È un luogo comune, per giunta sbagliato, pensare che le tarantole siano quei grossi ragni pelosi che vivono nelle foreste tropicali in Sud America o in Africa.
In realtà la tarantola (Lycosa tarantula) non è altro che un ragno della famiglia dei ragni lupo, i Lycosidae, che vive nel bacino del Mediterraneo.
Una cattiva fama del tutto immeritata
Considerato erroneamente pericoloso per l'uomo, ha un veleno tossico quanto quello di un ape, se non meno. Il ballo tradizionale della "tarantella" deriva il suo nome proprio da questo ragno: si pensava infatti che il suo morso provocasse uno stato di trance e di agitazione psicomotoria, attribuibile in realtà alla malmignatta (Latrodectes tredecimguttatus), la cosiddetta vedova nera, altro ragno presente nelle stesse aree, di dimensioni più piccole e dal veleno molto più potente, di tipo neurotossico.
In Italia la tarantola è uno dei ragni più grossi, raggiungendo i 3 cm di lunghezza del corpo, zampe escluse.
L'habitat ideale è quello della macchia mediterranea, quindi luoghi asciutti con rocce e vegetazione sparse. Qui ogni individuo crea una tana, una galleria profonda fino a 30 cm, con andamento verticale e un'apertura di circa 2 cm; all'ingresso si trovano detriti di vario genere intrecciati tra loro, a creare una trama caratteristica in rilievo.
Occhio per occhio...
Le tarantole possiedono quattro coppie di occhi, ciascuna delle quali svolge una funzione diversa - ma ugualmente importante - per l'orientamento durante gli spostamenti.
Essendo animali notturni, che durante il giorno restano rintanati, escono di notte per andare in cerca della propria preda, sfruttando i grandi occhi frontali.
Gli occhi mediani servono invece al ragno per per conoscere la sua posizione rispetto alla tana, grazie alla luce polarizzata. La distanza viene invece misurata con l'ausilio degli occhi anteriori laterali e - secondariamente -con quelli posteriori. È proprio per questo che - per ritornare alla tana - la tarantola non percorre mai lo stesso percorso fatto all'andata: è come se seguisse i lati di un triangolo rettangolo, allontanandosi per uno dei cateti e ritornando per l'ipotenusa.
Un veleno... benefico?
Una ricerca condotta nel 2020 ha studiato le diverse tipologie di sostanze che compongono il veleno di questo Lycosidae, scoprendo che sono ben dieci famiglie, di cui quattro tossine e sei proteine. Questo studio ha gettato le fondamenta per poter scoprire eventuali poteri terapeutici di queste sostanze, con il conseguente uso in ambito farmacologico, e chissà quante altre scoperte applicabili in ambito medico ed ingegneristico faremo studiando queste piccole e utili creature.