Per molti della mia generazione Cesare Pavese è stato l'Autore per antonomasia. La sua figura si è stagliata all'orizzonte dei nostri anni giovanili, ha abitato la nostra mente, ha orientato i nostri gusti e persino i nostri gesti. Qualcuno ha parlato a proposito di questo fenomeno come di una febbre dell'adolescenza; l'infatuazione per Pavese come un rito di passaggio verso la maturità. Noi "pavesiani" indossavamo sciarpe come quella che si vede in una famosa fotografia, sfondavamo le tasche dei cappotti riempiendole di libri, frequentavamo le piole di periferia. Andavo con i miei compagni di scuola a remare sul Po dopo aver noleggiato una barca; terrorizzato dalla paura di cadere in acqua, ero tentato di chinarmi a baciare la terra ogni volta che si approdava a riva. Pur vedendoci benissimo, avevo preteso dai miei genitori una visita oculistica per avere delle lenti che facessero "riposare la vista" ed esibire occhiali con una montatura identica a quella di Pavese. Appena sono stato in grado di farlo, sono andato in pellegrinaggio a Santo Stefano Belbo a visitare i luoghi dov'è ambientato l'ultimo romanzo pubblicato in vita da Pavese, "La luna e i falò". Non c'erano ancora le insegne messe a cura del Centro Studi ma, con il libro in mano, non era difficile riconoscere la curva del Salto, la Gaminella, il balcone dell'albergo sul quale il protagonista che parla in prima persona si sedeva a fumare e si affacciava sulla piazza. Nuto, l'amico falegname che suonava il clarino era ancora vivo e riceveva tutti quelli che volevano fargli visita per parlare del suo celebre amico. Date queste premesse, non potevo che sentirmi gratificato dal progetto dei sentieri letterari, che sono qualcosa di più e di diverso dalla semplice visita ai luoghi cari alla vita e all'opera di uno scrittore amato.
Da un sentiero allestito con cura e rispetto riverberano conseguenze positive sia per una migliore comprensione dell'opera dell'autore che per un ampliamento delle attrattive del luogo. Sono percorsi organizzati per una fruizione guidata, scandita e sorretta da supporti di varia natura, letture ad alta voce, musiche, immagini fisse e in movimento. Un sentiero letterario per restare attivo ha bisogno di un calendario di eventi, anche piccoli, di una costante manutenzione. Altrimenti rischia di fare la fine dei siti che molti, sulla spinta dell'entusiasmo iniziale, aprono su internet, salvo poi dimenticarsi di alimentarli e aggiornarli. Non tutti gli scrittori si prestano a dar vita a un sentiero letterario, a prescindere dal posto che occupano nel pantheon della letteratura. Il saggio critico più esauriente su Pavese è di Armanda Guiducci e risale a molti anni or sono: s'intitola significativamente "Il mito Pavese". Non dobbiamo avere paura di usare la parola "mito" a proposito di uno scrittore che abbia raggiunto quel traguardo, per un intreccio forte fra la vita e le opere. L'altra condizione è che lo scrittore abbia tracciato con le sue narrazioni una mappa nello stesso tempo precisa e fantastica di un territorio ben delineato e riconoscibile. Pavese da un lato e Beppe Fenoglio, con la sua epica partigiana e anti eroica, sono perfetti da questo punto di vista. Proviamo a vedere fra gli scrittori piemontesi di fama consolidata chi si potrebbe prestare all'ideazione di un sentiero. Vittorio Alfieri appena ha potuto farlo se ne è andato dal ducato di Savoia e le sue tragedie sono collocate in un altrove lontanissimo nello spazio e nel tempo. Per l'Ottocento abbiamo tre papabili: per Giuseppe Giacosa in Canavese ci stanno già pensando; Edmondo De Amicis sarebbe tutto nella cerchia torinese; Emilio Salgari (veronese di nascita ma torinese di fatto) avrebbe più che altro un percorso fra la biblioteca civica e le colline del Po, dove andò a fare karakiri nel 1911. Nel Novecento i papabili sono più numerosi: intanto Guido Gozzano, ma Agliè è visitata non per il Meleto ma per Elisa di Rivombrosa; Lalla Romano, per la quale si sta muovendo Demonte, il suo paese natale; Natalia Ginzburg, Primo Levi, Italo Calvino, Giovanni Arpino. Fra i più recenti vedrei bene, anche se è prematuro parlarne, Sebastiano Vassalli che ha ambientato molte sue storie nella pianura sotto il monte Rosa e Nico Orengo, da poco scomparso, creatore di un borgo letterario vero e densamente popolato di personaggi, però collocato in parte all'estrema punta occidentale della Liguria e in parte addirittura oltre il confine francese.
Piemonte Parchi
I miti che restano
- Bruno Gambarotta
- aprile 2010
- Giovedì, 15 Aprile 2010