Un rapporto complicato, quello tra i fiumi e l'uomo. Un'amicizia fatta di alti e bassi, di dipendenza e di oblìo. Da un esordio in cui sulle sponde dei grandi corsi d'acqua sono fiorite le prime grandi civiltà, all'epilogo in cui, dopo averli sfruttati, a malapena si conoscono i nomi dei fiumi che attraversano le nostre città, e ce se ne ricorda solo in caso di disastri.
Un'amicizia finita male?
Stefano Fenoglio, professore ordinario all'Università di Torino, al dipartimento Scienze della vita e biologia dei sistemi e cofondatore del Centro per lo studio dei fiumi alpini del Parco del Monviso, lo racconta nel saggio "Uomini e fiumi. Storia di un'amicizia finita male", edito da Rizzoli. «Nonostante il titolo pessimista – spiega l'autore – il testo è improntato a una visione in cui ci sono margini di recupero, in quanto gli sforzi di molte persone sono volti a ripristinare questa amicizia che ci ha portato così lontano». Il saggio ripercorre la storia del fiumi, che poi coincide con lo sviluppo della civiltà umana, nel suo passaggio dal nomadismo a una condizione stanziale, grazie all'agricoltura. «I primi agricoltori – spiega il professore - si basavano sulle piogge, ma era impossibile avere una precisa previsione di dove e quando si sarebbero verificate. Quando si è pensato di usare l'acqua dei fiumi per irrigare i terreni, gli uomini si sono stabiliti sulle loro sponde e così abbiamo avuto qualcosa da organizzare, come gestire canali e derivazioni. Sono nati gli ingegneri, i politici e i militari preposti a difendere le abitazioni. Tutta la nostra società ha così iniziato a differenziare il lavoro, a vivere il lavoro». Il fiume garantisce la nascita delle prime macchine che ne sfruttano l'energia, oltre ad essere una via di comunicazione: ed è così che le Piramidi nascono in Egitto e non in Mesopotamia. Facendo un salto in avanti nella storia, i trasporti e l'energia idroelettrica sono alla base della nascita delle filande: la rivoluzione industriale esplode con il carbone ma era già nata con le acque dei fiumi.
I fiumi non vanno in linea retta
« A Brescia, Bergamo e Torino – aggiunge Fenoglio - c'era tanta acqua che muoveva i mulini: è stato facile passare ad altre forme di energia. I fiumi hanno plasmato il territorio esterno ma modellato anche la crescita della nostra società. Poi qualcosa è andato storto perché, sostanzialmente come capita spesso nell'amicizia, ne abbiamo abusato e non li abbiamo frequentati più o solo quando avevamo bisogno di qualcosa». Secondo Fenoglio abbiamo invaso il territorio dei fiumi e usato le acque in modo non troppo sostenibile, artificializzando eccessivamente i reticoli idrografici. Un fiume non va mai in linea retta: i corsi d'acqua meandrizzano sempre, come recita l'adagio secondo cui "le linee rette le fa l'uomo le curve le fa Dio", ovvero la natura. I problemi nascono dal fatto che l'uomo voglia rendere i fiumi sempre più dritti, simili a delle grondaie, e questo non fa che allontanarlo sempre più da questi ambienti: problemi poi esplosi ancor di più a causa del cambiamento climatico.
Oggigiorno gran parte delle persone, osserva Fenoglio, a volte non sa neanche come si chiama il fiume che passa vicino a casa loro. Se ne rende conto solo quando è in secca, o quando c'è un'alluvione o c'è inquinamento. Il fiume da amico diventa qualcosa che ci da fastidio perché è un sistema dinamico e variabile e si comporta in un modo che noi riteniamo imprevedibile. Per ripristinare il rapporto innanzitutto bisogna dare retta agli specialisti che studiano questi problemi, creare dei tavoli interdisciplinari, farli ascoltare dalla politica.
Serve pulire i fiumi?
Se a valle di ogni alluvione si artificializza il reticolo idrografico, quella successiva sarà più vicina nel tempo e ancora più disastrosa: bisogna dare all'acqua la possibilità di espandersi e dissipare la sua energia. Allargare gli spazi con casse di espansione e aree esondabili in modo che la furia delle acque non butti giù ponti e case. «Quanto a dragare i fiumi – sostiene Fenoglio - non bisogna generalizzare: per la siccità occorre una strategia di adattamento complessa, di cui i bacini artificiali sono elementi volti ad usare meno e meglio l'acqua. Ma è chiaro che con nevicate sempre più ridotte sulle Alpi e temperature invernali con lo zero termico che supera 4000 mila metri, bisogna adattare tutto il sistema. Non basta fare qualche bacino: possono essere utili ma solo se si va verso un'agricoltura di precisione, con dei sistemi per distribuire l'acqua più efficienti o delle colture che ne necessitano di meno».
La città di Torino, dove il professore insegna, ha da sempre un rapporto strettissimo con il Po. Solo nel secolo scorso c'erano tantissimi lidi e spiagge molto frequentati. Dopo anni in cui è stato trascurato, bisogna riappropriarsi del legame col fiume, in quanto rappresenta un enorme vantaggio turistico, ricreativo e culturale per la città tutta. All'interno del Parco del Monviso, il centro Alpstream di Ostana, di cui Fenoglio è co-fondatore, è costituito da un sistema di fiumi artificiali in cui vengono realizzati diversi tipi di esperimenti. Nella struttura del Parco si possono simulare, in tutta sicurezza, manipolazioni su impatti di secche e cambiamenti di portata. Un modo concreto per capire come affrontare i cambiamenti climatici, che sempre più condizionano il nostro ecosistema.
Per maggiori informazioni:
"Uomini e fiumi. Storia di un'amicizia finita male", ed. Rizzoli.
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