Non inganni il nome del progetto: il termine "minnow" - che in inglese significa piccolo - si riferisce ad alcune specie di minuscoli pesci d'acqua dolce. Il progetto in sè, invece, è decisamente corposo. LIFE Minnow è stato inserito nella sezione "Nature and Biodiversity" del programma LiFE, lo strumento finanziario dell'Unione Europea per l'Ambiente e il Clima, e coinvolge l'Università di Torino – ente capofila e coordinatore – la Regione Piemonte, che partecipa in qualità di cofinanziatore, il Politecnico di Torino, la Città Metropolitana di Torino, le Provincie di Alessandria, Cuneo, Vercelli, l'Ente di gestione delle Aree protette del Po piemontese, l'Istituto Delta Ecologia Applicata. La durata è di cinque anni, con inizio nel 2022 e termine nel 2027, per oltre 5.400.000 euro complessivamente investiti.
Le specie gestite, la cui esistenza è in grande pericolo per una lunga serie di minacce che vanno dal cambiamento climatico, alla "competizione" con specie esotiche, alle alterazioni degli habitat, alle trasformazioni morfologiche dei corsi d'acqua, sono: la lampreda (Lethenteron zanandreai), la lasca (Protochondrostoma genei), la savetta (Chondrostoma soetta), il cobite (Sabanejewia larvata), il vairone (Telestes muticellus) e lo scazzone (Cottus gobio).
Tutelarle significa intervenire su un'estensione complessiva di 440 chilometri, lungo 21 corpi idrici, un'area che interessa anche 20 Siti della Rete Natura 2000.
Scendendo nel dettaglio, verrà ripristinata la connettività longitudinale e la qualità dell'habitat dei corpi idrici individuati e delle aree adiacenti, rendendo 16 barriere permeabili al passaggio dei pesci lungo 122 chilometri di corpi idrici minori, intervenendo anche sulla mancanza di una linea guida univoca, a livello nazionale o almeno di bacino, di gestione delle specie e degli habitat.
Sarà dunque migliorata la qualità dell'ambiente in 13 punti strategici, in tre corpi idrici principali e sei secondari, e questo avverrà attraverso interventi puntuali di ripristino degli argini con la rinaturalizzazione delle sponde e il recupero della vegetazione di ripa e con la riqualificazione di sei sorgenti.
Inoltre, lungo circa 170 chilometri di corsi d'acqua e in nove Siti Natura 2000 saranno introdotti circa 71.000 avannotti, sia dove sono presenti le 32 popolazioni residue, sia dove le specie risultano estinte. Sono infatti previste 47 'nuove' popolazioni. Tutto questo grazie alla riproduzione di novellame di quattro delle specie target in cinque allevamenti ittici nella Città Metropolitana di Torino e in provincia di Alessandria che, con l'occasione, saranno modernizzati.
Contestualmente, le specie alloctone, considerate per importanza la seconda minaccia alla biodiversità dopo l'alterazione degli habitat, saranno messe sotto controllo con l'obiettivo ultimo di ridurne le popolazioni. Gli interventi riguardano il pesce siluro (Silurus glanis), il cobite di stagno orientale (Misgurnus anguillicaudatus), il carassio (Carassius carassius), il gambero della Louisiana (Procambarus clarkii, Abramis brama), il cebaceck (Pseudorasbora parva), il barbo europeo (Barbus barbus) e l'aspio (Aspius aspius). Su questo tema è anche prevista un'azione innovativa: la realizzazione di una filiera per lo smaltimento della biomassa alloctona attraverso un accordo con un'azienda di mangimi.
Altro passaggio fondamentale del progetto è la replicabilità, per questo sono coinvolti il Parco naturale regionale del Queyras (Francia) e il Parco nazionale e regionale della Sierra Nevada (Spagna) che utilizzeranno le competenze acquisite sui propri territori.
Lo stato dell'arte del progetto
Ma ora 'Minnow' a che punto è? "Il progetto è iniziato da meno di un anno ma abbiamo già parecchi fronti aperti" risponde Stefano Fenoglio*, responsabile di progetto. "Primo passo fondamentale è conoscere meglio le specie da tutelare, capire perché sono quasi scomparse e quali sono le cause che hanno portato alla riduzione dei loro areali. Solo dopo potremo intervenire al loro recupero. Sulla lampreda abbiamo già rilevato dati importanti perché per la prima volta questa specie è stata trovata in diversi affluenti di destra del Po. In precedenza, praticamente il 99,99 per cento periodico delle segnalazioni indicava questa specie presente negli affluenti di sinistra, quelli che scendono dalle Alpi, mentre noi l'abbiamo trovata anche in corsi d'acqua provenienti dagli Appennini, come il Bormida e nel reticolo del Tanaro".
