Sabato sera d'autunno. Comincia a far fresco in montagna. C'è un po' di umidità ed è piacevole rientrare a casa dopo il lavoro in quota e godersi il tepore delle caldarroste.
All'improvviso, maledetto, squilla il cellulare di servizio dei guardiaparco del Parco Orsiera Rocciavrè. In quella stretta rete di collaborazione tessuta tra persone di buona volontà, a prescindere da orari e ruoli, l'informazione corre tra vigili del fuoco, operatori del soccorso alpino e sorveglianza delle Aree protette. Così i primi chiedono aiuto: hanno ricevuto la segnalazione di un ciclista partito al mattino e non ancora rientrato, smarrito all'interno del parco. Dopo un momento di iniziale scoramento la risposta, come sempre, è: Arriviamo!".
Rapido giro di telefonate con qualche collega per trovarne uno disponibile a intervenire, nonostante il turno di riposo, e avvisare il Direttore del parco dell'emergenza, poi si rindossa l'uniforme e si parte.
In questo breve resoconto non è importante raccontare ogni singola azione. Basta dire che il disperso è riuscito a mandare qualche foto con il telefonino e un'indicazione del GPS, fondamentale per potergli dire: "Non muoverti di lì!". La zona infatti è al limite di sbalzi di roccia, dirupi scoscesi e forre cieche: finirci dentro nel buio sarebbe fatale. Inoltre finché non si raggiunge la persona che ha richiesto il soccorso non si può sapere se le sue condizioni fisiche e mentali le permetteranno di aspettare ferma. Va rincuorata e rassicurata intanto che si organizzano le squadre di intervento. Insomma, i soliti protocolli di emergenza che non sono per niente "soliti", ma ogni volta un po' diversi e sempre impegnativi.
Sul posto
L'area è solitaria, malagevole, poco frequentata. Sarebbe lunga e difficile da raggiungere partendo dal fondovalle a piedi, persino per personale allenato, se non conosce esattamente ogni pendio. Potrebbero volerci ore. Un tracciato carrabile arriva fino a un certo punto, ma bisogna utilizzare un mezzo piccolo e maneggevole per superare alcuni tratti franati, sperando poi che gli attraversamenti dei rii non siano già ghiacciati.
È notte ed è indispensabile sfruttare la peculiarità principale di un parco e dei suoi agenti: la conoscenza capillare del proprio territorio. Quindi, senza stare tanto a pensarci, ci si riveste, si aggiunge una giacca in più e una pila frontale allo zaino svuotandolo dei pesi non indispensabili, si verificano i collegamenti radio e telefonici e si parte con i Vigili del Fuoco. Dopo qualche ora, lieto fine. Siamo riusciti a ritrovare il ciclista e a portarlo in salvo, insieme alla bici. A parte il freddo, la fame e lo spavento, non ha conseguenze gravi. Raggiunto il primo paese, diamo appuntamento ai genitori perché lo riportino a casa in auto. Superfluo dire dei profondi ringraziamenti rivolti a tutti i soccorritori (prima del Covid, abbiamo spesso ricevuto anche abbracci e baci commossi).
Tutto bene dunque?
Solo fino a un certo punto. Perché, dopo aver verificato che fosse incolume, al ciclista sperduto abbiamo dovuto ricordare che il regolamento del parco vieta alle biciclette il transito lungo i sentieri non appositamente individuati. Dovremo quindi notificargli una sanzione amministrativa. Il motivo principale è ovviamente quello di mantenere in ordine le mulattiere di montagna, delicate e vulnerabili all'erosione, ma una ragione non secondaria è dovuta al fatto che, soprattutto in certe stagioni, alcuni tracciati sono disagevoli, impervi, isolati, e possono diventare pericolosi in certe condizioni. Guardacaso, proprio quelle che si sono verificate lo scorso weekend. Mai come in questo caso una nostra multa è stata accolta così di buon grado (anche perché la somma da pagare è quasi simbolica).
Non c'è una morale in questa storia. Non siamo all'interno di un romanzo di Dostoevskij. Non c'è né condanna né redenzione. Solo due considerazioni un po' amare.
La prima: le decisioni di imporre certi divieti sono più motivate di quanto si possa pensare.
La seconda: interpretare i guardiaparco solo come poliziotti repressivi assetati di verbali è una banale semplificazione. Rappresentano soprattutto una somma di conoscenze – territorio, cultura locale, manutenzione, monitoraggio, conservazione – accumulate in tanti anni di servizio sul campo e sempre messe a disposizione di chiunque ne abbia bisogno.
Dunque l'unico delitto sarebbe ridurre gli 'effettivi' - che da anni si stanno assottigliando - e lasciar disperdere, senza eredi, questo patrimonio collettivo.