Primi di luglio. Il sole tramonta sulla Collina di Torino, non si muove una foglia, il termometro segna 18.6 gradi con il 48% di umidità atmosferica. Se avesse piovuto, non se ne sarebbe fatto nulla: i Cervi volanti, con la pioggia, non volano.
Alle 20:59 siamo tutti pronti a fare il primo passo nel transetto e si respira un certo entusiasmo. Il sole tramonterà alle 21:14, dunque il termine stabilito per portare a termine la rilevazione è fissato alle 21:29, dopo mezz'ora esatta come vogliono i protocolli. Appena a due passi dalla piazzola di sosta sulla strada dei Colli a Pino Torinese (altezza della panoramica) in cui ci si è dati appuntamento, alcuni sportivi ignari di ciò che succede a due passi da loro, corrono, passeggiano, vanno in bicicletta. Siamo nel Parco naturale della Collina di Superga, in una delle Zone speciali di conservazione della Rete Natura 2000.
L'equipaggiamento consiste in un dispositivo GPS, una torcia, un orologio, un termoigrometro, spray antizanzare, scarpe con la suola adatta a camminare su un sentiero che potrebbe anche essere scivoloso. Matita e gomma, portablocco e scheda di rilevamento alla mano: bisogna segnare il numero degli avvistamenti e il numero di individui: M per maschio, F per femmina, U se il sesso non è rilevabile; 0 se sono a terra, 1 in volo più in basso di 2 m, 2 se lo sono oltre i 2 m; 0 se il vento è assente, 1 se muove erbe e foglie, 2 se agita i piccoli rami, 3 se scrolla i rami grandi, 4 se scuote i tronchi.
Il primo avvistamento
I primi due Cervi volanti li vede Federico, che segna il passo. Avanza lentamente e man mano che procede, passa sistematicamente la luce della torcia sui grandi tronchi delle querce - il loro cibo preferito è la linfa zuccherina di querce, olmi, pioppi, tigli e castagni - ma niente, non se ne vedono altri. Poi l'urlo formidabile di Alberico, al quale fa eco Cecilia Noce: altri due o tre in volo, alti tra le chiome. Ma il clou arriva solo duecento metri dopo, al ritorno, quando Cecilia si ferma e nel silenzio sente rumore d'ali: due metri sopra, due maschi che si scornano in un combattimento rituale. E' stato un attimo, un secondo dopo il vincitore si è preso la femmina che stava appesa a una foglia quasi a terra e poi un altro vola via. Lo sconfitto resta lì vicino attonito, fuori dai giochi.
Federico, prima di partire, pone una domanda: "In un determinato punto, diciamo tra i cento e i duecento metri, ne vedo due, quindi ne segno due sulla scheda; al ritorno, nello stesso settore - sulla scheda il tracciato è suddiviso in settori lunghi cento metri - ne vedo ancora due, li segno di nuovo?" La risposta è sì, spiega Enrico Castello, guardiaparco delle Aree protette del Po torinese che coordina questo progetto: bisogna inserirlo perché il contatto c'è stato, è una questione di metodo, serve per garantire dati uniformi.
Alberico Franzin, ha una laurea triennale in Scienze biologiche e con questo monitoraggio ha avuto la possibilità di fare esperienza sul campo e imparare tante nuove cose: "Abbiamo toccato con mano che i Cervi volanti ci sono ma che sarebbe meglio fossero di più. La ragione è che ci sono pochi alberi vecchi dove il coleottero può deporre le uova e troppi cinghiali che scavano e trovano le loro larve belle grasse e sugose che vivono dai tre agli otto anni prima di diventare adulti, e non sono solo i cinghiali a trovarle appetitose ma anche le altri animali come le volpi, le ghiandaie, i tassi e i picchi".
Cecilia, Federico e Alberico, ma anche Beatrice che ha percorso un altro transetto, sono dei volontari che hanno aderito a LIFE VisPO, un progetto europeo con capofila Legambiente Piemonte e Valle d'Aosta, Arpa Piemonte come partner scientifico e European Research Institute come partner straniero. Oltre ai monitoraggi faunistici, come quello del cervo volante, i volontari del progetto LIFE VisPO si impegnano in diverse attività per la tutela e la salvaguardia dell'ambiente come la pulizia e la riqualificazione delle sponde dei fiumi piemontesi, la segnalazione di specie aliene invasive vegetali e animali, formazione tecnico-scientifica sul campo, corsi di canoa e giornate di sensibilizzazione della cittadinanza.
