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Piemonte Parchi

Oltre il pascolo… la vita

Rupi, pareti rocciose, ghiaioni: ambienti estremi che per la loro inaccessibilità diventano vere e proprie isole per animali e piante
  • Stefano Forneris
  • agosto 2010
  • Lunedì, 1 Settembre 2014
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A tutti sarà capitato durante un’escursione in montagna, superato il limite del bosco, di avere la sensazione di camminare in zone quasi prive di vita; rupi e relativi ghiaioni della fascia montana e submontana sono infatti ambienti aspri, all'apparenza quasi sterili e difficili da colonizzare, sia per gli animali sia per le piante. Ambienti quasi inaccessibili a causa della morfologia, spesso con pendenze elevate quasi verticali, non permettono il formarsi di substrati stabili e quindi di suoli ricchi e produttivi. Alla compattezza delle pareti rocciose si contrappone l'elevata instabilità dei ghiaioni e questo non aiuta certo animali e vegetali a sceglierli come ambienti ideali. Sovente crolli e frane modificano improvvisamente le superfici trascinando a valle intere comunità vegetali e animali. Insieme a questi caratteri morfologici, già di per sé impegnativi, altri hanno influito e influiscono con forza sui ritmi vitali e sulle strategie di adattamento delle specie viventi. L’escursione termica giornaliera e stagionale è elevata, cosi come l'esposizione alla radiazione solare, l'apporto di acqua è spesso variabile e improvviso e nonostante la buona riserva che potrebbe garantire il manto nevoso, le pendenze elevate e i substrati in larga parte rocciosi non ne permettono un accumulo stabile e continuo. Questi caratteri così estremi però sono stati e sono tuttora uno scudo naturale per svariate forme di vita. Lo sono state sin dal tardo Terziario, durante tutti i picchi glaciali che avvenivano periodicamente durante i cicli glaciali-interglaciali. Isole xerotermiche, dove hanno potuto sopravvivere, evolversi, specializzarsi e conservarsi moltissime specie. La pernice bianca può essere considerata il miglior esempio di adattamento a questi ambienti estremi: grazie al suo mimetismo, bianca d’inverno e dello stesso colore delle rocce d’estate, risulta praticamente invisibile ai visitatori delle alte quote. Pareti rocciose e ghiaioni risultano ancora fondamentali per la sopravvivenza di intere comunità, grazie all'“effetto siepe”. Essendo infatti delle barriere fisiche, costituiscono zone di accumulo per comunità vegetali e animali (soprattutto insetti e uccelli) provenienti o scacciate da altre aree. Trovandosi inoltre spesso e fortunatamente in un contesto distante dai centri antropizzati (città, zone agricole, allevamenti), hanno garantito e garantiscono tuttora un rifugio sicuro e protetto per molti animali, uccelli rapaci soprattutto. Lo stesso gheppio, comune in pianura, sfrutta sovente questi ambienti rocciosi per nidificare e in condizioni favorevoli non è raro trovare più coppie anche poco distanti le une dalle altre. Ne fanno le spese arvicole e nidiacei di spioncelli e culbianchi. La risposta degli organismi a questo habitat, comprendente un buon numero di microambienti, inospitale e di difficile colonizzazione è stata la specializzazione. Spesso rupi e ghiaioni si trovano isolati gli uni dagli altri e separati da ambienti completamente differenti con una successione parete rocciosa-bosco-prato alpino-parete rocciosa. Quindi per una specie adattata a muoversi e vivere su un substrato roccioso o ghiaioso, non sarà affatto facile attraversare aree boschive o erbose. E poiché tutte le pareti rocciose, le rupi, i ghiaioni, le gole hanno caratteri esclusivi o quasi, ogni comunità animale o vegetale tenderà ad adattarsi a parametri molto variabili. Ad esempio la quantità di radiazione solare catturata è estremamente influenzata dall'esposizione del versante e i substrati variano in base alla composizione chimica delle rocce. L'influenza combinata di questi due fattori, isolamento e specializzazione, ha reso possibile la sopravvivenza di un grande numero di endemismi. A maggior ragione ora possiamo paragonare queste zone rocciose a delle “isole”. Isole ecologiche in cui le comunità vegetali ed animali presentano caratteri peculiari, con pochi elementi ma altamente specializzati. Ovviamente il numero di specie legate a questi ambienti non è alto se paragonato ad altri, basti pensare a un bosco