Entro i manipoli qua e là sparsi
dei topinambùr lungo gli argini
ogni lustro del giallo si fa intimo
all'autunnale catarsi (Andrea Zanzotto)
Il suo tubero è uno degli ingredienti più ambiti del piatto piemontese per eccellenza, legato per tradizione all'autunno: la bagna caöda. Protagonisti insieme a lui, cardi, sedani, carote verze e rape da gustare crudi, patate bollite e una semplice salsa di aglio olio e acciughe, rigorosamente mantenuta calda in apposite pignatte, capace di esaltare il sapore delle verdure di stagione e il piacere di grandi tavolate in compagnia.
E' l'Helianthus tuberosus, noto in italiano con il nome di topinambùr, in piemontese "ciapinabò", detto anche carciofo di Gerusalemme, girasole del Canada, rapa tedesca o elianto tuberoso. Il suo stravagante nome comune probabilmente deriva da quello della tribù sudamericana degli indios Tupinamba, alcuni membri della quale furono "esposti" a Parigi nel 1613 suscitando grande scalpore. I venditori della pianta sfruttarono la risonanza prodotta da questo evento, rinominando il loro prodotto, proveniente in realtà dal Canada e dalle regioni orientali del Nord America, per conferirgli un fascino esotico in più.
Ogni amico è per l'altro un sole, e anche un girasole. Attrae e segue.
E' una pianta erbacea perenne con bulbo sotterraneo, il cui nome generico (Helianthus) deriva da due parole greche: "helios" (sole) e "anthos" (fiore) in riferimento alla tendenza, nota come eliotropismo e tipica di tutti i girasoli, a girare sempre il capolino verso il sole. L'epiteto specifico tuberosus indica che la sua radice è un tubero. Ha fusti eretti, rotondi e setolosi, ricoperti di foglie sia opposte che alterne, grossolanamente seghettate, ricoperte di peli ruvidi su entrambe le pagine. I capolini dei fiori, con un diametro di 6,8 centimetri, sono singoli, di media grandezza, muniti di lunghi peduncoli. I piccoli tuberi bianchi, dolci e nutrienti, sono stati per molto tempo consumati in Europa, per poi essere tralasciati a favore delle tante varietà di patate. Il topinambur comunque non ha perso il suo interesse come pianta da giardino: facile da coltivare, prospera felicemente in ogni terreno ben drenato, se non è eccessivamente ricco e troppo freddo.
Il metodo più comodo per la sua riproduzione è la divisione dei tuberi: nel tardo autunno si possono estirpare le piante mettendo a nudo quelli intorno alle radici più vicine al fusto principale, che si raccolgono con facilità.
La prolificità dell'Helianthus tuberosus è maggiore di quella della patata; se lo si vuole coltivare come mangime per i maiali – quelli fortunati che vivono allo stato semibrado e non in allevamenti intensivi – è sufficiente liberare gli animali sul campo perché facciano piazza pulita.
Oltre che per la bagna caöda, in cucina i tuberi si usano sia crudi che bolliti, ottimi come base per sformati dal sapore delicato che ricorda quello dei carciofi. Conditi con olio e aceto, l'insalata che se ne ricava è un ottimo piatto invernale.
Si potrebbe essere portati a chiedersi se gli scienziati abbiano agito saggiamente nel presentare agli statisti del mondo questo spaventoso problema.
In realtà non c'era scelta.
Una volta acquisite le conoscenze di base, qualsiasi tentativo di impedirne la fruizione sarebbe futile quanto sperare di impedire alla terra di girare intorno al sole.
Enrico Fermi
In Piemonte si coltivano interi campi di topinambur, dedicati al fiorente mercato dei tuberi che danno lustro alla cucina della tradizione. Come la patata e tante altre piante, anche questa non è nostrana, ma ha saputo adattarsi bene ai nostri habitat ai nostri climi senza eccessi, e, facendo il bilancio, ha portando più vantaggi che danni.
L'uomo nelle sue migrazioni e colonizzazioni ha favorito da sempre, consapevole o involontariamente, il trasporto di vegetali e di animali in tutto il mondo. Solo con l'avanzare degli studi sull'ecologia si è capito chiaramente che ogni organismo riveste, nel luogo d'origine, un ruolo preciso e occupa una ben definita nicchia ecologica, in equilibrio con gli altri elementi dell'ambiente. E' raro che le specie introdotte si inseriscano in modo armonico in un habitat nuovo, perché manca il processo di co-evoluzione che permette il mantenimento dell'equilibrio: nella maggior parte dei casi concorrono ad accelerare i processi di degrado ambientale, determinando l'estinzione o la riduzione dell'areale di distribuzione delle specie indigene.
Oggi una delle principali cause, riconosciute a livello internazionale, della riduzione del livello di biodiversità nel mondo, è la presenza di specie alloctone che si sviluppano in maniera incontrollata se, una volta introdotte in un determinato contesto territoriale estraneo al loro areale d'origine, trovano condizioni adatte al loro sviluppo e mettono a punto strategie di adattamento che le portano all'invasività, provocando danni non solo ambientali, ma anche economici e addirittura alla salute pubblica. Possono ridurre la produzione delle colture agrarie, danneggiare infrastrutture e manufatti, aumentare i costi di manutenzione e gestione del territorio, essere nocive per la salute dell'uomo producendo sostanze che provocano reazioni allergiche o di altro tipo, tramite contatto con parti della pianta o per inalazione del polline. Il problema è così serio da aver richiesto la creazione di uno spazio di confronto tra i diversi enti che in Piemonte si occupano di specie vegetali esotiche e delle problematiche tecniche e gestionali legate alla loro presenza in ambito agricolo, sanitario e di conservazione della biodiversità. E' stato attivato un gruppo di lavoro sulle specie vegetali esotiche: il suo primo compito è stato redigere elenchi (Black List) di quelle invasive, che causano o possono causare particolari criticità sul territorio e per le quali è necessario applicare misure di prevenzione, gestione, lotta e contenimento.
Il nostro tobinambur, che illumina di giallo le campagne di inizio autunno, non rientra in quegli elenchi da lista nera: possiamo continuare senza angoscia a pulire i suoi tuberi dalla terra per le nostre tavole, con un pensiero al mondo che cambia e si evolve. Ne siamo parte in causa finchè proviamo a mettere in pratica le strategie necessarie per salvaguardare, insieme al nostro benessere, la sua armonia.