Non solo cervi volanti
Federico Pino è un naturalista e oltre ai Cervi volanti che ronzano per il bosco - sono massicci e pesanti ma possono arrivare anche a un chilometro di distanza cavalcando il vento e annusando con le loro antenne le femmine e le cose da mangiare - riconosce sul far della notte anche altri fremiti: il picchio verde - che ride, il suo verso si chiama proprio così - pettirossi e fringuelli che chioccolano, gli usignoli che gorgheggiano e i rondoni che gridano. Il bosco è vivo e canta.
Ma che cos'è un transetto? Anche questa volta è Enrico a dare la spiegazione: è un percorso nel bosco di lunghezza fissa, in questo caso di 500 m. Il tracciato deve avere una prevalenza di tratti rettilinei, non vanno bene percorsi ad anello o tratti paralleli adiacenti, ed è segnalato con del nastro segnaletico o con delle targhette numerate, a indicazione dell'inizio, della fine e dei settori intermedi (ogni 100 m). L'allestimento va completato con la georeferenziazione di partenza e di arrivo.
A ogni sessione, lo si deve percorrere una volta in una direzione e una volta nell'altra a velocità costante, segnando su una scheda tutti i Cervi volanti che si vedono. Gli appuntamenti sono settimanali, in giugno e luglio, cammin facendo si raccolgono anche i morti, i cumuli con i resti della predazione di una cornacchia per esempio. Gli adulti non sopravvivono all'inverno.
Beatrice Demeglio pure lei è al suo primo transetto. "Ho una laurea magistrale in scienze forestali e ambientali e con questa esperienza ho acquisito una competenza che mi sarà utile nella mia professione". I monitoraggi si basano infatti su un metodo standardizzato messo a punto dal Centro Nazionale Biodiversità Forestale dei Carabinieri, in partnership con le Università "Roma Tre" e "Sapienza", il CREA ABP di Firenze, il Ministero Ambiente e la Regione Lombardia, ed è rigoroso e ripetibile per permettere di raccogliere dati omogenei utilizzabili per le elaborazioni.
La salute del bosco
Ma alla fin fine perché istituzioni e volontari si danno tutto questo da fare per la sua salvaguardia? Perché la posta in gioco è la salute del bosco: a essere minacciato è l'habitat naturale, per via di disboscamento e urbanizzazione, e questa specie è un ottimo indicatore del suo stato di conservazione. Se ci sono tanti Cervi volanti significa che anche il bosco sta bene, è maturo, con tante piante di grandi dimensioni, rami secchi e alberi vecchi che sono tane e cibo per le larve. Dunque è molto importante valutare la presenza di questa specie in particolare all'interno delle aree protette della Rete Natura 2000. Le energie dedicate ai monitoraggi sono sempre ben spese.
È tutelato secondo la Direttiva "Habitat" (94/43/CEE) e il monitoraggio del suo status di conservazione è un obbligo che deriva dall'articolo 11 e riguarda sia gli habitat che le specie di interesse comunitario: l'Unione Europea chiede di fare due monitoraggi ogni sei anni. Analisi simili vengono fatte dall'Ente di gestione delle Aree protette del Po torinese anche su altre specie come i rettili, gli insetti e gli anfibi, il tritone crestato e la rana di Lataste ad esempio, per testare lo stato di salute degli ambienti umidi.
Il Cervo volante (Lucanus cervus), che appartiene alla famiglia dei Lucanidi, è il più grande coleottero europeo, i maschi possono essere lunghi anche nove centimetri, le femmine fino a cinque. E' un coleottero saproxilico - un organismo che per almeno una parte del suo ciclo vitale è legato alla presenza di legno morto - infatti fa parte dell'esercito degli organismi degradatori fondamentali per il riciclo della materia organica, che trasforma il legno in nutrienti mettendoli a disposizione degli altri organismi viventi.
Nel Parco naturale della Collina di Superga i monitoraggi procedono bene, e quest'anno si è fatto un salto di qualità anche grazie ai volontari, si è passati da una mera verifica di presenza - la specie c'è o non c'è, e questo si chiama dato qualitativo - a un'analisi quantitativa con cinque sessioni in tre transetti. Anche il clima è stato d'aiuto, ci sono state tante schiuse, ma i risultati finali dicono senza ombra di dubbio che c'è molto da lavorare sull'ambiente e occorre prima di tutto un cambio di mentalità: ramaglie e piante in decomposizione non sono "sporcizia" ma vita per il bosco, dunque bisogna lasciarne almeno una parte lì dove per natura devono stare, così come è richiesto dal Regolamento forestale della Regione Piemonte.
Più che una considerazione è un appello a collaborare rivolto a tutti i proprietari dei terreni boscati.