"Che io anzi ti possa sembrare più amaro dell'Erba Sardonica,
più irto del ruscus, più miserevole dell'alga infranta dalle onde,
se per me questo di' non dura già più d'un anno intero."
(Virgilio, Bucoliche, Ecl. VII)
Simbolo di indipendenza e considerato un portafortuna, il Ruscus aculeatus (famiglia Ruscaceae), era già noto in età classica col termine di "Ruscus", come testimoniano questi versi.
In molte zone d'Europa è adoperato come classica decorazione natalizia, promessa di abbondanza e fecondità per il nuovo anno che comincia. Gli antichi popli Germanici lo utilizzavano per onorare gli spiriti dei boschi e proteggere le loro case e stalle dai malefici, oppure si scambiavano dei rami durante le celebrazioni come buon auspicio. Per i Cristiani era un simbolo di fertilità ed abbondanza.
Fin dai tempi degli antichi romani, alla stregua di altre piante pungenti o spinose, era considerato un talismano; per questo motivo si portavano anche i suoi ramoscelli durante i "saturnalia", feste celebrate in onore del dio Saturno, in corrispondenza dei solstizio d'Inverno, quando il vecchio "sole" moriva per rinascere, poi, "sole fanciullo", propiziatore della fecondità della Terra. Si usava anche regalarlo agli sposi novelli in segno di augurio per la vita coniugale.
Quando i romani invasero la Bretagna, si stupirono del fatto che anche quei popoli la considerassero una pianta "sacra". I druidi ritenevano che l'agrifoglio proteggesse dai disagi della cattiva stagione e che un ramo di questa pianta, scagliato contro un animale feroce in procinto di attaccare, avesse il potere di ammansirlo.
Tutte credenze che probabilmente affondano le loro radici sull'osservazione della pianta; con i suoi cladodi (false foglie) aguzzi, coriacei e pungenti, richiama l'idea della difesa dalle "negatività", mentre il colore verde intenso dei suoi rami diritti, lucidi e sempreverdi evoca sopravvivenza e prosperità. Le sue rosse e lucenti bacche invece, richiamano simbolicamente l'amore e la passione.
Il curioso nome volgare di questo arbusto è rivelatorio di uno degli usi contadini più noti. Infatti, la più plausibile delle interpretazioni dell'etimologia del nome del genere è quella della contrazione da un altro termine latino, "rusticus" = "delle campagne", e questo perché la gente di campagna (in latino rustici) utilizzava le sue fronde per proteggere le pannocchie di granoturco esposte ad essiccare; si legavano i mazzetti della pianta a testa in giù, alla base dei pali di sostegno. Anche nelle cantine veniva posto intorno al formaggio o vicino ai salami per lo stesso motivo. L'epiteto specifico "aculeatus" significa "che porta aculei" e si riferisce alla spinescenza apicale dei cladodi (false foglie).
Gli inglesi invece chiamano questa pianta "butcher's broom" = "scopa del macellaio", perché un tempo i rami, riuniti in fasci, venivano impiegati per pulire il pavimento delle macellerie.
Impiego che, in verità, era noto anche nel nostro Paese da tempi antichi. Già Plinio il Vecchio fa presente che sia i Greci che i Romani ne ricavavano scope rudimentali, mentre molto più tardi Filippo Parlatore (1816 -1877), a conferma che quest'uso si è conservato nei secoli, annota che "in diverse parti d'Italia si servono di questa pianta per far scope grossolane per spazzare le vie delle città" [Parl., Fl. It., III: 31 (1858)], nonché per pulire e spazzare i camini dalla fuliggine.
E' una specie mediterranea, presente però in tutte le regioni d'Italia. Predilige le zone calde e soleggiate e i terreni calcarei; la si trova facilmente nei luoghi aridi e sassosi, nei boschi, soprattutto nelle leccete e nei querceti. E' sensibile al freddo intenso, per cui solo nelle zone meridionali la si può trovare oltre i 1.200 m, nel resto d'Italia difficilmente vegeta sopra i 600 m s.l.m.
E' da segnalare che è presente nell'allegato V della Direttiva Habitat: "Specie animali e vegetali di interesse comunitario il cui prelievo nella natura e il cui sfruttamento potrebbero formare oggetto di misure di gestione" e che la passata raccolta indiscriminata ne ha giustificato la protezione totale o parziale in alcune Regioni. Attenzione quindi a informarsi, prima di raccoglierla.
