Ailanti, verdi muse,
voi germi di un'estate
che trabocca dai parchi,
versati nel costato
delle muraglie, ailanti,
lance bronzee
su strade spoglie,
arbusti intrusi
delle boscaglie
è sempre in agguato
tra le siepi ordinate
celati, flessuosi
nei bei giardini,
coi rami agili
ailanti clandestini
(Italo Testa)
Originario della Cina, il suo nome ufficiale è Ailanthus altissima, erroneamente chiamato anche sommaco o noce americano, data la vaga somiglianza tra le due specie.
Fu introdotto in Europa già nel XVIII secolo come pianta ornamentale. E' rustico, vigoroso, rapido nella crescita e nel riprodursi per seme o per ricaccio di polloni, competitivo a tal punto da colonizzare vaste zone marginali e aree dismesse, sfruttare aiuole poco curate, fessure di muri e cortili. Si impadronisce di radure e vallate spodestando la vegetazione originaria – come nel caso dell'isola di Montecristo – anche per allelopatia: radici, corteccia e foglie rilasciano molecole che inibiscono la germinazione e lo sviluppo delle piante vicine. A dispetto dei suoi nomi popolari, "Albero del cielo" o "Albero del Paradiso", evocatori della sua rapida crescita verticale, le glandole oleifere alla base delle lamine fogliari emanano un odore sgradevole.
La sua storia entra nella via della seta. Alla metà del XVIII secolo, in Italia l'allevamento del baco da seta conobbe un periodo di difficoltà: i bachi morivano di malattia e non si riusciva a trovare un rimedio efficace. Così avvenne che un italiano importò dalla Cina un altro baco, il bombice dell'ailanto (Samia cynthia), che produceva seta di discreta qualità e che non si nutriva del gelso, ma delle foglie di questa pianta cinese, sconosciuta e apparentemente innocua.
La produzione durò alcuni decenni, finché qualcosa andò storto: i bachi dell'ailanto iniziarono ad avere difficoltà di ambientamento, mentre contemporaneamente quelli del gelso ripresero vigore, fino a recuperare la prima posizione per la qualità senza rivali della loro seta. Fallito l'allevamento del bombice dell'ailanto, che ci ha lasciato in eredità qualche sporadico incontro con la bellissima farfalla notturna della sua fase adulta, la pianta, dimenticata e lasciata libera di crescere e moltiplicarsi, si è rivelata un mostro a crescita rapidissima, con prodigiose capacità di rigenerarsi e di propagarsi. Dalla pianta madre pochi centimetri sotto terra adulta partono fusti sotterranei, che corrono in orizzontale per decine di metri in tutte le direzioni, penetrando le rocce, spaccando l'asfalto e il cemento, insinuandosi nei muri, originando polloni e nuove piante. Sradicare gli invasori è guerra persa. L'ailanto si è diffuso in pochi decenni in tutte le regioni d'Italia, in molti Paesi d'Europa, qua e là anche in altri continenti. Cresce di due metri ogni anno, in cinque anni è un albero svettante verso il cielo. L'unica arma contro questa piaga vegetale è il freddo: non cresce sopra i 1000 metri quota, l'alta montagna è in salvo. Non ama nemmeno le macchie e il fitto dei boschi, preferisce circondarne i margini.
"D'acanto d'ailanto d'agapanto"
Prima elegante come il ricciolo della foglia d'acanto, poi robusto come la corteccia d'ailanto, infine fragile come il fiore d'agapanto: in questa raccolta di poesie l'autore, Pietro Vertamy, si racconta bambino, adolescente, adulto, proiettando la sua ombra sul futuro ignoto con questi versi. Fanno venire il desiderio di guardare quell'ailanto dal nome tanto musicale e poetico con altri occhi, cercandone gli aspetti positivi. È un bell'albero, dal portamento fiero, con grandi foglie composite imparipennate, lunghe fino a 90 cm, simili a quelle delle felci. I piccoli fiori giallini, riuniti in racemi, si trovano nella parte terminale dei rami e, come le foglie, emanano un odore sgradevole. In compenso i frutti che gli esemplari femmina producono in estate - l'ailanto ha sessi separati-, samare rosse alate a ciuffi penduli e persistenti raccolte in pannocchie, giustificano appieno l'interesse che ha suscitato come pianta ornamentale. Le sue radici espanse sono utili nel contenimento di pendii franosi e scarpate ferroviarie; il fusto dà legno duro e pieghevole, legna da ardere, carbone, cellulosa. Nella medicina naturale le essenze della corteccia erano usate per contrastare la dissenteria, mentre con le foglie tanniniche si conciavano pelli e si tingevano tessuti di un bel giallo vivo.
I frutti non si diffondono così facilmente, a causa del loro peso, ma è l'estrema efficacia della propagazione vegetativa attraverso polloni radicali e da ceppaia a rendere la specie una calamità, in grado di colonizzare ampie superfici in brevissimo tempo, ad eccezione dei suoli con ristagno idrico. La produzione di polloni viene favorita dal taglio della pianta o da ferite alle radici. In condizioni normali i getti apicali possono avere un accrescimento di 1-2 metri all'anno. Nel caso dei polloni, invece, si possono registrare crescite di 3-4 metri all'anno, provocando la formazione di compagini dense e chiuse, che soppiantano completamente la vegetazione autoctona originaria.
Gli apparati radicali sono capaci di provocare danni a infrastrutture, opere murarie ed asfalto. Oggi l'ailanto riveste con fitte boscaglie i bordi delle strade, gli ambienti urbani e ruderali, le scarpate, le massicciate delle ferrovie, gli spartitraffico delle autostrade, le cave e i cantieri.