"Le nostre informazioni sulla lampreda erano che è un animale che vive nel fango, punto" prosegue Fenoglio. "Si sapeva invece molto della sua biologia, DNA ed evoluzione-. Tra l'altro è un Agnato, cioè un animale che non ha mandibole ed è più primitivo dei pesci, ma pochissimo delle sue esigenze ambientali. Per semplificare vogliamo sapere come mai la troviamo in questo corso d'acqua e non in quello. Per questo motivo abbiamo scandagliato, utilizzando la metodologia MesoHABSIM - Manuale tecnico-operativo per la modellazione e la valutazione dell'integrità dell'habitat fluviale italiano, una grande mole di dettagli ambientali, abbiamo rilevato le caratteristiche fisiche e chimiche del sedimento e definito le classi granulometriche, perché c'è fango e fango e anche conoscere la dimensione delle particelle che lo formano ha importanza. Così abbiamo scoperto che la larva della lampreda vive in uno strato di fango piuttosto fine e con poca sostanza organica, perché dove la sostanza è troppa ci sono anche tanti batteri che respirando le sottraggono ossigeno. Abbiamo poi misurato l'altezza della colonna d'acqua al di sopra del fango, perché ci deve anche essere una quantità adeguata di acqua, ed è importante anche la velocità di quell'acqua, tutti fattori che contribuiscono a creare l'habitat idoneo alla specie".
Che cosa mangia la lampreda? "Fa una cosa incredibile" racconta ancora Fenoglio. "Gli adulti non mangiano nulla: vivono pochi mesi, si spostano nell'acqua e si riproducono. Le loro larve invece, dette anche ammoceti, filtrano, all'interno del fango dove vivono anche più di un anno o due prima di raggiungere la fase adulta, i microrganismi di cui si nutrono".
Il monitoraggio delle specie alloctone
Uno dei motivi per cui molti pesci autoctoni sono in declino è che i pesci alloctoni predatori sono in deciso e continuo aumento, così il gruppo del LIFE sta seguendo gli spostamenti di 35 esemplari di siluro perché, per contrastare la loro attività, è necessario comprendere meglio le abitudini della specie. Sono state inserite sotto la loro pelle delle minuscole radio per monitorarli sia con antenne trasportabili, cioè, manovrate da un operatore, sia attraverso diversi "cancelli" posizionati ai due lati del Po torinese, nel Parco naturale del Po piemontese.
"Abbiamo scoperto che se li catturiamo e li liberiamo in un altro punto del fiume, loro poi ritornano nel punto in cui si trovavano prima, per esempio amano stare vicini ad alcune massicciate. Usando il radiotracking individuiamo precisamente i luoghi in cui si radunano in grandi gruppi, in modo tale da ottimizzare l'impegno per rimuoverli. Stiamo anche lavorando per ripristinare la qualità e la funzionalità di alcuni fontanili in provincia di Cuneo, nella zona di Cavallermaggiore, ma non solo. Le risorgive della tradizione contadina, realizzate con un sistema di tubazioni che estraggono dalle falde sotterranee acqua per l'agricoltura, sono sempre state molto ricche di vita, in quanto uniche fonti in pianura di acqua fresca e ossigenata. Purtroppo oggi molte sono compromesse dal degrado delle strutture e dall'inquinamento" prosegue Fenoglio.
"Scale" per i pesci
Un altro impegno determinante è liberare i corsi d'acqua dalle barriere, creando delle scale di risalita per permettere nuovamente ai pesci, molti dei quali sono migratori come la lasca e la savetta, di spostarsi anche per decine di chilometri. Il catasto delle Opere di Difesa (SICOD), riconosciuto dalla Regione Piemonte, identifica nell'area di progetto 120 interventi sugli alvei riguardanti argini, soglie, briglie, pennelli, ponti, riprofilature e altri ostacoli che mettono a rischio la possibilità dei pesci di muoversi lungo le aste fluviali e completare il loro ciclo vitale.
