Il gatto di casa non conosce il significato della parola "padrone", chiede solo che lo si lasci esplorare e dormire. Una breve perlustrazione dei dintorni per sorvegliare il suo territorio gli basta, ma non può essere decisa ad orari stabiliti: il più bel regalo che gli si può fare è uno sportellino sulla porta, garanzia di indipendenza e benessere.
Sedici ore di pisolini al giorno: un gatto di nove anni ne ha trascorsi tre da sveglio. Può permettersi questa beata indolenza perché fa parte di una categoria speciale, quella dei predatori raffinati. Mentre altri carnivori sono condannati a trottare di qua e di là alla ricerca di prede che poi devono rincorrere, il gatto si siede e aspetta.
Poi tende un agguato fulmineo, cattura la sua vittima e dopo averci giocato per un po' se la mangia, pronto, dopo, ad accoccolarsi nell'angolo più confortevole che trova e farsi un sonnellino.
Nella vita urbana del gatto moderno ogni tanto ci scappa una zuffa. La sfida è tra maschi rivali e l'epilogo più drammatico vede il vincitore che sferra il morso mortale sul collo dell'avversario, ma quasi mai si arriva a quel punto. Il mondo è pieno di vecchi gatti con le orecchie smangiucchiate, emblemi di molte battaglie: vincitori o sconfitti, ne escono vivi. Il gatto più forte, individuato l'avversario, gli si avvicina e alla sua maniera lo apostrofa. Per sembrare più grande distende completamente le zampe e rizza il pelo lungo la schiena, mentre la coda sembra sprizzare furore.
L'attaccabrighe avanza lentamente con le orecchie basse, borbottando, gorgogliando e miagolando sempre più forte. Come in una danza rituale, man mano che procede alza la testa e la gira leggermente prima da un lato e poi dall'altro, tenendo gli occhi fissi sul rivale. Mima l'assalto, come per mettere in chiaro quel che ha da aspettarsi il malcapitato.
Il quale che fa?
Se è conciliante dimostra la sua inferiorità rimanendo quasi accucciato, sottomesso, pronto a darsela a gambe. Se invece l'incontro è tra gatti di pari forza si assiste a lunghissimi momenti di immobilità, in cui la sfida reciproca è fatta di atteggiamenti e sguardi talmente identici che è come vedere un solo gatto allo specchio. Tutto può concludersi in nulla: la tensione a un certo punto si smorza e gli avversari si allontanano, sempre al rallentatore, misurando ogni mossa. Oppure scatta qualcosa che dà il via alla battaglia, una baraonda di zampate, morsi, graffi, miagolii, rotolamenti e ciuffi di peli che volano in aria. Uno dei due alla fine si dà per vinto e rimane sdraiato per terra con le orecchie appiattite, a chiedere pietà. Questo è il cerimoniale, che si impara fin da piccini.
Da grandi si deve solo distinguere la lotta per gioco da quella sul serio, e sembra una sfumatura.