Tema: "Fra i tanti parchi sparsi per l'Europa che hai avuto l'occasione di visitare quale ti ha più colpito? E perché?"
Svolgimento: "Si fa presto a dire parchi. Si fa presto a dire Europa. Si fa presto a dire colpito. Chiediamoci prima cosa significano in concreto queste parole".
No, così non va, se cominciamo con il significato delle parole ci infiliamo in una trappola senza uscita. In fondo il tema mi chiede di nominare un solo parco e di spiegare perché secondo me è il numero 1. Posso cercarne uno un po' fuori mano. Per esempio il parco nazionale Lahemaa che si trova nella regione Harju nel nord della Lettonia. Dovrei proprio essere sfigato se saltasse fuori un lettore di Piemonte Parchi che c'è stato ed è in grado di smentire le mie accurate e fantasiose descrizioni di questo parco, di gran lunga il più bello d'Europa e forse del mondo.
Forse nessuno dei lettori si è spinto fino al nord della Lettonia, ma molti di loro sono al corrente perché, l'ho ripetuto più volte, che per me già andare da Torino a Cantalupa è motivo di stress. Anche se copiassi da internet la descrizione accurata del parco Lahemaa nessuno crederebbe che io ci sia veramente stato.
In questi casi l'unico modo per tirarsi fuori dall'impaccio è quello di ricorrere a una citazione tra virgolette che metta tutti a tacere. Combinazione ne ho sottomano una che fa proprio al caso. È di un filosofo nordamericano di origine libanese, Nassim Nicholas Taleb, ed è tratta dal suo libro "Il Cigno nero", pubblicato in Italia dal Saggiatore.
A pagina 25 Taleb scrive: «Le persone non vanno in giro con anticurriculum che descrivono ciò che non hanno studiato o le esperienze che non hanno vissuto (questo è un compito che spetta ai loro concorrenti), ma sarebbe bello se lo facessero».
Sarebbe bello, dice Taleb, e io lo faccio. Dichiaro solennemente che nelle rare volte in cui sono andato in giro per l'Europa non ho mai provato né l'impulso né il desiderio di visitare un parco ma semmai musei, mercati, chiese, ristoranti, tribunali, centri commerciali, palazzi. In una parola, l'universo metropolitano. Però mi piace sapere che i parchi esistono e che se volessi, in qualunque momento, potrei andare a visitarli. Sono anche numerosi, come si può notare da una carta geografica che li mette in evidenza; inoltre i parchi nati al di là e al di qua del confine di quelli che in origine erano i singoli Stati, hanno svolto un ruolo da pionieri nel dimostrare l'inutilità e l'anacronismo delle barriere.
L'Unione Europea, man mano che si dilata, incoraggia le frammentazioni. Scrive Alain Minc nel suo "I dieci giorni che sconvolgeranno il mondo": «L'Europa conduce allo smembramento; la globalizzazione a una serie di risorgimenti locali. Più l'Unione Europea si allarga, più assume la forma di una casa comune, fatta di tanti microstati. All'epoca in cui la Comunità europea era composta da sei membri, il passaggio a sette indotto da un'ipotetica secessione del Belgio sarebbe stato un dramma. Nell'Europa dei quindici la divisione interna di uno degli Stati membri era alquanto improbabile. Ma con ventisette paesi e uno statuto che mette su un piano di eguaglianza simbolica la Germania e Malta, la Francia e Cipro, l'Italia e la Slovenia, la Polonia e l'Estonia, tutto diventa possibile. Non è un caso che i catalani si professino profondamente europei, come per trascendere lo Stato spagnolo. (...) Il fenomeno sarà ancora più evidente quando anche i paesi balcanici entreranno a far parte dell'Europa: i piccoli Stati diverranno la norma e i grandi, logorati da tensioni regionali, resteranno eccezioni. Più l'Unione Europea si allargherà, più assomiglierà al porto comune di territori oggi infrastatali».
In questa prospettiva i parchi diventano i veri collanti dell'Unione Europea. Chi vuole l'Europa deve affrettarsi ad istituirne sempre di più e a ingrandire quelli che già sono in funzione. La carta d'Europa deve essere costretta a subire un'inversione, nel senso che la superficie destinata a parco deve essere la norma, mentre quella destinata alle aree metropolitane diventare l'eccezione.