Esopo e La Fontaine ne hanno dette di tutte contro di loro, povere, miserande, disgraziate cicale con le toppe alle zampe e la chitarra in mano: ma come sono previdenti, invece, le formiche! Ma quanto calviniste, lavoratrici, lungimiranti! Invece oggi capiamo, anche senza essere tra i sassosi torpori del mezzogiorno greco, comprendiamo finalmente quanto sia difficile cantare con questo caldo, chi glielo fa fare? Di questi tempi bisogna proprio essere eroici, per esultare. C'è ben poco da cantare, anzi, da suonare, nella società produttivistica, tecnologica e performante, che ha perso il mistero e la poesia.
Provate voi a stare su un albero tutto il giorno, come il Barone rampante, a cantare come se fosse niente, fosse anche solo per fare i bellimbusti e attirare le femmine, che sarebbe comunque un motivo ragionevole, pour le bon motif, direbbero i francesi.
Provate a stornellare oggi che stanno tutti con la faccia nei telefonini, nessuno guarda più nessuno perché troppo impegnati a vestire firmati, stillare e degustare presunzione, a specchiarsi nei "like", a vantare le proprie prerogative da influencer.
Nel mondo di gastrofighetti e delle permalosette e senza bere un goccio di birra, le cicale fanno musica con quello che hanno, non usano Spotify o Youtube. E non si hanno notizie, finora, di maschi di cicala denunciati dalle femmine per stalking o inquinamento acustico.
Un canto all'unisono
I maschi addetti alla serenata (strano: le femmine sono mute), fanno vibrare una sorta di lamine dette timballi o timpani, sull'addome, l'organo stridulatore, quello che le fa frinire, formato essenzialmente da membrane che vibrano per azione di specifici gruppi muscolari, e producono un suono che viene poi amplificato da speciali sacche d'aria, sempre nella zona addominale.
Si può udire nelle giornate più calde e soleggiate - non in città, nella muta e morta gora d'agosto - ma in pineta, davanti al mare e negli oliveti, un canto all'unisono di centinaia di individui che si esibiscono in una canzone interminabile, mentre tutt'intorno gli altri insetti lavorano freneticamente per sfamarsi.
Le cicale invece sanno digiunare, come i nobili alla De Sica del neorealismo, con lo stecchino in bocca; non si mettono in mostra (provate a scorgerne una, sugli alberi), ma pensano all'amore. Proprio al contrario degli umani, che sempre più si mostrano, pensano al food e sempre meno si amano.
Un accoppiamento mortale
Vero che le cicale, prima di iniziare l'ultimo spettacolo, restano nel camerino parecchio, a prepararsi. Funziona così: dopo l'accoppiamento maschio e femmina rimangono uniti per diversi minuti e poi si separano, la femmina depone le uova sulla vegetazione bassa, le larve che si sviluppano si interrano per una vita ipogea che può durare diversi anni, per alcune specie addirittura diciassette.
Poi tutte le ninfe della stessa generazione escono miracolosamente dal sottosuolo nel medesimo anno, nella medesima calda notte d'estate. Come fanno? Mistero. Hanno un orologio biologico?
Dopo il tramonto e nelle prime ore di buio, dunque, nelle sere più torride d'estate, le ninfe mature escono dal sottosuolo e raggiungono l'albero più vicino, dove cominciano l'arrampicata verso il palcoscenico, dal quale ormai adulte si lanceranno nel concerto... Si nutriranno pochissimo, passeranno la maggior parte del tempo a cercare la femmina con cui riprodursi, a cantare e cantare incessantemente, trascorrendo lunghi periodi di digiuno, un digiuno che le porterà a sfinirsi e a morire, dopo l'accoppiamento.
Musiciste e musicanti
La femmina di cicala, che non è in grado di produrre il suono del maschio e nondimeno emette una specie di schiocco muovendo rapidamente le ali (serve da un lato ad attirare l'attenzione del partner e dall'altro a spaventare eventuali predatori), dopo l'accoppiamento e la deposizione delle uova segue il destino del maschio: muore.
Possiamo dunque riabilitare almeno un poco la performance delle cicale, considerare meglio il loro punto di vista. Sono musiciste e musicanti, sono artiste e per ogni vero artista, si sa, l'arte è un di più, viene fuori spontaneamente, non può non essere prodotta. L'arte è un surplus dell'artista, viene generata quasi senza intenzione, per vocazione, così la scimmia non può fare a meno di arrampicare e la farfalla di volare, la lumaca di strisciare e lasciare la bava, la cicala di cantarsela e suonarsela gratis, senza neanche il reddito di cittadinanza. Sparge allegra ipnosi e saluta la vita con allegria, quasi come il tenente Drogo nel Deserto dei tartari che sorride e mette in ordine la divisa e abbottona la camicia e rifà il nodo alla cravatta prima di essere portato a valle in barella, quasi come un personaggio shakespeariano consapevole di quanto l'esito migliore della vita sia la commedia, non la tragedia, o come l'orchestrina del Titanic, che suonava non perché non sapesse, ma proprio perché sapeva e donava arte ugualmente. Perché? Perché non c'è altro da fare. One more cup of coffe prima di scendere, signori.
Protagoniste del palcoscenico
Dunque, in questo musical, in questa recita di poveri commedianti che si pavoneggiano sul palco e smaniano la loro ora sul proscenio, la cicala ci sta benissimo, conclude un ciclo vitale decisamente meno fatuo di quello descritto dalle favole. "Anni di aspro lavoro sottoterra - scrive il naturalista, J. H. Fabre - e un mese di gioia al sole: ecco quale sarebbe, dunque, la vita della Cicala. Non rimproveriamo più all'insetto adulto il suo delirante trionfo". Anni a rovistare il fango, poi l'addio alle tenebre, la comparsa di bellissime ali ed ecco l'insetto "abbronzato dal sole, inondato di luce, gioia suprema di questo mondo. I cembali non saranno mai troppo fragorosi per festeggiare questa felicità, così bene guadagnata e così effimera".
Per Omero le cicale non erano simbolo di ozio ma di eloquenza, Marco Tullio Cicerone sosteneva che "una vita senza musica è come un corpo senz'anima ...".
Per bocca di Socrate, Platone racconta il mito delle cicale: "Una volta le cicale erano uomini - viventi prima della nascita delle Muse - e quando esse nacquero e comparve il canto, alcuni di questi a tal segno furono storditi dal piacere che per cantare scordavano cibo e bevanda e neppure si accorgevano di morire". Hai detto niente. Dunque da costoro nacque la famiglia delle cicale, alle quali le Muse concessero di non aver bisogno di alimenti ma di poter cantare subito, senza mangiare e bere fino alla morte, e dopo di andare presso le Muse.
Ecco perché ascoltiamo le cicale nascoste e proviamo la vertigine di Kafka, che avverte l'assoluto: "Alcuni uccelli saettarono verso l'alto, io li seguii con lo sguardo e li vidi salire in un baleno, infine ebbi la sensazione che non fossero loro a salire, bensì io a precipitare".
Provate voi a cantare, con questo caldo, anziché starvene abbioccati nel coma del dopopranzo.