alpino con il suo sottobosco, ma notevole è la variabilità specifica e interspecifica. Isolamento e specializzazione hanno agito maggiormente sulle comunità vegetali: molte piante, che sono la memoria paleoclimatica e genetica del territorio, hanno un areale di distribuzione assai limitato e caratteristico, diventando così elementi estremamente preziosi e significativi dell'intera flora italiana. Infatti la maggior parte degli endemismi del nostro paese è strettamente legata alle catene montuose e in particolar modo a territori dove la presenza di rupi e ghiaioni prevale. Le pareti rocciose, pur avendo pendenze decisamente maggiori rispetto ai ghiaioni o agli accumuli in genere, garantiscono tuttavia un substrato stabile seppur molto compatto. Alghe, licheni e muschi, felci e angiosperme, con diverse strategie adattative, riescono a fissare le radici nelle rocce colonizzando anche le pareti verticali o sfruttare i microdetriti come substrato. Altre invece hanno sviluppato strategie che hanno permesso la conquista quasi esclusiva dei substrati incoerenti dei ghiaioni montani, riuscendo così a ricoprire rocce e massi con manti simili a croste o ciuffi colorati. L'inaccessibilità e la bassa competizione interspecifica ne fanno l'habitat preferenziale per molti uccelli. Pernici bianche, aquile, coturnici, sordoni, culbianchi, spioncelli e rari picchi muraioli trovano qui il loro ambiente d’elezione. Gli invertebrati (molluschi terrestri, coleotteri, lepidotteri, ditteri imenotteri e insetti fitofagi) sono il gruppo meglio rappresentato e specializzato, avendo masse molto ridotte e quindi richieste energetiche minori e maggiore facilità di adesione al substrato. Non è raro trovare colonie di molluschi terrestri al riparo in fessure della roccia o nei muschi. Anche per queste classi però gli aspetti ambientali limitanti, influiscono sulla distribuzione e sulla stabilità. Se le zoocenosi sono ridotte e instabili, lo saranno di conseguenza le biocenosi fitofaghe. E quindi anche i predatori maggiori, aracnidi, insetti, lucertole, marassi e piccoli mammiferi carnivori, si trovano in condizioni difficili. Scarsezza di risorse, maggiori difficoltà di movimento, minor tolleranza agli sbalzi temici, mimetismo difficoltoso fanno sí che ghiaioni montani e rupi vengano più che altro scelti come territori di caccia o come rifugio temporaneo. La scarsità d'acqua, o per lo meno il suo mancato accumulo, preclude la presenza di anfibi e solo la salamandra alpina, che ha modificato il ciclo riproduttivo con una fase larvale intrauterina per ovviare alla mancanza dell'ambiente acquatico, trascorrendo ibernata nel suolo i mesi freddi, è diffusa stabilmente nelle Alpi. Camosci e stambecchi sono i mammiferi più grandi tra i frequentatori delle falde detritiche montane e nei periodi caldi non è difficile osservare interi branchi di passaggio sulle pietraie. Cosi come è probabile sentire i fischi d'allarme delle marmotte, che al sopraggiungere di un pericolo svicolano velocemente tra massi e pietre per rifugiarsi nei loro cunicoli, o vedere i cunicoli scavati dalle arvicole, prede principali degli ermellini. Benché l'elemento dominante sia quindi la dura roccia e nonostante la loro scarsa accessibilità, questi ambienti e i loro abitanti sono estremamente delicati e suscettibili alle variazioni esterne. L'impatto antropico è spesso devastante; ambienti così specializzati difficilmente sopportano improvvisi mutamenti. Sfruttarli come cave per recuperare materiale da trasformare in ghiaia, sbancarne intere porzioni per farvi passare strade, o meno drasticamente eleggerli a palestre naturali per l'arrampicata, potrebbero sembrare azioni poco invasive e prive di conseguenze, in un insieme all'apparenza privo di vita. In realtà un minimo disturbo farebbe abbandonare a un rapace il suo nido e “spostare qualche masso” priverebbe di un intero mondo molti microinvertebrati. E di questo dobbiamo tener conto quando distrattamente passeggiamo in quota. E forse con un po’ più di attenzione riusciremo a scoprire un mondo nascosto e inimmaginabile, in ambienti che a prima vista sembrano un deserto. Stefano Forneris è naturalista e ha seguito progetti di divulgazione scientifica collaborando con enti pubblici e privati. Appassionato di fotografia e sport montani, attualmente segue progetti di monitoraggio dei corsi d'acqua piemontesi.

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