Il Codice civile stabilisce che si è responsabili dei danni che i propri beni possono arrecare ad altri, a meno che non si provi che l'evento è stato causato da un caso fortuito, come lo può essere un evento meteorologico di eccezionale intensità, anche se questi ultimi attualmente non possono più essere considerati di "eccezionale" intensità. Ne consegue che per la legislazione italiana, se una pianta cade, va individuato un colpevole e questo porta a una serie di conseguenze che hanno un impatto anche sul modo in cui viene gestito il patrimonio vegetale.
La classificazione delle piante
Anzitutto c'è da dire che le piante ad alto fusto sono "trattate" in modo differente, a seconda che si trovino in ambito urbano, oppure no: in un contesto cittadino vengono controllate una per una. In questo caso si ha a che fare con piante singole, messe a dimora appositamente a gruppetti o in viali, per i quali il metodo più utilizzato per determinare il loro futuro è la VTA, una valutazione di stabilità degli alberi che individua diverse classi di propensione al cedimento: le piante in A e in B sono le più sane, quelle in classe C sono problematiche, quelle in C/D necessitano di interventi di riduzione della pericolosità, quelle in D sono da abbattere. Gli alberi sani non dovrebbero essere mai abbattuti, a meno che, per ubicazione o conformazione, siano concorrenti, con effetti nefasti, di altre piante più meritevoli.
Quando la pianta è inserita in un'area boscata per la quale il pianificatore o gestore forestale individua la funzione ricreativa e turistica come prevalente, si effettua una valutazione a scala di popolamento; l'obiettivo prioritario resta quello di ridurre il pericolo, in questo caso delle aree maggiormente fruite quali le porzioni di bosco in prossimità dei sentieri, i punti panoramici o le aree di sosta, ad esempio le aree picnic. Questo è l'approccio con il quale la dottoressa Roberta Berretti, tecnico della ricerca presso il Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari (DISAFA), ha progettato un intervento selvicolturale nell'ambito della proprietà forestale del Comune di Torino, all'interno del Parco Naturale della Collina di Superga, uno dei tre parchi naturali in capo alle Aree protette del Po piemontese.
E' il buonsenso che deve guidare le scelte
Questo metodo implica la ricerca di un compromesso tra la riduzione del rischio legato alla stabilità delle piante e gli altri obiettivi dell'intervento. Quando ad esempio, a garanzia della biodiversità, si rilasciano delle grosse piante morte in piedi, a invecchiamento indefinito o alberi monumentali, è opportuno valutare con attenzione la loro localizzazione rispetto alle aree più frequentate.
Quando questa scelta non è possibile il gestore può considerare la possibilità di seguire la stabilità della pianta nel tempo, intervenendo ogni qualvolta si evidenzi il rischio di cedimento di parti della chioma o del fusto, rimuovendo progressivamente gli elementi a pericolo di caduta, sino ad arrivare alla creazione di un totem alto pochi metri composto esclusivamente dal fusto. Un selvicoltore attento alla fruizione naturalmente non può annullare il rischio ma ha il compito di delineare uno strumento di gestione efficace ed economicamente sostenibile su ampie superfici.
La stabilità degli alberi e dei popolamenti forestali, inoltre, deve essere contestualizzata in uno scenario di crisi climatica nella quale gli eventi estremi (tempeste di vento, grandi incendi, piogge intense) saranno sempre più frequenti e di impatto. L'intervento selvicolturale deve dunque, anche nei contesti di maggior fruizione, avere l'obiettivo di incrementare la stabilità complessiva delle strutture forestali favorendone una maggiore articolazione con popolamenti pluristratificati e composti da piante di diverse specie ed età.
Bisogna precisare la crisi climatica in atto è un fattore imprescindibile per qualsiasi valutazione e reazione ed è un serpente che si morde la coda: gli eventi meteorologici saranno sempre più impattanti in futuro, questo si sa, e anche le piante saranno sempre più toccate da questi fenomeni. D'altro canto, proprio per questo motivo, ci sarà sempre più bisogno di alberi che contribuiscano alla qualità dell'aria, che trattengano le frane e i cedimenti degli argini con le loro radici, che ci proteggano dalle isole di calore che si creano d'estate nei centri abitati soprattutto, che ci aiutino insomma ad affrontare il cambiamento del clima.
L'imprevedibilità e la sicurezza sono temi particolarmente sensibili negli ambienti urbani e da tempo oggetto di dibattiti e proposte. Un percorso possibile viene individuato dal progetto "Sicuramente alberi" partendo dall'assunto che "la tendenza a una progressiva deresponsabilizzazione dell'individuo nel rapporto con l'ambiente in cui vive porta a trascurare le dinamiche della natura, non sempre compatibili con l'uso antropico, e a cercare in accadimenti naturali, talvolta in modo ossessivo, errori e/o negligenze da attribuire ai soggetti gestori. I soggetti deputati alla gestione dei soprassuoli arborei, in particolare se amministrazioni pubbliche, devono talora conciliare l'esigenza di sicurezza del fruitore con quella di tutela della dimensione naturale del patrimonio vegetale".
