«La montagna dolce oggi è un mercato florido. Lo prova il fatto che appena il Covid ci ha permesso di uscire di casa gli ospiti sono aumentati. E oggi continuano ad essere tantissimi». Guido Rocci, Presidente dell'Agrap, l'Associazione Gestori Rifugi Alpini, Escursionistici e posti tappa del Piemonte, non ha dubbi. Nell'estate 2021, in piena emergenza covid, si è verificato un inizio di un non ritorno nella riscoperta dell'avventura nei luoghi di prossimità, in quell'arco alpino che oggi continua a registrare ottimi numeri di affluenza, non solo più grazie allo sci da discesa. Passata la chiusura forzata, che ha coinvolto purtroppo tutta l'economia del paese, alla riapertura il turismo di prossimità è esploso. «Tutto subito abbiamo perso gli stranieri, è vero, ma li abbiamo presto recuperati. E il turismo di prossimità invece, che già prima del Covid 19 era in espansione, è andato sicuramente ad aumentare».
Ma di cosa si tratta? Cos'è questo turismo dolce di cui oggi tanto si parla? Lo scrittore Enrico Camanni, impegnato da oltre 30 anni sui temi del turismo alpino, la definisce come «L'unica idea di montagna capace di futuro». In contrapposizione con il turismo di massa, che oggi stenta a garantire un futuro alle comunità che vi si dedicano. Il turismo di massa infatti, che è sostanzialmente quello dello sci da discesa, è un turismo intensivo, pesante, universale, esclusivo, basato su scale territoriali sempre più ampie, molto rarefatte seppur destinate all'omologazione, esogeno, corporativo, autoreferenziale e dipendente da fattori esterni e incontrollabili, fortemente stagionalizzato e, infine, risolvibile in un mordi e fuggi. Mentre quello dolce è un turismo: estensivo, leggero, relativo, inclusivo, basato su scale territoriali piccole ma dense, endogeno, comunitario, extra-referenziale, destagionalizzato e indipendente da fattori esterni e incontrollabili.
Oggi le stazioni sciistiche abbandonate solo in Piemonte, e che per anni hanno garantito un indotto economico ai territori interessati, sono ben 36. Ed è un fenomeno purtroppo generalizzato, con 249 chiusure sull'intero arco alpino e 311 sulle montagne di tutt'Italia. Si tratta di piccole e medie località sciistiche di bassa quota, simbolo di un turismo alpino ormai al tramonto, un tramonto che poco alla volta sarà destinato a risalire le valli fino ad arrivare ad interessare anche le grandi stazioni sciistiche di alta quota. Questione di tempo. Perché lo sci da discesa ha per l'appunto bisogno di infrastrutture pesanti e impattanti, per nulla adattabili ai cambiamenti di cui è da sempre soggetta la montagna. Mentre, tornando al turismo dolce , quest'ultimo si adatta invece molto meglio al ritmo altalenante delle stagioni. In inverno ad esempio se nevica si ciaspola, altrimenti si cammina.
E percorrendo le valli alpine piemontesi si scopre che i montanari orfani di piccole e medie stazioni sciistiche hanno la pellaccia dura e sono capaci di rialzarsi ogni volta che l'uomo o la natura gli presenta il conto. Non per niente le comunità di montagna vengono definite resilienti, perché sono abituate ad affrontare i rigori del tempo e dello spazio. Scopri allora luoghi in cui i vecchi impianti da sci ormai abbandonati sono stati smantellati per dare una nuova chance al paesaggio che accoglie ospiti in cerca di nuove emozioni a contatto con l'ambiente naturale, un paesaggio di cui i montanari diventano gestori e guardiani. Altri in cui la seggiovia viene tenuta in funzione tutto l'anno per biciclette e trekking in quota, con gli sci che fanno la loro comparsa solo quando nevica in modo naturale. Trovi località in cui il menù internazionale o il pesce in alta quota è stato sostituito da vere e proprie esperienze culinarie di cibo di montagna, realizzate con prodotti locali di qualità valorizzati grazie all'aiuto di produttori coccolati, pronti a ospitare curiosi a caccia di esperienze originali e affamati di relazioni veraci. Scopri insomma che l'alternativa alla monocultura dello sci esiste già, anche in Piemonte, e che nascono legami forti tra ospiti e ospitanti, con numeri in costante aumento. Capisci che questa nuova forma di ospitalità dolce sta ormai contagiando sempre più persone che si occupano di turismo sulle Alpi, e che cominciano a mettersi in rete e a collaborare riuscendo a cambiare le sorti economiche, sociali e culturali di intere aste vallive orfane o mai toccate dal turismo di massa dello sci da discesa.
Un turismo dolce che si definisce come tale perché ha un approccio di curiosità e di scoperta per i territori, non ricerca la mera riproduzione di una visione di montagna data dalla pianura ma ne scova i tratti caratteristici e le mille sfaccettature; è fatto dai singoli e da gruppi di persone, non dalle grandi S.p.a. o multinazionali; predilige il contatto diretto con l'ospite e lo accoglie mostrandogli che non sempre vi è un camino tirolese ad aspettarlo, ma l'atmosfera appare non di meno calorosa; nell'offerta di turismo dolce sono importanti le attività complementari che ne decretano la polifunzionalità. La sostenibilità (ambientale, sociale ed economica) non è mero slogan bensì base per la stessa vitalità del comparto.
Come dice Enrico Camanni quindi il turismo dolce è un'idea di montagna capace di futuro, dolce, leggera e sostenibile: «dolce perché ha a cuore il rispetto dell'ambiente alpino, naturale e umano; leggera nella scelta dei mezzi di trasporto e delle attività, che rinuncia alle grandi infrastrutture impattanti e ai divertimenti rumorosi e inquinanti; sostenibile per il territorio, per chi lo vive e per chi lo frequenta, dal punto di vista ambientale,economico e sociale».