La distribuzione del gatto selvatico
In Italia il felis silvestris è presente lungo tutta la dorsale appenninica, in Sicilia, sul Gargano e in Maremma. Nel 2018 ci sono stati avvistamenti straordinari in Friuli, nel Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi, e si ritiene che nell'areale occidentale - soprattutto nelle Alpi Marittime e nell'Appennino ligure e piemontese - possa essersi conservato, mentre in Francia è in corso una ricolonizzazione che ha portato a una presenza documentata del gatto selvatico nei Dipartimenti Savoia, Alta Savoia, Isère confinanti con la Valle d'Aosta e il Torinese.
Anche il Cuneese è considerata un'area di osservazione interessante perché potenzialmente interessato dallo sconfinamento di esemplari "francesi" o provenienti dalla Liguria. Per questo sul sito dell'Ente di gestione delle Aree Marittime è possibile inviare segnalazioni e notizie circa la presenza di questo felino nella zona e in tutto il Piemonte. Si tratta di un'iniziativa del Centro Recupero Animali Selvatici - CRAS di Bernezzo al quale hanno aderito la Provincia di Cuneo, le Aree Protette Alpi Marittime, le Aree Protette Appennino Piemontese e il Parco fluviale Gesso e Stura, gestito dal Comune di Cuneo " per sviluppare, tra gli altri, anche un progetto specifico su questo animale, con lo scopo di monitorarne la diffusione, aggiornare i dati di presenza e scambiare informazioni attualmente in possesso tra i vari partner" come si legge sul portale.
Inoltre le Aree Protette Appennino Piemontese hanno siglato con il Museo di Storia Naturale della Maremma un Protocollo di Intesa per l'adesione al progetto "Gatto Selvatico Italia" sviluppato assieme a ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) e Ministero per la Transizione Ecologica (MTE) con lo scopo di raccogliere, verificare, validare e mappare foto, video e altri dati oggettivi (esemplari da mortalità stradale, campioni genetici non invasivi, ecc.) di gatto selvatico sul territorio nazionale (www.gattoselvatico.it).
Il gatto selvatico in Alta Val Borbera e in Val Trebbia
Ma mentre nel Torinese e nel Cuneese gli avvistamenti sono stati molto più radi, in Basso Piemonte e in Liguria, Paolo Rossi e Nicola Rebora, fotografi documentaristi di fauna selvatica e appassionati del loro territorio, hanno immortalato più volte l'elusivo felino aggirarsi nei boschi del Parco dell'Alta Val Borbera e della Val Trebbia.
«In un'area di studio compresa tra i 30 e i 50 chilometri quadrati abbiamo filmato finora tra i 15 e i 20 soggetti diversi. In quattro anni ci siamo imbattuti anche in tre cucciolate di due piccoli ciascuna» racconta Rossi. «Questo ci dà l'idea di una popolazione in salute anche se naturalmente non si può essere certi che questi soggetti siano tutti in questa zona, perché nel periodo degli amori possono arrivare gatti anche da aree vicine».
Per Paolo Rossi il primo incontro con il gatto selvatico è stato casuale e risale al 2018, quando un esemplare passò davanti a una video trappola posizionata per documentare la presenza del lupo nell'area. Da lì, insieme all'amico Rebora, ha iniziato a interessarsi anche alla presenza di questo felino. L'ultimo avvistamento è stato a fine agosto: «Si tratta della terza volta in quattro anni che riusciamo a documentare la riproduzione del gatto selvatico europeo sull'Appennino ligure» dice Rossi.
«Questo documento video è davvero importante perché dimostra che il felino non è solo "di passaggio" in queste meravigliose valli, nel territorio di quello che noi chiamiamo Appennino delle Quattro Province. Nel corso degli anni avremo incontrato circa 80 lupi in libertà. Per il gatto selvatico la questione è diversa: non siamo mai riuscito a vederlo di persona, durante gli appostamenti, ma abbiamo un patrimonio di foto e di video davvero interessante che abbiamo potuto sottoporre a esperti come il ricercatore Stefano Anile, il quale ci ha confermato che i soggetti erano proprio gatti selvatici».
Non è facile individuare il gatto selvatico
Il Felis silvestris, infatti ha determinate caratteristiche che lo differenziano dal gatto domestico, ma distinguere le due specie non è comunque semplice. Per esempio tra i caratteri da osservare ci sono senz'altro la coda con i suoi anelli, il dorso che deve avere una banda vertebrale nera singola e ben definita, così come ben definite sono anche le quattro bande nere sulla nuca. Il colore di fondo del manto è solitamente ocra-giallastro (color erba secca).