Quello che c'è da augurarsi è un cambio di atteggiamento, di prospettiva, di visione, il che implica essere responsabili di noi stessi e imparare a riconoscere i rischi che corriamo. Le piante sono esseri viventi, come tali soggetti a malattia e morte, proprio come noi esseri umani. Dunque, il loro percorso di vita non è completamente prevedibile, non si può esigere sicurezza al 100% perché non fa parte di questo mondo. Bisogna ripartire dall'idea che chi transita sotto un albero è consapevole di correre un rischio minimo; non è il padrone dell'albero che deve garantire che non gli cada in testa, il rischio è in capo a chi ha scelto di correrlo.
L'importanza delle scelte corrette: dalla scelta degli alberi...
Di certo la gestione del verde è molto complessa e non si può improvvisare, servono competenza, esperienza ed equilibrio. Il patrimonio vegetale deve essere custodito con cura ed è un processo che include il tenere conto di molte variabili.
Per nulla di poco conto è anche l'individuazione delle piante più idonee ai vari contesti: non si può piantare qualsiasi specie ovunque, ciascuna ha le proprie esigenze e ci sono specie più adatte di altre a resistere a periodi di siccità prolungati, oppure agli eventi estremi. La scorsa estate c'è stata una grande morìa di betulle e di faggi. Il motivo è che sono specie adatte a climi freschi e piovosi che in pianura hanno potuto vegetare bene fino a quando il clima non è cambiato, poi, semplicemente, non hanno più avuto gli strumenti per reagire. Alcune specie di quercia dell'areale mediterraneo, come la roverella, pur non riuscendo a sottrarsi a una condizione di forte stress, attivano una strategia di difesa che le porta a una sorta di dormienza o quiescenza estiva, paiono morte ma riposano, rimetteranno le foglie in autunno (non sfuggendo comunque nemmeno ai danni dovuti al freddo che incombe).
Dunque per il futuro dobbiamo necessariamente piantare molti alberi, ma scegliendoli bene e prendendoci cura di loro, anche lasciando fare alla natura. Ciò non toglie che alle volte siano da intendersi interventi di cura anche le riduzioni della massa legnosa, le potature, sempre che siano oculati.
... alla loro potatura
E qui occorre aprire una parentesi sull'uso dell'aggettivo oculato, che letteralmente significa 'che ha buoni occhi per distinguere, prevedere ed evitare ciò che può esser dannoso': le potature possono rappresentare un vantaggio oppure un grande rischio per gli alberi. Non è che le potature non vadano fatte, anzi, in certi casi sono necessarie e migliorative, però bisogna essere consapevoli di ciò che si va a fare.
"I tagli selvaggi, come se ne vedono fin troppo spesso, fanno male alla pianta, sovente la portano alla morte, e sono anche inaccettabili dal punto di vista estetico perché snaturano il portamento degli alberi e impoveriscono il paesaggio: i 'danni collaterali' delle pratiche errate non risparmiano neppure i viali alberati di pregio. Prendersi buona cura di una pianta significa anche cercare di tagliare rami di piccole dimensioni (sempre meglio se al di sotto dei cinque centimetri), il recidere branche molto grosse provoca il formarsi di estese ferite che favoriscono l'ingresso di patogeni" spiega il dottor Andrea Ebone, tecnico dell'Istituto Piante da Legno e Ambiente S.p.a. (IPLA) "In quel modo si predispone la pianta alla morte lenta, la si indebolisce, le si rende impossibile fronteggiare la carenza idrica, le intemperie, l'aggressione da parte dei patogeni che ne riducono la stabilità strutturale, così diventerà pericolosa e la sua fine sarà lo schianto o l'abbattimento".
"Spesso nelle città e nei centri urbani vediamo piante capitozzate, cioè con i rami tagliati sopra il punto di intersezione con il tronco o un altro ramo principale dopo la rimozione massiccia della chioma che può arrivare anche al 100%" aggiunge Ebone. "Questa pratica deriva dall'ambiente rurale di un tempo, in cui era diffusa per la raccolta della frasca (si pensi ai gelsi per l'allevamento dei bachi da seta) o alla legna da ardere o per altri usi (per esempio paleria e manici per attrezzi); per evitare il pascolo dalla ceppaia si tagliava a capitozzo per non far raggiungere i ricacci dagli animali. Si faceva così per mantenere viva e vitale la pianta, peraltro, la capitozzatura era eseguita su alcune specie che la tollerano maggiormente, come il salice, il pioppo e il gelso per esempio. In una dimensione diversa come quella urbana, magari anche ripetendo il taglio nel tempo e perdipiù su piante incompatibili con questa pratica, è una sciagura".
