Per saperne di più
Mastrorilli M., Della Pietà C., Gufi e civette, Muzzio editore, 2008
Se un re si distingue dalla stazza e dal portamento, con il Bubo bubo ci siamo: vicino a lui gli altri strigiformi, che sono tutti i pennuti dotati di sembianze da gufo, sono confusa plebaglia. È uno degli uccelli predatori più grandi d'Europa, con un'apertura alare che può arrivare quasi a due metri e una corporatura impressionante. Molto sarà per via delle piume che fanno volume, ma tra la postura, le dimensioni e gli occhi frontali, quando non vola sembra un bambino impettito intento a muovere i suoi primi passi alla conquista del mondo. I vistosi ciuffi auricolari, che non servono a sentire ma caso mai a intimidire, sono la sua corona, gli artigli il suo scettro, e quello sguardo arancione acceso, distante, vagamente spietato, è il tocco finale per sottolineare il cipiglio sovrano del gufo reale. La sottospecie italiana si chiama Bubo bubo bubo e la sua distribuzione è avvolta da un alone di mistero persino negli atlanti di ornitologia, non solo per le abitudini elusive che lo rendono difficile da censire, ma soprattutto per proteggerlo dalla cupidigia degli irriducibili collezionisti di grandi trofei, che vorrebbero le sue spoglie anche se fosse quasi estinto, fregandosene della legalità. È un predatore professionista e le sue tecniche di caccia sono più da imperatore assoluto che da magnanimo sovrano. Su terreni aperti con buona visibilità sceglie l'agguato: si piazza su di un posatoio in posizione dominante per osservare il territorio, poi, individuata la preda, lancia la grande mole con sicura determinazione, planando a un metro dal suolo. Nel momento dell'impatto protende le zampe, quei tarsi tozzi e brevi rivestiti da un principesco mantello di morbide penne, e "sguaina" gli artigli, nel senso che ruota i piedi verso l'esterno rivolgendo il terzo dito all'indietro e sfoderando una sorta di gabbia che si chiude a tenaglia sul malcapitato. Il quale, se non muore all'istante trafitto dalle unghie potenti, è finito a colpi di becco. Non c'è pietà per le vittime, solo una riguardosa distinzione per categoria sociale, dove il ceto è stabilito dalle dimensioni: le prede più grosse di solito vengono decapitate e poi fatte a pezzi; le altre, fino alla misura di un topo o di un merlo, ingoiate in un sol boccone come la nonna di Cappuccetto Rosso. Altra tecnica, che pratica dove non ci sono radure e l'appostamento è inutile perché manca la visuale, è la ricerca attiva, cui si dedica con scrupolo volando sopra le chiome degli alberi o lungo le pareti di roccia. Cerca animali inermi da sorprendere nel sonno o nidi da saccheggiare. È capace di far fuori intere covate, genitori compresi, tornando sistematicamente sul luogo del delitto fino a che non ha fatto giustizia dell'ultimo gustoso nidiaceo. Gli ornitologi al suo servizio, come valletti, si inchinano di fronte alla varietà di prede, testimoniate dai resti dei suoi regali rigurgiti. L'analisi delle borre permette un elenco lunghissimo: cuccioli di capriolo, camoscio e cinghiale, volpi, cani e gatti domestici, tassi e donnole, arvicole e ricci (questi è capace di "sbucciarli" degli aculei prima di inghiottirli, quando non li ingoia interi). E poi ancora, le borre rivelano anatre, picchi e piccoli passeriformi, pesci, lucertole, grossi coleotteri e cavallette. Se può scegliere preferisce pasti consistenti, quindi grosse prede, tipo conigli selvatici, lepri, tetraonidi, ma non si lascia travolgere dall'ingordigia al punto di rischiare grane: sa valutare secondo la stagione e la situazione fin dove vale la pena di sprecare energie ed evitare inutili rischi. Quando è il caso quindi va bene anche un topo, o una rana. Della selvaggina di grandi dimensioni preferisce i giovani, chissà se perché sono più teneri, o se perché solo un po' meno impegnativi. Comunque se ne ha l'occasione non esita a far fuori anche i suoi compari, gli altri predatori. Le borre raccontano le sue gesta e testimoniano le sue vittorie contro rapaci diurni e notturni: poiana, falco pescatore, astore, falco pellegrino, gheppio, allocco, barbagianni, civetta...