E' una pianta ben riconoscibile: poco ramificata, con la corteccia grigia, liscia negli esemplari giovani e più ruvida in quelli maturi. I rami dell'anno sono spessi come un dito, rosati ed elastici, dritti e con evidentissime radici fogliari triangolari. In autunno le foglioline che costituiscono l'insieme delle grandi foglie pennate cadono prima delle rachidi, dando agli alberi un aspetto più ramificato e intricato per qualche settimana. Poi cadono anche le rachidi e in inverno restano solo i grossi rami nudi.
Disgraziatamente gli umani sono imprevedibili
Spesso con le migliori intenzioni causano i danni peggiori.
(Luis Sepúlveda)
Come per la robinia, la lotta all'ailanto è molto difficile. Combatterlo tagliandolo è un errore, perché il taglio esalta le capacità rigenerative della pianta: in poche settimane compariranno ovunque nuovi polloni impossibili da tenere a bada. Attualmente sono in corso prove all'interno dei boschi cedui, per testare tecniche selvicolturali e metodi di lotta meccanica, con l'obiettivo di contenere la diffusione della specie. Può diventare una vera emergenza ambientale, per la sua capacità di occupare spazi vacanti, per esempio a causa di incendi o tagli indiscriminati, che gli permette di saturare lo spazio disponibile anche grazie alle tossine presenti nelle foglie e nella corteccia, che si accumulano nel suolo inibendo la crescita di altre specie. Per di più il numero di parassiti che ne infestano foglie o radici è minimo: oltre alla Samia cynthia, solo due coleotteri e una cocciniglia, contro le decine, se non centinaia, di piccoli nemici che minacciano le nostre latifoglie autoctone. Poco interessante per gli uccelli che non lo scelgono per costruire il nido, e anche per i boscaioli, che lo evitano perché il tronco spesso si spacca all'improvviso in senso longitudinale e perché il legno brucia male, sembra esistere solo per sottrarre spazio.
Documentarsi per contrastarlo
Il Gruppo di Lavoro Specie Esotiche della Regione Piemonte suggerisce, con schede precise reperibli online, buone pratiche a chi si trova ad affrontare il problema nei vari ambiti, agricolo, naturalistico, vivaistico, zootecnico.
Per il "problema ailanto" la prima raccomandazione è di evitarne l'utilizzo per scopi ornamentali, nei ripristini, nella vivaistica, poi promuovere azioni di contenimento nelle aree esterne all'area di intervento principale, con l'eliminazione degli individui porta-seme.
Nella progettazione di attività di cantiere con movimenti terra, per limitare la presenza di superfici nude di terreno, bisognerebbe, dove possibile, effettuare gli interventi di scavo e riporto per lotti successivi, prevedendo sempre la semina di specie indigene sui suoli resi nudi dagli interventi. Sarebbe da evitare l'utilizzo di terreno proveniente da aree esterne al cantiere, prevedendo un'area di lavaggio degli pneumatici degli autoveicoli in entrata ed uscita.
L'estirpo manuale è praticabile nelle prime fasi di sviluppo della pianta: è utile iniziare nelle aree meno invase, dove la vegetazione autoctona può ostacolare il ritorno dell'esotica. Anche il decespugliamento, ripetuto più volte nel corso della stagione vegetativa ai danni dei polloni emergenti dalle ceppaie o dai rizomi, può essere efficace per estinguere la capacità di rigetto dei rizomi stessi.
Le linee guida della Regione descrivono come effettuare il controllo degli esemplari adulti, attraverso la cercinatura dei tronchi ad anello a livello del colletto, con l'eliminazione della corteccia e l'incisione del tronco fino al cambio, per una fascia di almeno 15 cm. Questa pratica deve essere effettuata in primavera, alla ripresa vegetativa, quando è massima la pressione dei liquidi all'interno della pianta. Oltre che sugli adulti questa operazione può essere effettuata su individui giovani e su polloni. Gli esemplari dovranno essere lasciati morire in piedi.
Non sono esclusi interventi di tipo chimico: nelle aree nelle quali è consentito, è possibile impiegare erbicidi sistemici non selettivi ad ampio spettro, a completamento/rafforzamento di un intervento di tipo meccanico. Si deve intervenire su piante in attiva crescita, dalla primavera fino all'autunno. I trattamenti finalizzati all'eliminazione dei polloni aumentano di efficacia se effettuati in tarda estate-autunno, perché in questo periodo dell'anno la pianta intensifica il trasporto floematico di fotosintetati agli organi di riserva sotterranei.
Si procede in diversi modi. In seguito ad un intervento di taglio (cercinatura, taglio alla base del fusto, decespugliamento ripetuto) si possono spennellare le superfici tagliate con erbicidi, per estinguere la capacità rigenerativa di ceppaie e polloni. In alternativa è possibile realizzare alla base del tronco, con un trapano, una cavità lineare inclinata verso la radice dell'albero, fino a raggiungere il centro del tronco, quindi riempire la cavità ottenuta con erbicida e richiudere con mastice da innesti o terra.
L'applicazione localizzata degli erbicidi, con attrezzature idonee a ridurre il più possibile i fenomeni di deriva, è un intervento consigliato solo in caso di esemplari giovani e isolati che abbiano uno sviluppo in altezza inferiore a 150 centimetri. Nei casi in cui l'aspersione fogliare non sia applicabile per l'elevato sviluppo in altezza della pianta, se la corteccia è ancora erbacea si può spennellare con erbicidi una porzione del fusto di almeno 40-50 centimetri.
Il lavoro è impegnativo e va portato avanti su più fronti. Quando salta un equilibrio ambientale, lo scopo degli ambientalisti è ripristinarlo. Questo è un caso serio, ci vorrà tempo, difficile prevedere quanto.