Autunno. La natura cambia d'abito e si ammanta di colori ambrati e rosseggianti, e di frutti, che spuntano fra le foglie brunite, prendendo il posto dei fiori, ma con qualche eccezione. Come l'edera rampicante, una delle piante natalizie della nostra tradizione, che fiorisce "al contrario", proprio da settembre a novembre. Poi in primavera, quando spuntano i fiori di molte delle piante che conosciamo, compaiono invece le sue bacche nere.
Nell'Europa centrale e settentrionale era usanza utilizzarla come decorazione a Natale, appendendola assieme all'agrifoglio sulle travi e sulle porte delle case e sui camini. Si riteneva così di poter tener lontani i folletti dispettosi dalle abitazioni, però i suoi presunti poteri magici cambiavano a seconda delle località; in Scozia ad esempio, le si attribuiva il compito di proteggere dal malocchio le vacche e il loro latte.
Il nome del genere "Hedera" deriva dal latino "hendere", ovvero arrampicarsi o "adhær-ĕo",= stare attaccato, aderire; l'epiteto specifico "helix" deriva dal greco, col significato di spirale, elica, in riferimento al modo in cui questa specie tende ad attorcigliarsi ai supporti (o ospiti) a cui si aggrappa.
Ecco che l'etimologia già è rivelatoria di uno dei motivi per cui la nostra pianta è così associata all'amore e alla fedeltà. Famoso è il detto francese "Je meurs où je m'attache" (sono come l'edera, dove m'attacco muoio). E pure in India la pianta è considerata emblema di concupiscenza; nel Kama Sutra esiste una figura detta: "l'abbraccio dell'edera".
Non stupisce d'altronde, se si considera che era anche uno dei simboli di Dionisio (Bacco per i romani), dio del trasporto mistico e di quello amoroso, chiamato anche "Kissós", che è il nome greco della pianta. Essa divenne così, simbolo della passione che spinge gli amanti ad unirsi, in un abbraccio che si vorrebbe perpetuare per sempre, simile a quello dell'edera intorno al tronco di un albero.
Il suo fiorire e il suo ricoprirsi di frutti è in opposizione rispetto alla vite; l'edera fiorisce infatti in autunno quando per la vite è tempo di vendemmia e produce frutti a primavera. Tra i suoi fiori e i suoi frutti sta il tempo dell' "epifania dionisiaca" nei mesi invernali. Tutto questo per rappresentare il dualismo di Dioniso: luce ed oscurità, freddo e calore, vita e morte.
Pare che ciò abbia scatenato anche la fantasia dei mitografi nei secoli. Secondo Walter Friedrich Otto, storico delle religioni e uno dei massimi filologi e grecisti del 900: "La vite e l'edera sono sorelle, che pur sviluppate in direzioni opposte, non possono celare la loro parentela. Entrambe portano a termine una meravigliosa metamorfosi."
Diffusissima e comune in tutta Italia, è una specie di origine europea e dell'Asia sud-occidentale. Appartenente alla famiglia delle Araliaceae, è ubiquitaria e invasiva. Vegeta allo stato spontaneo abbarbicandosi ai muri, alle rocce, ai tronchi, oppure aderendo al suolo divenendo tappezzante, sempre preferendo i luoghi freschi, umidi ed ombrosi, da 0 a 1.450 m s.l.m.
Erroneamente è considerata parassita, cioè in grado di succhiare la linfa delle piante a cui aderisce tramite le radici avventizie; queste invece hanno esclusivamente una funzione di sostegno. Tuttavia un'eccessiva espansione può recare danni ai suoi ospiti, soffocandoli e compromettendone anche la sopravvivenza.
Nonostante ciò, faremmo bene a circondarcene nelle nostre città così inquinate; secondo la Nasa depura l'aria, assorbendo ben il 90%, del benzene ed oltre il 10% del tricloroetilene. Quindi, possiamo senz'altro definirla "pianta anti-inquinamento". Utile, oltre che decorativa. Forse a volte un po' "invadente" ma, come tutti gli invasori, basta tenerla un pò a bada!
Mitologia
Secondo il mito greco l'edera deriva dal contatto del fulmine (Zeus) con la Terra Madre (Semele). Si narra che essa comparve subito dopo la nascita di Dionisio o Bacco per proteggerlo e divenne pertanto la sua pianta prediletta proprio perché l'aveva salvato dal fulmine quando era fanciullo. Egli veniva raffigurato con una corona di foglie di edera, avvolte attorno al capo al suo bastone.
Le baccanti, le sue sacerdotesse, masticavano e mangiavano le foglie e i germogli della pianta per entrare in uno stato di euforia, di estasi, di furore.
Alla sua freschezza si attribuiva il potere di fugare gli effetti del vino, per questo si riteneva che Bacco avesse ordinato ai suoi seguaci di ornarsene. Alcuni ritengono che proprio da questa credenza derivi l'usanza, ancor oggi viva in qualche osteria di paese, di appendere fuori dall'uscio un tralcio, a indicare la mescita del vino.
Pure gli imperatori ed i poeti romani venivano coronati con ghirlande di edera; pare che Nerone ne avesse in capo una mentre Roma bruciava, mentre i medici dell'antichità ritenevano che, posta sulla testa guarisse dalla follia (ma con Nerone non aveva funzionato, evidentemente...)
