Aspirare dall'aria l'anidride carbonica, mescolarla con l'acqua di mare e iniettarla in una soluzione fluida a contatto con le rocce basaltiche in ambiente oceanico, per vederla trasformarsi in un minerale carbonatico inoffensivo, sottraendola così all'atmosfera, che diventa un po' più pulita.
Questo, in sintesi, il percorso della tecnica di Carbon Capture and Storage - Cattura e stoccaggio del carbonio (CCS), oggetto delle ricerche del team di cui fa parte Mauro Passarella, ricercatore post-dottorato in Geologia presso il Centro per la Ricerca sulle Acque Profonde, del Dipartimento di Scienze della Terra dell'Università di Bergen (UiB), in Norvegia. La ricerca è finanziata dal progetto SEAS (Shaping European Research Leaders for Marine Sustainability / Formazione dei Leaders della Ricerca Europea per la Sotenibilità Marina) con fondi dal programma di ricerca e innovazione Horizon 2020 dell'Unione Europea tramite una borsa di studio Marie Sklodowska-Curie.
Una possibile soluzione contro il riscaldamento globale
Trasformare l'anidride carbonica, principale responsabile del riscaldamento globale, in una roccia inerte persa nei fondali oceanici sembrerebbe essere la panacea per i mali della nostra epoca, che in molti hanno ribattezzato "Antropocene". Ma non bisogna lasciarsi prendere da facili entusiasmi.
«L'umanità – spiega Mauro Passarella - ogni anno inserisce in atmosfera 40 gigatoni di CO2: un valore enorme, se si considera tutto il dispendio energetico derivante da macchine, case, riscaldamento. Un valore talmente grande che sta facendo incrementare il livello di ppm (parti per milione) fino a raggiungere quota 420-423». Quasi 700 Gt (gigatoni) di CO2 di origine antropica sono stati immessi nell'atmosfera dal 1850. Le emissioni di CO2 indotte dall'uomo sono aumentate costantemente negli ultimi 150 anni o più, e questo tasso di emissione è andato accelerando nel tempo. Considerando l'attuale popolazione globale di 8 miliardi, l'emissione di 40 Gt di CO2 all'anno - registrata nel 2019 - equivale a 5 tonnellate di CO2 pro capite all'anno.
Le tecniche di cattura e stoccaggio del carbonio saranno mai abbastanza impattanti da contribuire a limitare il riscaldamento globale? La risposta a questa domanda non è chiara ancora. La ricerca di Passarella si sta concentrando sullo stoccaggio del carbonio nel basalto ma è solo una piccola parte di tutte le tecniche disponibili, che non si limitano solo all'ambiente oceanico ed investono anche la terraferma. In Norvegia la CO2 viene stoccata negli acquiferi salini o negli spot dei pozzi di estrazione di petrolio e gas esausti, non più utilizzabili, con conformazioni geologiche particolari. Eppure, nonostante ciò, lo stoccaggio di anidride carbonica nel basalto, in mare o sulla terraferma, non può arrivare a coprire tutto il pregresso presente in atmosfera.
«Tutte le tecniche di stoccaggio – spiega il ricercatore piemontese – purtroppo corrispondono solo allo 0,01% di ciò che dovremmo fare. È un valore ancora basso ma bisogna accelerare tantissimo. Ovvio che queste tecniche sono solo da supporto a un generale cambio di paradigma. Seppure riuscissimo a eliminare i combustibili fossili e utilizzassimo da oggi solo fonti di energia rinnovabile ci vorrebbero un centinaio di anni per arrivare a livelli pre-industriali di CO2 accettabili per l'umanità». Ma nonostante sembri trattarsi di un'impresa titanica, Passarella si dice molto stimolato da questa sfida, per dimostrare il supporto che la tecnica può dare, sfruttando un processo naturale che avviene da anni e che si vuole promuovere ed accelerare.
«Dobbiamo arrivare assolutamente – aggiunge il ricercatore geochimico - in una decina di anni, ma anche meno, ad eliminare completamente l'uso dei carbon fossili, altrimenti questa ricerca non avrebbe senso. Deve esserci un piano ben preciso di transizione energetica che preveda l'utilizzo delle rinnovabili ma anche l'eliminazione del carbon fossile: cosa che non può avvenire dall'oggi al domani. Il nostro sistema è costruito sull'estrazione di petrolio e gas e non si può certo fermare di colpo. La nostra conoscenza scientifica e ingegneristica deve concentrare tutti i suoi sforzi su questo obiettivo, sfornando nuovi punti di stoccaggio e trovando nuove soluzioni».
