Cambiava di mese in mese la mostra del fruttaiolo di faccia, e questa mi rivelò l'avvicendarsi delle stagioni e le fasi delle temperature.
Ai primi baccelli si poteva lasciare la camiciola di lana; alle prime ciliegie si poteva mettere il cappello di paglia; le prime pesche facevano chiudere le persiane dalle sette alle sette; i primi fichi annunziavano la decadenza del caldo; alle prime nocciole si sentivan la sera i primi brividi; alle prime castagne si rimetteva sul letto la coperta di lana; all'arrivo delle prugne secche e dello zibibbo era gioco forza chiudersi in casa e accendere il lume presto.
(Giovanni Papini)
Il nome latino, Prunus persica, identifica la Persia come paese di origine del pesco, mentre oggi sappiamo che fu solo una tappa del suo lungo viaggio dall'Estremo Oriente. L'archeologia ha permesso di scoprire le vere origini del frutto, che sono da cercare in Cina circa 2,5 milioni di anni fa. Nel giardino botanico tropicale di Xishuangbanna, nella provincia dello Yunnan, sono stati trovati noccioli di pesca fossilizzati che precedono di almeno 700 mila anni l'Homo erectus. Il pesco arrivò poi dall'Armenia in Grecia grazie ad Alessandro Magno, da lì a Roma e fu largamente coltivato in tutta la regione mediterranea. Con i primi esploratori spagnoli raggiunse le Americhe e si stabilì in Messico e negli Stati Uniti del Sud, dove, noto come "Tennesse naturals", i frutti vennero trasformati persino in vino dolce.
Voglio un gennaio col sole d'aprile,
un luglio fresco, un marzo gentile;
voglio un pane sempre fresco,
sul cipresso il fiore di pesco.
(Gianni Rodari)
Il pesco fa parte della famiglia delle rosacee e del sottogruppo delle drupacee, così chiamate perché il loro frutto è una drupa. La pianta raggiunge al massimo i 7-8 metri di altezza e predilige i climi temperati: ha fioritura precoce, come il pero e l'albicocco, perciò teme le gelate tardive di primavera, anche se ormai la selezione degli ibridatori è tanto avanzata da aver prodotto varietà capaci di resistere a temperature fino a -10-15 °C sotto lo zero. Sono tre le macrocategorie in cui sono suddivise le pesche: le pesche vere e proprie, frutti a buccia pelosa, le nettarine, dette anche pesche noci, con buccia liscia e polpa più croccante, le percoche, particolarmente adatte per la trasformazione, ma ottime anche da consumare fresche. Nei frutti sono presenti acqua per circa l'85%, protidi, glicidi, tannino, sali minerali, vitamine A (carotene), B1, B2, C, acido pantotenico.
Anticamente foglie e fiori erano apprezzati almeno quanto i frutti. Gli antichi bandi campestri, oltre alle pene stabilite per i furti delle pesche, prevedono il divieto di rubarne i fiori. Foglie e fiori hanno proprietà sedativa, lassativa e diuretica a seconda della dose, i fiori sono anche tossifughi.
I bei frutti
del pesco. Tondo come rosse sfere
e vellutati come offerte guance
di bimbo
(Ada Negri)
E' interessante l'impiego cosmetico della pesca, anche se limitato alla cosmesi casalinga. La polpa e il succo del frutto hanno virtù addolcenti, eudermiche, tonico idratanti e vitaminizzanti che si adattano a pelli delicate, secche e sensibili. Sono generalmente usati sotto forma di maschere, che vanno preparate al momento con il prodotto fresco, applicate per un quarto d'ora e poi tolte delicatamente con acqua fresca. La polpa sfregata sul viso rende morbida la pelle e la pulisce dalle impurità. Un'antica ricetta consigliava anche un macerato di foglie di pesco in latte caldo, da usare come crema di bellezza.
La pesca: un sole in miniatura, una sfera di velluto che accarezza il cielo.
(Fabrizio Caramagna)
Il romanzo per bambini James e la pesca gigante in origine avrebbe dovuto parlare di una enorme ciliegia, ma poi Roal Dahl cambiò idea perché "una pesca è più bella, più grande, più morbida di una ciliegia".
Gli antichi romani avevano una certa considerazione per il frutto della pianta che chiamavano arbor persica, anche se pare che la sua propagazione non fosse così diffusa ai loro tempi: durante le invasioni barbariche se ne persero le tracce e furono poi i crociati a riportarla da noi, importandola di nuovo dall'Asia. In Piemonte i primi accenni sono del 1400 in terra di Langa, a La Morra, e nel Roero gli statuti di Corneliano, che contemplavano l'obbligo di piantare alberi da frutto, forniscono una prima traccia della presenza di peschi nel 1416. I frutti dei primi tempi erano di una qualità ben lontana di quella che vantano oggi: ci sono voluti secoli di seminagioni, innesti e coltivazioni per produrre le varietà pregiate che conosciamo e che, precoci, mediane e tardive, ci accompagnano per tutta l'estate. Nei primi anni del '900, in un ricorso indirizzato direttamente a re Vittorio Emanuele III, i contadini di Vezza d'Alba rivendicano al pesco il merito di essersi rivelato una "fonte di ricchezza ed un mezzo potente per risollevarsi... dalla miseria in cui la crisi viticola li aveva gettati". Nel giro di due lustri proprio il pesco diventa artefice di una rivoluzione agraria e culturale, porta ricchezza e frena le correnti migratorie verso l'America.