In Grecia, pure i novelli sposi e i sacerdoti, prima della funzione, se ne cingevano il capo.
I Celti associavano l'Edera al culto di Arianrhod, "la ruota d'argento", cioè la luna. Essa presiedeva all'aurora, alle fasi lunari, alle nascite, ai matrimoni, alla fertilità, ma il suo compito principale, soprattutto in concomitanza dell'aurora boreale, era quello di guidare le anime dei morti nella sua dimora: Caer Arianrhod, luogo dove sostavano le anime prima di reincarnarsi o morire definitivamente. La festa di Arianrhod veniva celebrata il 31 ottobre, oggi universalmente nota come "Hallowen". I druidi la utilizzavano anche mischiata a vino e birra per indurre le loro visioni.
In Egitto era sacra al dio Osiride e simboleggiava la vita nella sua totalità.
Usi tradizionali popolari
In Piemonte l'edera era ritenuta molto usata sia a livello tintorio che cosmetico.
Per ridare colore ad indumenti neri scoloriti e alla lana, si immergevano i panni in un'infusione preparata con 40 foglie e un litro d'acqua, lasciandoli per circa 2 ore, prima di risciacquare, oppure, bollite con l'aggiunta di soda, erano impiegate come sostituto del sapone per lavare i panni. A volte per questo, nel decotto, si mettevano anche della saponaria e delle ortiche (Valle Germanasca).
In tutte le valli, per rendere lucidi i capelli scuri, oppure a scopo tintorio, si facevano frizioni del cuoio capelluto col decotto delle foglie, utilizzato per tingere i capelli di nero; se erano già neri donava invece un riflesso nero-blu. Lo stesso decotto si usava anche per produrre un inchiostro verde-scuro. La cenere, ottenuta bruciando i rami, si usava un ottimo lucidante per l'argenteria.
A scopo curativo era molto apprezzata la sua azione analgesica; in caso di dolori, contro la sciatica, veniva fatto un cataplasma di foglie sulla zona lombare, oppure essiccate, venivano messe in un cuscinetto, utilizzato poi come antidolorifico (Valle Ossola).
Anche le sue proprietà cicatrizzanti ed antiedemigene erano molto sfruttate. Un tempo per i lattanti affetti da crosta lattea, si facevano delle maschere di foglie che si applicavano sulla testa, cambiandole ogni giorno e alternandole all'unzione con olio di iperico. Si mettevano sulla cute anche per lenire le ulcerazioni delle vene varicose e post flebitiche (Valle Ossola). Altri per questo utilizzavano gli apici fioriti, seccati all'ombra, con cui si faceva un infuso, utilizzato poi in impacco sulle varici (Valle Chisone).
In Valle di Susa e Sangone per scopi analoghi si usava l'oleolito, ottenuto dalla macerazione delle foglie in olio. Tale oleolito (o in alternativa il macerato di foglie nel vino); veniva utilizzato sempre per le lesioni di difficile e lenta guarigione come le ulcere, gli eczemi e le ustioni, ma alternando con quello di iperico.
Si utilizzavano anche in cataplasma per risolvere edemi al ginocchio e contro calli, duroni, foruncolosi e scabbia, ponendo le foglie contuse direttamente sulla parte da trattare, oppure mettendole previamente a mollo con dell'aceto, o facendole bollire leggermente in questo, prima di applicarle.
Composizione e proprietà
Contiene saponine triterpeniche (tra le quali è particolarmente importante l'ederina), efficaci contro la Fasciola hepatica, (un verme piatto, che infetta le vie biliari degli erbivori e accidentalmente può colpire anche l'uomo), i molluschi, i parassiti intestinali e le infezioni fungine. Possiede inoltre olio essenziale, steroidi (steroli, beta sitosterolo, campestrolo), flavonoidi (rutina), glucosidi, alcaloidi (emetina), acidi caffeico e clorogenico, sali minerali, ossalato di calcio.
E' un'erba amara, aromatica, con proprietà antibatteriche, espettoranti, antispasmodiche, antipiretiche, vasocostrittorie, cicatrizzanti. Le foglie sono anche emmenagoghe, azione quest'ultima dovuta ad una sostanza ormono-simile di tipo estrogenica, ma possiedono anche attività analgesica, sfruttata nelle nevriti e articolazioni dolorose. Vengono impiegate esternamente in caso di ulcere, eruzioni cutanee, gonfiore dei tessuti, varici, scottature, verruche, scabbia, impetigine. È una delle piante utili per combattere gli inestetismi cutanei della cellulite e gli inconvenienti della pelle grassa.
L'estratto ha una spiccata azione cosmetica, tonificante su tutte le parti del corpo che tendono a rilassarsi e a perdere tono, l'azione astringente, favorisce il riassorbimento dei liquidi; per queste sue proprietà, è presente in numerosi preparati ad uso topico come creme, gel e fanghi contro la formazione della cellulite. Per un pediluvio rilassante immergere nell'acqua calda qualche foglia tritata.
Tutte le parti della pianta, in particolare le foglie giovani e le bacche, sono tossiche. Per uso interno possono provocare intossicazione, che si manifesta con sintomi di nausea e vomito e depressione del sistema nervoso centrale, fino a coma con depressione respiratoria. Per contatto possono provocare gravi irritazioni e allergie cutanee.