Mentre il problema della deforestazione continua, e il bisogno di piantare alberi e salvare foreste è più che mai attuale, molte sono le iniziative nazionali in questo senso: pensiamo a operazioni come ForestaMI, a Milano oppure Ossigeno Bene Comune a Napoli, o ancora Radici per il Futuro il Emilia-Romagna, e innumerevoli campagne locali promosse da cittadini, associazioni e soggetti commerciali che si impegnano a rilanciare il verde urbano per aiutarci ad affrontare l'emergenza climatica.
Gli effetti benefici di piantare alberi sembrano ormai riconosciuti su larga scala, internalizzati, e promessi da giunte e governi di (quasi) tutti i colori. Ma quanto carbonio può assorbire un albero?
Il carbonio che può assorbire un albero
Quando pensiamo ai benefici delle piante viene subito in mente la parola "fotosintesi": lo scambio gassoso tra anidride carbonica e ossigeno che ha reso respirabile la nostra atmosfera e che ogni giorno, quasi come una magia, trasforma il carbonio contenuto nella anidride carbonica in un materiale "vivo" - il legno. I grandi "polmoni" della Terra sono le vaste aree boscate dei Tropici e delle zone boreali, che da soli assorbono il 25-30% delle nostre emissioni di gas climalteranti. In Italia, i dieci milioni di ettari di foreste censite dall'Inventario Nazionale delle Foreste e dei Serbatoi di Carbonio assorbono ogni dai 20 ai 30 milioni di tonnellate di anidride carbonica annue (il 5-10% della CO2 che emettiamo), al netto di danni da incendio e dei tagli forestali, con un sequestro annuo medio di circa 2 tonnellate di CO2 per ettaro di foresta – l'equivalente delle emissioni derivanti dall'utilizzo annuale di un'automobile da parte di un cittadino medio del nostro Paese.
La quantità di carbonio incorporata nel legno tuttavia varia in funzione dell'età della foresta (generalmente culmina dopo qualche decennio e poi diminuisce lentamente), della specie e del tipo di gestione forestale attuata nel bosco. Un albero adulto in ambiente urbano può assorbire, nelle condizioni migliori, 10-20 kg di CO2 ogni anno; questo valore però non può essere usato per calcolare l'assorbimento di carbonio a partire dal giorno dell'impianto, perché l'albero ha bisogno di tempo per diventare adulto. A scala nazionale, infatti, nei prossimi 5 anni i 12 miliardi di alberi presenti nei boschi d'Italia assorbiranno in media 2 kg di CO2 a testa ogni anno - perché non sono tutti adulti, non crescono tutti nelle migliori condizioni, e un certo numero di essi morirà a causa di eventi naturali o dello stress climatico.
Marco Corgnati, funzionario del Settore Foreste della Regione Piemonte spiega spiega come la quantità di carbonio incorporata nel legno cambi in funzione dell'età della foresta, delle specie e del tipo di gestione forestale attuata nel bosco.
A scala globale, anche un triliardo di alberi, piantati ovunque sia possibile non potrebbe che occuparsi di sequestrare 2 miliardi di tonnellate di anidride carbonica all'anno – appena un ventesimo in più rispetto alle emissioni globali del 2020. Dispiegando tutte le strategie possibili per fermare la deforestazione, conservare tutte le aree umide, migliorare la gestione delle foreste esistenti e passare a una agricoltura conservativa, riusciremmo a raggiungere la ragguardevole cifra di 11 miliardi di tonnellate di CO2 "mitigate" ogni anno, a un costo inferiore ai 100 dollari per tonnellata: un traguardo importante, ma pur sempre solamente il 30% della anidride carbonica che dovremmo assorbire se le nostre emissioni continueranno a crescere indisturbate. Sempre ammesso che le foreste del mondo continuino a fotosintetizzare al ritmo attuale: una previsione tutt'altro che scontata, dal momento che il monitoraggio dei satelliti e dei sensori a terra che misurano in tempo reale l'attività della vegetazione terrestre ci fa temere un rallentamento della capacità di assorbimento dovuta allo stress climatico, che in alcune regioni del mondo ha già azzerato la capacità delle foreste di trattenere carbonio, come ha mostrato la prima mappa globale dei sink di carbonio forestali, pubblicata nei primi mesi del 2021.
