenti velenosi e quindi vipere. Molti anziani ricordano che le vipere erano catturate (la cattura avveniva in modo che le stesse non si mordessero) prendendole dalla coda e infilandole delicatamente in un bottiglia. Oppure si uccidevano col taglio della testa, badando che non emettessero alcun sibilo, altrimenti in questo caso il rimedio si sarebbe trasformato in veleno. Durante la guerra infatti, quello del "viperaio" era un vero e proprio mestiere per arrotondare il salario: c'era chi riusciva a catturare anche 15 o 20 vipere al mese per poi portarle all'Istituto sieroterapico di Torino. Allora, le pagavano circa 1700 lire l'una, un bel introito per quei tempi... Nell'istituto poi si estraeva il veleno, per farne il famoso siero antivipera. Rivelatosi più pericoloso quest'ultimo che l'improbabile morso velenoso, da qualche anno è stato messo fuori legge e non più prodotto. Se la medicina tradizionale cinese ancor oggi ci colpisce per l'insensata richiesta di farmaci ricavati da animali ad altissimo rischio di estinzione, non da meno è stata in passato l'Europa. Nel nostro continente molte specie sono state portate alla scomparsa definitiva dall'esasperante caccia di cui sono stati oggetto. Tra gli animali estinti in Val Padana, dove era sicuramente presente, il castoro. Singolare destino il suo: il più grande dei roditori europei dava fastidio perché abbatteva gli alberi. Fu attivamente cacciato non solo per la pelliccia ma perché, essendo dotato di una coda squamata, era da considerarsi "pesce" e quindi tranquillamente consumabile sulle mense di nobili e prelati nei giorni di magro. Era anche cacciato per le sue ghiandole odorifere anali, secernenti una sostanza grassa dal forte odore di muschio, chiamata castoreo. Di questa ci parla Fulco Pratesi in un suo vecchio libro ""Tali erano le virtù terapeutiche di questa sostanza (almeno per gli speziali antichi) da riempire volumi interi di ricette come "castorologia" uscito nel 1685 ad Augsburg , in cui i medici Marius e Frank descrivono ben 200 rimedi che avevano come base il famoso castoreo, un vero toccasana per tutte le malattie, dal mal di testa all'idropisia." Anche gli ungulati, come il camoscio, erano cacciati un tempo a fini terapeutici Si credeva che il sangue crudo del camoscio, bevuto in piccole dosi, infondesse coraggio e fosse afrodisiaco, aumentando la virilità. Spesso i cacciatori lo facevano prima coagulare e poi bevevano il siero soprastante, oppure "nature"... Si narra che appena bevuto procurasse un tale calore nell'organismo da fare sudare moltissimo e perciò si riteneva fosse tonificante, ma guai a berne troppo perché "incendiava" il sangue. Si credeva anche che fosse ottimo nella cura della costipazione e, stemperato nell'acqua calda, per la cura della tubercolosi. Lo stambecco, il mitico becco delle Alpi, ha rischiato di scomparire per sempre non tanto per la sua carne (sempre di caprone di tratta) o per le corna utilizzate nella costruzione di balestre, ma perché era considerato una vera e propria farmacia ambulante. Il sangue era un rimedio infallibile contro la sciatica e i reumatismi, i calcoli alla vescica e i dolori mestruali. La polvere ricavata dalle corna era considerata efficace per coliche ed avvelenamenti, quella delle ossa contro cefalee e artriti. L'ossicino a forma di croce che si trovava nel cuore era un potentissimo amuleto. Citando ancora Pratesi veniamo a sapere" che i principi vescovi di Salisburgo nel 1584 gestivano nella loro città e a Berchtensgaden speciali farmacie ove tutti i rimedi tratti dal povero animale erano posti in vendita a caro prezzo, anche perché i diritti di caccia erano stati ceduti a loro dai feudatari del luogo" Nel 1694 in tutto il Tirolo e nelle Alpi Bavaresi non restavano che 179 esemplari; pochi anni dopo furono estinti. Se a Bercthensgaden ( gli intorni sono Parco Nazionale dove gli stambecchi ora protetti sono