Continua il nostro approfondimento sulla PSA con un'intervista ad Alessandro Mannelli, professore di epidemiologia e sanità pubblica veterinaria all'Università degli Studi di Torino ed esperto di zoonosi.
Il dottor Mannelli ci ha spiegato le origini della Peste Suina Africana, la sua attuale diffusione e le misure di contrasto adottate, in una panoramica generale sull'epidemia attuale e sui risvolti economici e sociali che ne derivano.
Le origini e la diffusione del virus
Il virus della PSA, come lo stesso nome suggerisce, ha origine in Africa subsahariana, dove si mantiene in un ciclo che coinvolge facoceri e zecche molli. Il virus non provoca sintomi clinici nei facoceri, ma quando viene a contatto con i suini causa una grave malattia.
La diffusione della PSA al di fuori dell'Africa è iniziata nel 1957 in Portogallo, probabilmente attraverso scarti di cucina delle navi che contenevano carne suina infetta. Da allora, la PSA si è diffusa in varie parti del Mondo. In Sardegna, è stata segnalata dal 1978 al 2019. All'inizio del 2022, una nuova variante della malattia è stata identificata in Italia continentale, con il ritrovamento di cinghiali infetti in provincia di Alessandria. Da allora, l'infezione si è diffusa in diverse regioni italiane, soprattutto nei cinghiali, ma col coinvolgimento di allevamenti suini e con conseguenti danni economici.
Nella scorsa estate, si sono registrati nuovi e significativi focolai di PSA nel nord Italia. Il virus si diffonde tra i cinghiali selvatici attraverso il contatto diretto tra animali infetti e suscettibili, oppure tramite il contatto con carcasse di cinghiali morti a causa della malattia. Inoltre, i cinghiali infetti rilasciano il virus nell'ambiente tramite feci, urina e saliva che possono infettare altri animali. Questa contaminazione ambientale, insieme alla resistenza del virus, potrebbe spiegare perchè il virus sia stato introdotto negli allevamenti suini. In estate, l'uso di veicoli agricoli che entrano ed escono dagli allevamenti può rappresentare un vettore di trasmissione, portando il virus dall'ambiente contaminato ai maiali domestici, specialmente se chi entra in contatto con gli animali non adotta adeguate misure di precauzione e disinfezione. Quindi, la combinazione tra la contaminazione ambientale causata dai cinghiali infetti e le attività agricole più frequenti durante i mesi estivi aumenta il rischio di infezione negli allevamenti.
Come limitare la diffusione della PSA
In Italia, la peste suina africana si diffonde tra i cinghiali selvatici a causa dell'elevata resistenza del virus nell'ambiente, che ne facilita la permanenza e la trasmissione. Anche le attività umane giocano un ruolo importante nell'introduzione del virus negli allevamenti suini, inclusi quelli di tipo industriale. Ciò avviene spesso perché è difficile mantenere gli alti livelli di biosicurezza necessari per prevenirne l'ingresso. Inoltre, il trasporto di carni infette contribuisce alla diffusione del virus tra regioni anche geograficamente distanti.
"Le misure di biosicurezza negli allevamenti comprendono la rigorosa separazione tra suini domestici e l'ambiente esterno, la disinfezione di veicoli e attrezzature, il cambio del vestiario e il monitoraggio costante degli animali, con esami di laboratorio e con il rilevamento di segni clinici, per individuare precocemente la malattia", spiega il dottor Mannelli.
Le difficoltà degli allevatori
L'implementazione delle misure di biosicurezza presenta diverse difficoltà, specialmente per i piccoli allevamenti, in quelli situati in zone montane e/o boschive e nelle aree con una popolazione significativa di cinghiali selvatici. La normativa, infatti, richiede risorse e infrastrutture che i piccoli allevatori spesso economicamente non possono permettersi, rendendo complicata l'adozione delle misure di biosicurezza.