È un re stanziale e molto territoriale, e sceglie la sua giunonica regina, grossa un terzo più di lui, con l'intenzione di restarle fedele tutta la vita. Ogni tanto un gufo, dotato di sovrabbondante energia, riesce a far fronte a due mogli, come è stato documentato in Spagna, dove due femmine covavano a breve distanza l'una dall'altra, accudite dallo stesso maschio, un vigoroso di sangue caliente. Non è cosa da poco mantenere la consorte, dato che l'abitudine della specie vuole solo la femmina sul nido a covare mentre il maschio la deve nutrire, procurando almeno mezzo chilo di carne al giorno. Figuriamoci quando deve accudire due compagne: un macello, anche per la durata dell'impegno, che ha inizio, come vuole l'etichetta dei gufi, quando la femmina sta per deporre le uova, e dura finché i piccoli hanno un mese. La matrona depone 2 o 3 uova in un luogo scelto con duplice cura, che sia adatto ad allevare la prole al sicuro e che offra nei pressi un ampio territorio di caccia. Il nido non serve, basta una cengia, un anfratto tra le rocce, un luogo riparato dalle intemperie ma panoramico. Poi due grattatine sul terreno ed è quanto basta, la culla è fatta, pronta ad accogliere, dopo 34-36 giorni, ridicoli pulcini che di regale hanno ben poco, barcollanti pupazzi con gli occhi sgranati, rivestiti di un piumino color crema che li fa sembrare batuffoli di cotone. Quando nascono sono completamente inetti. Dopo una settimana aprono gli occhi, dopo due fanno i primi passi malfermi, e a un mese sono in grado di essere lasciati soli nel nido, con la mamma che sorveglia da vicino, pronta ad accorrere in soccorso se serve. Poi, come succede nei giovani animali, tutto va veloce: mentre il piumino da bamboccioni viene sostituito dal piumaggio adulto, con tanto di sfumature, maschere facciali, striature e macchie segnaletiche, i pulli imparano ad arrampicarsi sulle rocce o sui rami vicini, per raggiungere le prede che la madre, con intenti pedagogici, lascia per loro sempre più lontano dal nido. Quando hanno due mesi i giovani smettono di rincasare e da buoni adolescenti si disperdono nei dintorni, anche se continuano a essere nutriti dalla femmina fino a tarda estate, quando suona il gong dell'indipendenza. Quello è il momento di lasciare il territorio natìo e di conquistare ciascuno il suo spazio nel mondo eletto dei gufi di alto lignaggio. Il re dei gufi non ha praticamente nemici naturali e può vivere anche vent'anni (in cattività si è registrato il record di 56). Finché non è stato protetto dalla legge la sua minaccia numero uno era l'uomo, che ne ha fatto oggetto di collezione o uccello da richiamo e gli ha appioppato la nomea di nocivo, per la sua attrazione verso i nidiacei di tutte le specie. È straordinario lo scompiglio che riesce a creare un fantoccio che abbia l'aspetto del gufo reale, meglio ancora se dotato di un marchingegno che gli faccia muovere le ali, piazzato in pieno giorno in mezzo a un prato: i rapaci diurni diventano pazzi di rabbia alla vista di un intruso che usurpa loro le ore consuete. Lo attaccano con picchiate furibonde e ripetute, con un comportamento che, se oggi è diventato argomento di osservazioni etologiche, un tempo condannava il gufo reale a diventare zimbello vivo, usato con successo nella caccia agli altri rapaci. La sua presenza, oggi che per nemico non ha più l'uomo ma solo i cavi dell'alta tensione, è di sicuro sottostimata, ma è pur sempre un privilegio raro per chi non è del mestiere scoprire dove vive, andarlo a cercare e vederlo passare in volo planato, con quel profilo a barile, più grosso al centro del corpo che all'estremità, il grande capo tondo e la corta coda che rendono la sua sagoma inconfondibile. Non lascia altro tempo che quello necessario a stupirsi per il silenzio ovattato con cui la figura imponente si muove nell'aria. Nemmeno un fruscio si sente quando passa il gufo reale sorvolando il suo territorio di caccia, ma la sensazione di quell'ombra paurosa e silente, che sorvola la valle nell'ora del crepuscolo, rimane per sempre nella memoria.
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Mastrorilli M., Della Pietà C., Gufi e civette, Muzzio editore, 2008