Il ripristino dell'ambiente avviene anche acquistando terreni: a titolo di esempio l'Ente di gestione delle Aree protette del Po piemontese è diventato proprietario di un lago per la pesca abbandonato da parecchi anni di ben quattro ettari a Fontanetto Po, nella Zona Speciale di Conservazione "IT1120007 - Palude di San Genuario". Il prossimo anno lo specchio d'acqua verrà rimodellato risagomando le sue sponde, creando rifugi per i pesci e ripristinando le strutture idrauliche che fanno defluire le acque.
Migliorare gli habitat, contrastare i predatori, rinforzare la presenza delle specie minacciate
"Lasca e savetta sono specie interessanti per la pesca, ma ripristinare gli habitat va a beneficio non solo delle specie individuate dal Life ma di tutta la fauna: se migliori l'ambiente, realizzi scale di risalita, rimuovi dei siluri voraci, tutta l'ittiofauna ne trae vantaggio. Abbiamo ottimi rapporti con diverse società di pescatori. Uno dei suoi punti di forza del progetto è proprio lavorare assieme e i pescatori sono tra i pochi oggi a vivere ancora a stretto contatto con i fiumi. Quando l'acqua è maleodorante, ci sono segni di inquinamento oppure c'è pesce morto che galleggia, quasi sempre sono loro i primi a dare l'allarme".
Infine, ma questo punto è tutt'altro che ultimo, si tratta di conoscere l'ambiente e farlo conoscere soprattutto alle nuove generazioni: è proprio questa l'idea di Fenoglio. "Le attività divulgative sono inserite in tutti i LIFE ma noi ci teniamo particolarmente: abbiamo in cantiere molte azioni di sensibilizzazione dirette a tutta la cittadinanza, come quella che si è svolta a Moncalieri lo scorso luglio, nel Parco naturale del Po piemontese, ma in particolare agli studenti, perché saranno loro a prendere le decisioni in futuro".
Storia di un'amicizia a rischio
"Quella tra esseri umani e fiumi è la storia di un'amicizia millenaria. Le civiltà umane sono sempre dipese dai fiumi, si pensi all'Indo, al Nilo, all'Eufrate, al Fiume Giallo, che nei millenni hanno modellato il paesaggio plasmandone contestualmente l'evoluzione sociale e culturale. I fiumi ci hanno dato l'acqua per l'agricoltura, permettendoci di staccarci in qualche modo dalle reti trofiche ecologiche e, in seguito, ci hanno regalato la tecnologia. Le prime macchine vennero create sui corsi d'acqua, alla noria, uno strumento per sollevare l'acqua a livello dei campi e che risale a circa 4000 anni fa, è seguita la macina e quindi i mulini, poi la dinamo e l'idroelettrico e ancora oggi i grandi centri industriali sono situati dove l'acqua scorre copiosa. Ancora oggi il 90% della popolazione vive a meno di dieci chilometri dai grandi fiumi e il 50% a meno di tre: dipendiamo da loro adesso proprio come 8000 anni fa, solo che allora ce ne rendevano conto e ora non siamo più consci della loro forza ma vogliamo assoggettarli al nostro volere e questo è molto pericoloso. Leonardo da Vinci indicava una persona con carestia di buon giudizio colui che si riteneva capace di governare le acque. Il genio del Rinascimento suggeriva di adattarci a convivere con questi nostri amici, piuttosto che regimentarli in canali artificiali. Purtroppo, da allora la nostra capacità di rapportarci con i meccanismi della natura si è parecchio indebolita, perciò sarà inevitabile dover pagare questa mancanza, anche mettendo mano al portafoglio. Da quando eravamo uomini primitivi abbiamo identificato la vita con il sangue che ci scorre nelle vene: quando il sangue smette di fluire la vita è finita. Il fiume è l'elemento che scorre senza fine nel paesaggio che ci circonda e questa identificazione tra vita e acqua del fiume è da sempre insita nel nostro pensiero ed è radicata nel profondo della nostra anima. Così è essenziale rinnovare quel sodalizio, ritornando al vivere in armonia con i corsi d'acqua che ci danno la vita" conclude Fenoglio.
* Stefano Fenoglio insegna zoologia al Dipartimento di Scienze della Vita e Biologia dei Sistemi (DBios) dell'Università di Torino – ed è cofondatore di Alpstream, il centro per lo studio dei fiumi alpini che ha sede a Ostana, nei pressi delle sorgenti del Po. Per Rizzoli ha pubblicato nel 2023 'Uomini e fiumi: storia di un'amicizia finita male'.
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