stati reintrodotti) non si vendono più toccasana a base di ungulato, sulle innumerevoli bancarelle tra souvenir e cianfrusaglie di ogni genere fanno ancora bella mostra di se pile di vasetti contenenti olio di marmotta. A leggere sull'etichetta effettivamente oltre a piante ed estratti vegetali troviamo veramente dosi omeopatiche di quest'olio. Questo grasso sarebbe prelevato non dalle popolazioni alpine del simpatico sciuride, ma da un suo cugino siberiano già oggetto di attenzioni da parte degli sciamani di quei luoghi. Il suo grasso è considerato un toccasana contro i dolori reumatici e contro la sciatica. Non solo in Tirolo, ma in tutte le Alpi, i montanari infatti utilizzavano la marmotta a questo scopo. Sulle alpi occidentali poi, per gli stessi fini si preparavano in alternativa misture a base di galle di rododendro, in soluzione oleosa. Siccome l'olio era ricavato dalla spremitura a caldo dei noccioli del Prunus brigantina (in lingua provenzale alpina "marmouttier") per omofonia e per similitudine curativa divenuto anch'esso "olio di marmotta". L'orso, dopo secoli di persecuzioni, sta faticosamente ricolonizzando le Alpi. La sua convivenza con l'uomo non è mai stata facile (soprattutto per il secondo) e anche oggi appare problematica. Cacciato per la carne, per la pelliccia e per impossessarsene a fini apotropaici, ovvero per fugare le "negatività". In molte località d'Europa era utilizzato a fini chinoterapici e psicoterapici per guarire dal mal di schiena. Erano gli uomini che si sottoponevano a questa pratica, che consisteva nel far massaggiare la schiena da un orso ammaestrato. I conduttori portavano l'orso incatenato da un paese all'altra e una volta entrato nei cortili delle case costretto a ballare. Il paziente a questo punto si sdraiava a pancia in giù per essere calpestato. L'orso camminava avanti indietro, quindi veniva fatto sedere. Gli uomini che si sottoponevano a questa pratica avevano la convinzione di diventare più forti e di non soffrire di dolori per tutto l'anno. Le donne invece, tentavano di impossessarsi dei peli dell'orso per bruciarli sopra la testa dei bambini. Ovviamente i guaritori avevano necessità di procurarsi orsi da ammaestrare e per procurarsi i cuccioli non esitavano a sbarazzarsi cruentamente delle madri. Ma l'aspetto più eclatante dell'utilizzo di animali a fini medici o meglio di medicina è dato, come già accennato, da certe pratiche terapeutiche cinesi tutt'ora ben radicate. A farne le spese sono cavallucci marini ridotti in polvere, ma soprattutto rinoceronti e tigri di cui in natura non restano che poche centinaia di esemplari. La richiesta di corna di rinoceronte è alla radice della quasi scomparsa delle specie asiatiche . L'ultimo rinoceronte in Cina fu ucciso più di mille anni fa. La medicina cinese lo usa per curare la febbre e altri malanni come epilessia, malaria, avvelenamenti e ascessi. Sui mercati orientali il corno dei rinoceronti africani viene pagato da 2 a 3 dollari al grammo, ma quello dei rinoceronti asiatici, più compatto, arriva a costare da 22 a 66 dollari al grammo (quindi da due a quasi sei volte il prezzo dell'oro). Tuttavia, la richiesta per usi medici non è l'unica minaccia. Nello Yemen, un manico di corno di rinoceronte intagliato su una "jambiya", il tradizionale pugnale ricurvo, è uno status symbol per gli uomini. E che dire delle pratiche al limite del sadismo, di cui ancora in questi giorni abbiamo letto sui giornali, con cui gli orsi tibetani dal collare sono appositamente allevati per estrarne la bile, dimenticando che, anche gli animali, soffrono...
Piemonte Parchi
Poveri Animali
"Va co' dell'orto del tuo buon padre là c'è un serpentin. Taglia la testa di quel serpente poi pistala ben. E poi mettla nella botticella del vin püssé bon." ("Donna Lombarda" antica ballata piemontese)
- Loredana Matonti e Aldo Molino
- dicembre 2012
- Sabato, 29 Dicembre 2012