Usi tradizionali popolari
I romani la adoperavano per curare il rigonfiamento della milza dei maiali che avevano mangiato troppo; per salvarli, si riempivano i truogoli di acqua ponendovi a macerare piante di Ruscus e di Tamerice (Tamarix africana). Plinio il Vecchio asseriva che il decotto di radici in vino veniva usato per le infezioni renali e per favorire il flusso mestruale, mentre Dioscoride consigliava per questo il macerato delle foglie in vino.
Gli Etruschi la consideravano una pianta potente ma pericolosa, protagonista del bosco di confine nella zona sacra che si estendeva tra le mura e l'abitato propriamente, mai coltivata all'interno dei giardini domestici,
Nel Medioevo si usava la "Pozione delle cinque radici", assieme al prezzemolo, al finocchio, al sedano e all'asparago, come diuretico.
Nella medicina popolare italiana si usavano i germogli, fiori e le foglie in decotto come febbrifugo, per le infiammazioni dell'apparato urinario, la gotta, i reumatismi ed alleviare il gonfiore dei piedi e delle caviglie. Il decotto della radice invece si assumeva in caso di calcoli renali o si facevano lavaggi, bagni, pediluvi o impacchi per gambe gonfie ed emorroidi.
Era molto apprezzata anche come commestibile; i giovani e teneri germogli, raccolti in primavera, venivano sbollentati e mangiati dopo essere stati conditi con olio, sale, pepe e aceto. Venivano conservati sotto olio o in acqua salata e aceto, dopo essere stati sbollentati.
Qualcuno li usava anche per confezionare un liquore diuretico, digestivo e dal sapore amarognolo.
I semi, opportunamente tostati, venivano un tempo impiegati come sostituti del caffè.
Composizione e proprietà medicinali
Del pungitopo si utilizza perlopiù il rizoma, che va raccolto in autunno o all'inizio della primavera, prima della comparsa dei turioni. Va ripulito dalla terra e quindi tagliato e fatto essiccare al sole o in stufa e conservato in sacchetti di carta. Possono essere impiegati anche i turioni, in quanto contengono gli stessi principi attivi.
Erba aromatica, diuretica leggermente lassativa, vasocostrittrice, ad azione antinfiammatoria, sudorifera e depurativa. Contiene principi attivi quali oli essenziali, diversi sali minerali quali calcio e nitrato di potassio; fitosteroli quali la ruscogenina, neuroscogenina, ruscina ed altri, diversi flavonoidi, zuccheri, acidi grassi ed acidi organici, saponine steroidee, glucosidi (ruscosidi), agliconi (ruscogenine), flavonoidi (rutina), cumarine, sparteina, tiramina, tannini, olio essenziale e resine.
I fitosteroli conferiscono al pungitopo le proprietà vasocostrittive. E' infatti un potente tonico venoso vegetale; per questo rientra nella composizione di molti farmaci antiemorroidali e antivaricosi. Indicato nella cura di flebiti, pesantezza delle gambe, edemi. E' particolarmente popolare in Francia per prevenire i coaguli di sangue post-operatori, trombosi e flebiti ed è stato utilizzato da migliaia di pazienti prima di subire un intervento chirurgico. Inoltre è un sedativo ed antinfiammatorio delle vie urinarie; risulta quindi benefico per l'eliminazione dell'acido urico, in caso di calcoli renali, cistiti, gotta, artrite e reumatismi non articolari.
Per quanto riguarda l'impiego cosmetologico, grazie alla presenza di bioflavonoidi, la pianta si caratterizza per le proprietà lenitive, protettive, rinfrescanti e disarrossanti: è indicata in caso di couperose, di eritema solare, nella fragilità del microcircolo sottoepidermico, per il trattamento delle pelli delicate e sensibili e facili agli arrossamenti. Viene usato per l'igiene intima e per tutti i trattamenti contro le pelli sensibili ed infiammate. In caso di cellulite, applicando sulla pelle impacchi o lozioni si ha un effetto tonificante e riducente. E' un buon rimedio contro la caduta dei capelli e ottimo anche come dopobarba.
In cucina i giovani germogli possono essere utilizzati cotti, come gli asparagi, il sapore è lievemente più amaro; per tale ragione spesso vengono cotti previamente in acqua e aceto e poi preparato in conserve. Sono veramente squisiti come antipasto o per accompagnare carni, uova, in frittate, risotti e anche con i gamberetti.
A parte il Natale quindi, ricordiamocene ancora in primavera, per riassaporare gusti insoliti, ma sorprendenti.