La Regione Piemonte ha avviato la campagna informativa dal titolo "Suolo e Foreste: un unico ecosistema", in questo video si parla di foreste e carbonio.
Infografica a cura del Settore Foreste della Regione Piemonte.
Non conta solo piantare, ma cosa piantare
Anche riconoscendo i limiti fisiologici dell'assorbimento di carbonio, piantare alberi può nascondere altre insidie. Due nuovi studi pubblicati su Nature Sustainability, e rilanciati dalla BBC, sembrano suggerire che piantare alberi possa causare ulteriori problemi invece di risolverli. Il primo studio, promosso da ricercatori delle Università di Santa Barbara, Santiago del Cile e Stanford, svela come politiche per incentivare la forestazione, se mal progettate o male applicate, possano risultare in una perdita di carbonio e biodiversità invece che in un aumento. Gli autori portano come esempio negativo il Cile, dove dal 1974 al 2012 l'afforestazione è stata fortemente sovvenzionata con contributi finanziari ai privati. Questo modello è stato considerato a lungo un esempio da seguire su scala globale. Lo studio, però, ha scoperto che molti proprietari terrieri, per poter usufruire delle sovvenzioni e massimizzare il profitto, hanno sostituito la foresta nativa con piantagioni di alberi da frutto. Questo programma ha sì aumentato la superficie afforestata, ma ha ridotto la superficie di foresta nativa, uno dei più grandi serbatoi di carbonio e biodiversità del pianeta. E proprio questo è il tema principale: non conta solo piantare, ma cosa piantare. La capacità di scegliere le specie giuste, possibilmente native, da piantare in mescolanza, è il primo fondamentale requisito per poter avere una foresta in salute, che faccia del bene all'ambiente e a noi stessi, che al suo interno viviamo.
Un'altra iniziativa contraddittoria si è rivelata la "Bonn Challenge", un accordo internazionale volontario stipulato nel 2011 dall'Unione Internazionale per la Conservazione della Natura, che si propone l'obiettivo di ripristinare piantando alberi 350 milioni di ettari di foreste degradate entro il 2030. Allo stato attuale dei lavori, oltre l'ottanta per cento delle aree oggetto di intervento è stato afforestato con monoculture di alberi da frutto o da gomma, con conseguente perdita sia di carbonio che di biodiversità. Le monocolture infatti diminuiscono la biodiversità, sono estremamente suscettibili agli estremi climatici e tendono a sequestrare una quantità di carbonio molto minore rispetto alla foresta nativa, sia negli alberi che nel "serbatoio" del suolo.
E il secondo studio, condotto dall'Università di Pechino, si occupa proprio del suolo. Spesso dimenticato, il suolo conserva a scala globale il 69% delle riserve di carbonio forestale, in quello che gli addetti ai lavori chiamano "carbonio organico del suolo", e che noi tutti abbiamo toccato almeno una volta, prendendo in mano una zolla di terra grassa, nera, e spesso brulicante di vita. Piantate su terreni poveri di carbonio organico, le foreste sono in grado di aumentare la sua quantità, facendo cadere al suolo materiale morto (le foglie, le radici e i residui organici in generale), ma anche attraverso vie più dirette: rilasciando quelli che vengono chiamati "essudati radicali". Si, perché le piante "sudano" sostanze zuccherine e mucillaginose (fino al 30-40% dei fotosintetati giornalieri!) dalla punta delle radici, per poter meglio penetrare nel terreno e, soprattutto, nutrire funghi e batteri che risultano fondamentali per la vita dell'albero, instaurando preziose simbiosi con le piante stesse.
Quando però il suolo è già ricco di carbonio, l'afforestazione sembra diminuirne la concentrazione, danneggiando sensibilmente il potenziale globale di assorbimento di anidride carbonica da parte delle foreste. Come è possibile? I microscopici responsabili sono ancora quei funghi e batteri del suolo: nutriti all'improvviso da una nuova fonte di carbonio facilmente utilizzabile (gli essudati radicali e i residui organici degli alberi), aumentano la loro attività e il loro volume. Così ringalluzziti, questi microorganismi aumentano anche la loro attività respiratoria, e così consumano il carbonio che era prima stoccato stabilmente nel terreno, rilasciandolo in atmosfera (è il cosiddetto "priming effect").