"L'impatto della PSA è significativo, sia per gli allevamenti industriali ad alta produzione suinicola sia per i piccoli allevatori che rischiano la chiusura delle proprie attività. La classificazione delle aree infette come zone di restrizione comporta pesanti - seppur necessarie - limitazioni all'allevamento e alla movimentazione di suini e prodotti suinicoli. Questo può portare a gravi perdite economiche. Inoltre, alcuni Paesi esteri possono imporre restrizioni alle importazioni di prodotti di derivazione suina dall'Italia, con conseguenze molto gravi, dal momento che la produzione suinicola rappresenta una parte considerevole del prodotto agricolo italiano", afferma l'esperto.
Carne contaminata e sicurezza per l'uomo
Mannelli chiarisce che: "Per la salute umana, non c'è alcun rischio legato al contatto con animali infetti o al consumo di carne proveniente da animali malati," rassicurando tutti in termini di sicurezza. Il virus, infatti, non può essere trasmesso agli esseri umani. Tuttavia, è fondamentale che la carne contaminata non entri nella catena alimentare, al fine di prevenire la diffusione del virus tra i suini. Per questo è importante che misure di biosicurezza e controlli sanitari siano rigorosi e mantenuti per assicurare l'assenza del patogeno nella carne messa in commercio.
Le criticità nella gestione dell'epidemia
Secondo il dottor Mannelli, la costruzione di barriere fisiche - come il posizionamento di reti – per impedire i movimenti dei cinghiali dalle zone infette verso zone libere, con possibile diffusione del virus, ha incontrato difficoltà nella prima fase dell'epidemia in Italia. Questo a causa della complessità del territorio interessato e dei ritardi burocratici. Attualmente, stanno per essere realizzate barriere lungo le autostrade per impedire o rallentare l'espansione della PSA dovuta ai movimenti dei cinghiali.
Un altro aspetto complesso dei piani di eradicazione è la riduzione del numero di cinghiali attraverso la caccia. Infatti, l'orientamento attuale è quello di ridurre la densità dei cinghiali nelle aree libere, mentre nelle zone dove la malattia è stata segnalata, la caccia è soggetta a limitazioni per il timore che possa portare alla diffusione del virus, sia per la dispersione degli animali vivi, sia attraverso carni e materiali contaminati dalle carcasse di cinghiali.
La ricerca attiva e la segnalazione di cinghiali morti o malati da parte di chiunque frequenti il territorio restano alla base della sorveglianza e del rilevamento precoce dell'infezione. Quindi, sono coinvolti nel processo anche operatori forestali, escursionisti e cercatori di funghi tant'è che attività come la raccolta di funghi e il monitoraggio ambientale sono soggette a raccomandazioni e norme per ridurre il rischio di diffusione del virus della PSA.
Uno sforzo condiviso per il controllo e l'eradicazione della peste suina africana
"È fondamentale che veterinari, allevatori, cacciatori e cittadini collaborino strettamente con le Autorità sanitarie per monitorare e contenere la malattia, riducendo il rischio di un'ulteriore espansione geografica e puntando all'eradicazione nelle aree colpite," dice, in definitiva, Mannelli.
Inoltre, è necessario informare il più possibile sulle precauzioni da adottare quando ci si muove in determinate zone, per garantire una maggiore consapevolezza collettiva: educare i cittadini sulle pratiche corrette è essenziale per prevenire la diffusione di una malattia complessa e insidiosa che minaccia la produzione suinicola del nostro Paese e che richiede un contributo coordinato e rigoroso da parte di tutti, a tutela dei nostri allevamenti locali.
Per approfondimenti
Per ulteriori informazioni, e per saperne di più su raccomandazioni e norme, è possibile consultare il sito storymaps.arcgis
Ordinanza del 2 ottobre 2024: Misure di eradicazione e sorveglianza della peste suina africana (Ordinanza n. 5/2024, GU Serie Generale n. 233 del 04-10-2024).