«Il gatto selvatico si può confondere molto facilmente con un gatto domestico grigio» spiega ancora Rossi. «Siccome nelle nostre zone di studio mai nessuno aveva documentato la presenza di gatti selvatici, è stato importante andare a consultare le ricerche fatte nel corso degli anni. Abbiamo confrontato i video e le fotografie che abbiamo realizzato con le pubblicazioni accademiche sui gatti selvatici europei. Siamo stati pignoli nell'andare a vedere tutti i dettagli della pelliccia e quando sono arrivate le conferme anche da parte degli esperti è stata una grande emozione»
Un documentario e due libri
Dalle immagini eccezionali realizzate da Paolo Rossi e Nicola Rebora sono nati un documentario breve "Felis - Gatto sarvaego" e un omonimo libro fotografico. In autunno è prevista l'uscita di un altro volume fotografico intitolato "Il gatto dei boschi" in omaggio all'immenso lavoro di Bernardino Ragni, zoologo e biologo di fama mondiale che per primo soprannominò così la specie.
«Vedere per primi le immagini di questi animali in libertà sui nostri monti è stato ed è un privilegio enorme; proviamo ogni volta un'emozione fortissima. Nonostante fossimo andati più volte in Abruzzo nella speranza di vederlo, mai ci saremmo aspettati di trovare il gatto selvatico europeo proprio dietro casa. Valutando quanto è difficile anche per noi osservarlo dal vivo non si può escludere che sia riuscito a resistere in queste valli impervie fino a oggi, passando inosservato. Così come tutti i roditori che nei decenni di massima presenza umana hanno continuato a popolare queste aree. Da lì il dubbio che ci attanaglia: il gatto selvatico è tornato o è rimasto nell'Appennino delle Quattro Province?»
Il gatto selvatico non se ne è mai andato dall'Appennino Ligure e Piemontese?
Quel che è certo è che questa specie ha subito a lungo una persecuzione a causa del commercio sua pelliccia, di superstizioni varie (addirittura si racconta di premi dati a chi uccideva più esemplari considerati nocivi), ma la resistenza di altri piccoli e medi predatori come la puzzola, la volpe e la faina porterebbe a credere che alcuni soggetti di gatto selvatico siano sopravvissuti e - in seguito allo spopolamento di certe aree - siano tornati anche a riprodursi con più frequenza. Anche incrociandosi con colonie di gatti domestici.
«Noi siamo portati a credere che in qualche modo ce l'abbia fatta» sostiene il documentarista Rossi che è anche guida ambientale. «Partendo dal dato, per noi impressionante, del numero di passaggi davanti alla Reflex-Trap. Dal 2018 abbiamo realizzato tra gli 80 e i 100 video solo tra la Val Borbera e la Val Trebbia. Anile che si occupa di questi felini da più anni di noi, ha stabilito che si tratta di esemplari selvatici, grazie alle loro caratteristiche tipiche. Tendenzialmente la gran parte degli accademici italiani che si occupa della questione, tende invece a ipotizzare che ci sia stato un ritorno simile a quello del lupo e che ci sia stata, insomma, una migrazione lenta dal Centro Italia. In realtà noi non ci sentiamo di escludere l'ipotesi che sia rimasto, alla luce di molte interviste ad anziani del posto e a vecchi cacciatori che ci hanno raccontato di aver sempre visto dei gatti grigi con la testa molto massiccia che loro hanno sempre associato al gatto selvatico. Certo noi siamo solo fotografi documentaristi, quindi sicuramente questo meriterebbe un approfondimento da persone che conoscono in maniera più dettagliata la vita nel bosco nella sua interezza».
Un habitat ideale
Gli affascinanti boschi di castagni dell'Appennino Ligure e Piemontese si sono rivelati quindi un ambiente ideale per il Felis silvestris che tende a rivelare la sua presenza anche marcando gli alberi. Rossi e Rebora per etica e per passione non utilizzano alcun tipo di stratagemma per immortalare i selvatici (che si tratti di gatti, di lupi, di martore, di faine o di volpi). Gli studiosi invece sono soliti ricorrere a dei paletti imbevuti di valeriana, col rischio però di attirare anche esemplari domestici.
Filmare nei boschi, a ridosso di crinali scoscesi, non è semplice per la poca visibilità. I gatti selvatici non si inoltrerebbero volentieri nelle radure aperte e la loro pelliccia si confonde con le rocce, con la corteccia del faggio. Sono animali che percepiscono il minimo movimento e odore, quindi sorprenderli è davvero difficile.
In zone poco abitate come l'Alta Val Borbera e la Val Trebbia il gatto selvatico trova condizioni favorevoli per vivere, cacciare, riprodursi. Le minacce alla sua sopravvivenza si concentrano più a valle: se e quando alcuni soggetti decidono di inoltrarsi verso zone più urbanizzate possono imbattersi in situazioni che vanno dalla presenza di zone molto agricole e poco boscose, al rischio di investimento. «Esiste poi il problema legato all'ibridazione perché più gatti selvatici vanno in dispersione in zone meno selvagge, più rischiano di trovare gatti domestici vaganti non sterilizzati, abbandonati e che competono con i selvatici. Sarebbe bello se anche gli Enti parco si impegnassero molto a sensibilizzare i Comuni, facendo pressione sulle necessità di sterilizzare i gatti domestici per il bene di entrambe le specie».
Per approfondimenti:
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