Per capire quanto vale, anche economicamente, la presenza e la gestione della foresta ascolta una puntata di Ecotoni, il podcast sulle foreste
Ascolta "Puntata 2 - Acqua" su Spreaker.
Dove piantare?
L'ultima domanda da porsi, infine, è dove piantare. Riforestare le grandi tundre del nord, enormi, desolate, e sempre più disponibili per la crescita delle piante grazie al riscaldamento delle temperature, potrebbe sembrare una buona idea... fino a quando non si considera l'albedo, cioè la capacità della superficie terrestre di riflettere la radiazione solare a onde corte. Sostituire le praterie (soprattutto se innevate) con foreste di conifere diminuisce sensibilmente l'albedo, aumentando l'assorbimento di radiazioni solari e quindi la temperatura – generando un effetto riscaldante simile a quello che sperimentiamo entrando in un'automobile scura lasciata al sole in un caldo giorno d'estate. Altri esempi di conseguenze negative (e inaspettate) della forestazione si possono trovare in ambienti desertici o semi-desertici, dove piantare boschi può causare una maggiore intercettazione dell'acqua piovana da parte delle chiome degli alberi, diminuendo la disponibilità idrica a valle.
E gli effetti non si fermano alla scala locale, ma arrivano addirittura ad influenzare regioni lontane migliaia di chilometri, su cui l'uomo non dovrebbe avere un impatto, come l'Artico. Questo grazie a quelle che sono definite "teleconnessioni", cioè le relazioni climatiche a livello globale. Un recente studio coordinato dall'Università di Pechino ha modellato l'effetto che i vasti programmi di afforestazione in Cina (efficientissimi per la riduzione dell'erosione e il contrasto all'avanzata dei deserti) hanno avuto su scala globale. Secondo il team di ricerca cinese, questa estesissima forestazione potrebbe aver portato ad un incremento di temperature primaverile nelle zone artiche russe e a un decremento in quelle artiche Canadesi, a causa delle modifiche della circolazione atmosferica a lunga distanza indotte dal vapore acqueo immesso in atmosfera dall'evaporazione dalle foglie delle nuove foreste.
In altre parole: è necessario considerare attentamente le caratteristiche dei suoli, degli ecosistemi e dei climi, per riuscire a comprendere se l'afforestazione possa avere risultati positivi o meno. Una necessità forte anche nelle città, dove troppo spesso gli alberi sono costretti a crescere troppo vicini al muro di un palazzo, o troppo vicini tra di loro, per poter vivere serenamente e fornire pienamente i loro benefici, a causa di una progettazione frettolosa e dimentica che gli alberi, nel tempo... crescono in dimensioni.
Un'altra domanda da porsi, quando si vogliono "creare" foreste, è: cosa si farà con queste foreste? Basta osservare la cassettiera dei nonni che molti di noi hanno nella loro casa: non ci pensiamo spesso, ma quella cassettiera è composta dello stesso carbonio che, decenni o secoli or sono, un albero ha "fissato" dall'atmosfera e stoccato sotto forma di cellulosa, lignina, e composti organici (al netto di qualche grammo finito nell'apparato digerente di un tarlo e reimmesso in atmosfera). Se quegli stessi alberi fossero invece stati tagliati subito e bruciati per generare calore o energia, il carbonio sarebbe stato subito reintrodotto in atmosfera tempo addietro, limitando il beneficio climatico al solo "effetto di sostituzione" rispetto all'energia climalterante ricavata da combustibili fossili. In Italia, il 35% della superficie nazionale è già coperta da foreste e nuovi programmi sono in atto per aumentarla ulteriormente. Il patrimonio che abbiamo, in termini di biodiversità, serbatoi di carbonio, e in generale "servizi ecosistemici", è preziosissimo e fondamentale per la nostra esistenza, e deve essere nostra cura non solo espanderlo, ma gestirlo e utilizzarlo nella migliore delle maniere possibili.
Una versione più estesa dello stesso articolo è stata pubblicata su Radar Magazine