Lo stoccaggio dell'anidride carbonica
La tecnica di stoccaggio della CO2 in ambiente oceanico - con simulazioni in laboratorio - è stata usata per la prima volta dieci anni fa in Islanda. Le simulazioni sono sempre riproduzioni a piccola scala in laboratorio per rappresentare l'ambiente naturale, avvicinandosi il più possibile alle condizioni reali. La roccia basaltica è una roccia vulcanica estrusiva ed è la più comune sulla superficie terrestre, presente sia sui fondali marini che in alcuni punti della crosta. Occupa il 50, 60% della crosta terrestre, spiega Passarella, ed ha le migliori qualità per lo stoccaggio.
La CO2 è presente come gas in atmosfera ma è convertibile in fase liquida e solida. Ed è proprio su questo che interviene la tecnica, attraverso tre passaggi. L'anidride carbonica gassosa viene catturata, convertita in liquida e poi mescolata con un'altra soluzione liquida (tipo acqua di mare) e, una volta trovate condizioni stabili, si crea equilibrio fra i due liquidi dissolti in maniera omogenea. Questa unica soluzione di acqua di mare e CO2 liquida viene poi iniettata in ambiente oceanico continentale in contatto con la roccia basaltica. Il contatto fra fluido contenente acqua di mare e la CO2 liquida dissolta in contatto con la roccia, attraverso reazioni geochimiche, trasforma l'anidride carbonica in minerale solido.
Questo processo non richiede nessuna energia, se non utilizzando specifiche condizioni di temperatura e pressione, in cui le reazioni chimiche possono essere accelerate o meno.
Lo stoccaggio può avvenire anche negli acquiferi salini o negli spot di pozzi di estrazione di petrolio e gas esausti. In questi casi, la CO2 viene lasciata a livello liquido, iniettata in questi ambienti e monitorata affinché non riscivoli in superficie a contatto con il fondale oceanico.
«La materia prima di questi processi può derivare dall'aria ma da qualsiasi meccanismo industriale che la produce. La cattura della CO2 in aria è una tecnica usata solo da pochissimi anni - racconta il geochimico piemontese. Viene aspirata dall'aria con dei filtri che la intrappolano e, con un sistema energetico di riscaldamento, è poi tolta dagli stessi filtri, immagazzinata e iniettata in fase gassosa o liquida all'interno dell'ambiente oceanico». Quella di Passarella nasce come ricerca universitaria in collaborazione accademica con un'azienda multinazionale: l'obiettivo è trovare una soluzione meno costosa per stoccare l'anidride carbonica nel basalto e sottrarla così all'atmosfera, dando un contributo – si spera – sempre più importante al contenimento del riscaldamento globale.
Chi è Mauro Passarella
Nasce 38 anni fa a Volpiano, in provincia di Torino. Dopo aver frequentato il Liceo scientifico a Chivasso nel 2004 si iscrive all'Università di Torino dove consegue la laurea triennale in Geologia. Svolge il suo Erasmus nell'osservatorio sismico di Guadalupa, nelle Antille.
La sua ricerca geologica si incentra sulla geotermia, prima importante energia rinnovabile, presente anche in Italia. Nella sua tesi si occupa dello stoccaggio del calore: come immagazzinare calore nel terreno e sfruttarlo per l'inverno. La laurea specialistica è conclusa nel 2010.
Dopo aver trovato una posizione di dottorato all'estero sulla geotermia, si trasferisce per 4 anni e mezzo in Nuova Zelanda al Gns science, una sorta di Cnr incentrato sullo studio della geochimica idrotermale.
In quel periodo si occupa di studiare le interazioni in laboratorio tra fluido e roccia per capire come il fluido si comporti a contatto con la stessa roccia, quali minerali vengano a formarsi e come questo incida sulla riserva geotermica centinaia di metri al di sotto della crosta continentale.
Ma non si occupa solo di geotermia on-shore. Il ricercatore studia anche le alterazioni idrotermali a livello marino, con simulazioni in laboratorio che ricreano un ambiente che si trova 4-5 chilometri al di sotto della crosta, per studiare le interazioni fra acqua di mare e roccia basaltica. È questo il suo primo approccio con gli studi sperimentali che sfruttano il basalto.
Mauro Passarella studia così le interazioni fluidi-roccia ad alte temperature e pressione, in una specifica macchina in laboratorio che simula il passaggio dell'acqua di mare dentro la crosta oceanica. Le temperature sperimentate si spingono fino a 400 gradi e le pressioni fino a 500 bar: si tratta di condizioni estreme.
Nel 2018 per un problema familiare si vede costretto a tornare in Italia e congelare il dottorato per un anno. Nel 2019-2020 avrebbe dovuto rientrare in Nuova Zelanda ma il Paese si chiude completamente per l'epidemia da malattia Covid 19 e non riesce ad andarci.
Successivamente vince una posizione di post-doc all'Università di Bergen, nel dipartimento di Scienze della terra e Geologia e continua gli studi sperimentali sulle interazioni basalto-fluidi (come acqua di mare, brina e acqua pura) aggiungendo l'anidride carbonica all'interno del sistema. Ed è qui che nasce il progetto di stoccaggio della CO2 in ambiente oceanico.