Agosto,
controluce a tramonti
di pesca e zucchero
e il sole dentro la sera
come il nocciolo nel frutto.
(Federico Garcia Lorca)
Le piante da frutto hanno evoluto un metodo personale per la dispersione di semi, diverso da quello applicato dagli alberi da noce, che per questo fine sacrificano una parte della loro progenie. E'curioso il confronto tra la strategia degli alberi da frutto come peri, meli ciliegi, peschi, albicocchi, susini, e quella degli alberi da noce come querce, noci, pecan, mandorli: entrambe le tipologie di piante ricorrono agli animali per disperdere i semi, con un accordo potenzialmente pericoloso. Il senso è più o meno questo: "Guarda come sono ricco e appetitoso, vieni qui e prendimi a bordo!". Ma... come fanno a non pagare un prezzo troppo alto a chi li scarrozza? Dipende da come viene risarcito il trasporto: gli alberi da noce, con una sorta di sistema di pagamento anticipato, utilizzano una quota dei semi per garantirsi la dispersione di quelli che rimangono. Potrebbe essere una forma di intelligenza, che li induce a far tesoro degli anni di pasciona, durante i quali la produzione di frutti è in eccedenza, quasi come una forma di consapevolezza del "saziamento del predatore". Gli alberi da frutto invece adottano un sistema di pagamento a consumo: per loro sarebbe controproducente saziare gli animali agenti di dispersione, perciò tendono a produzioni regolari e costanti, senza andare incontro ad annate di sovrabbondanza. In compenso spesso proteggono i loro semi rendendoli tossici: quelli della pesca per esempio contengono cianuro. Ecco come si spiega l'antico consiglio, sempre sentito, a proposito della marmellata di pesche: aggiungere un nocciolo alla polpa che cuoce con lo zucchero per dare un leggero sapore mandorlato al risultato, ma mai più di uno e poi buttarlo!
E' gentile, butirrosa, liquescente e piena di sugo: ha un poco di acidulo, ma se è ben matura, esso non serve che a rilevarne il sapore. Il suo nocciolo è sempre rosso, e la polpa che lo circonda, sebbene bianca, prende presso di questo un'atmosfera di rosso paonazzo da cui resta raggiata in modo grazioso. Tale è la Pesca che conosciamo ora in Italia sotto il nome di Poppa di Venere, come esso è derivato dalla mammelletta che si vede sulla cima di questa pesca.
(Giorgio Gallesio, botanico, a metà ottocento)
Ancora più che la marmellata, una ricetta che in Piemonte sa proprio di "casa" è quella delle pesche ripiene con gli amaretti: per il ripieno di solito si usano gli amaretti secchi e non c'è che l'imbarazzo della scelta: in provincia di Alessandria quelli pizzicati di Gavi, i più secchi di Valenza, o ancora quelli di Voltaggio e di Ovada. Famosissimi anche gli amaretti di Mombaruzzo e del Sassello, al confine con la Liguria, già provincia di Savona. Le pesche più pregiate si trovano nelle zone di Volpedo (Alessandria), Canale (Cuneo) e Borgo d'Ale (Vercelli). Le più adatte alla preparazione delle pesche ripiene sono le pesche tardive, grosse, sode e mature.
Gli ingredienti per sei pesche a pasta gialla, grosse e mature: 60 g di amaretti secchi, 1 cucchiaio di cacao amaro, 100 g di zucchero di canna, 1 uovo, 2 cucchiai di marsala, ½ bicchiere di vino bianco. Per la preparazione, dopo aver lavato, tagliato a metà e snocciolato le pesche, si deve scavare un po' di polpa, per ricavare una cavità in cui inserire il ripieno. Mettere la polpa in una ciotola. Disporre le pesche su una teglia e infornarle a 180° per 10 minuti per farle asciugare. Preparare il ripieno: nella ciotola aggiungere il cucchiaio di cacao amaro, lo zucchero, gli amaretti sbriciolati, l'uovo intero e il marsala. Mescolare per amalgamare bene il composto. Tolte le pesche dal forno, inserirle in una terrina imburrata e riempirle con il composto, aggiungendo su ogni mezza pesca una noce di burro e una spolverata di zucchero di canna. Sul fondo versare mezzo bicchiere di vino bianco, poi infornare a 180° per 40-45 minuti. Resta la scelta se servirle tiepide, accompagnate da una pallina di gelato, o fredde: prima di decidere lasciar trascorrere mezza giornata, per dar loro il tempo di assorbire tutti gli aromi.