Ebone precisa che la questione delle potature è cruciale, è un mestiere e ha dei costi. "Una cosa è certa: lavorando sui rami piccoli ci vuole il doppio del tempo e costa ovviamente di più, ma a lungo andare i tagli mal fatti, rimuovendo rami di grosse dimensioni, si pagano a più caro prezzo: le piante malate e instabili rappresentano sempre un pericolo. Il risultato è che il fogliame nel tempo 'impazzisce' perché la pianta reagisce generando una chioma sproporzionata con tanti rami che salgono in altezza. I tagli non appropriati non risolvono mai i problemi ma li aggravano".
"Spesso influisce anche l'inadeguatezza delle attrezzature" prosegue Ebone. "Racconto un fatto, definiamolo folcloristico, ma capita anche questo: un tecnico comunale, alla domanda: 'perché potate le piante così in basso visto che non è necessario', mi ha risposto, candidamente, che il loro cestello arrivava solo fino a lì; dunque, se il cestello è alto 10 metri, le potature si fanno a 10 metri, indipendentemente dal tipo di pianta, dalla sua dimensione e dal taglio di cui può aver bisogno. Proprio così, la decisione è presa solamente sulla base dello strumento di taglio disponibile sul momento. C'è anche un altro aspetto: molto spesso le potature vengono gestite come un qualcosa di ordinario, il che di per sé non è sbagliato, ma non basta, a questa modalità occorre aggiungere complessità; voglio dire che, per fare un esempio, non è corretto programmare tagli ad anni fissi, perché può darsi che nell'evoluzione di quella determinata pianta non ce ne sia bisogno; quindi, è indispensabile seguire tutto il processo di crescita con competenza per saper intervenire nel modo e nei tempi più opportuni".
Anche il periodo di taglio va rispettato. "Gli interventi di potatura vanno fatti nel tardo inverno quando non si rischiano più le forti gelate, mai in primavera quando le piante sono in piena espansione oppure in autunno, quando anche le possibilità di propagazione di funghi agenti patogeni è maggiore; in estate sono possibili tagli purché molto leggeri. La Scienza ci dice che la potatura migliore è quella che, in breve tempo, non si nota più, che si adegua alla forma dell'albero, alleggerisce il superfluo, elimina i rami guasti o secchi, rinforza le ramificazioni e permette alla luce di filtrare tra le foglie". Gli alberi di alto fusto, adulti, nel loro pieno vigore, lasciati crescere come la natura ha inteso generarli e modellarli, sono una bellezza, un valore che ci nutre.
Il Regolamento che aiuta a gestire il bosco
Altro tema non meno importante è la gestione del bosco, che non può essere lasciata al caso e in mani inesperte. La Regione Piemonte, a questo proposito, ha un proprio regolamento forestale da tenere presente. Per ricevere informazioni e per qualsiasi necessità selvicolturale, ci sono gli Sportelli forestali. "Il Regolamento si basa su concezioni ecologiche di selvicoltura naturalistica" spiega Berretti, "di regola nel bosco deve essere conservata una pianta morta a terra e una in piedi ogni 5000 metri quadrati (che scendono a 2500 nelle Aree protette e nei siti Natura 2000). Quando si tratta invece di un sentiero segnalato, di una pista fruita, non parliamo di una strada, è consigliabile tagliare le piante deperenti, lasciando totem alti attorno ai due metri che se anche collassano non fanno male a nessuno ma sono una ricchezza per la biodiversità. Il principio è che le piante morte attirano tanta vita e sono da salvaguardare assolutamente: gli alberi cariati sono alberi habitat, condomini di biodiversità, sovente vanno a farci il nido gli allocchi, sono un riparo per i pipistrelli, attirano insetti che dipendono, almeno in uno stadio del loro ciclo di vita, dal legno deperente o morto, ma anche funghi, batteri e altri vegetali".
I vegetali costituiscono la maggiore presenza di esseri viventi sulla Terra, da loro è scaturita la vita che garantiscono tuttora. Dobbiamo loro rispetto e cura, gli stessi che dobbiamo alla nostra casa comune. Questo è un solo minuscolo esempio delle loro abilità: l'esile e delicata Passiflora citrina (che per essere precisi non è una pianta autoctona, essendo originaria dell'America centrale), impiega meno di due minuti per spostarsi nella direzione in cui trova un punto stabile a cui allacciare i propri cirri.