Colpisce suini e cinghiali ma, fortunatamente, non infetta l'uomo, né altri animali che non appartengano alla famiglia dei suidi. La peste suina africana (PSA) è stata classificata dall'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) e dal nuovo Regolamento di Sanità animale della Commissione Europea una malattia che, non appena individuata, prevede misure di eradicazione, ovvero di completa e definitiva sua eliminazione.
Provvedimenti molto drastici, giustificati dall'elevato tasso di mortalità che si riscontra nelle popolazioni di suini selvatici e domestici infetti, poiché non esistono misure di profilassi (vaccini e cure farmacologiche) efficaci e ci si trova di fronte a un virus facilmente trasmissibile all'interno delle popolazioni colpite. Considerato che, solo in Italia, l'allevamento di suini rappresenta il 5,0% dell'intero peso produttivo del comparto agricolo, le perdite economiche dovute dalla diffusione della malattia sono sempre devastanti.
Date queste premesse, la PSA si delinea come la maggiore minaccia a livello mondiale per il settore suinicolo.
Qual è l'agente eziologico
Il virus della PSA è l'unico membro della famiglia degli Asfarviridae, genere Asfivirus e, nel Mondo, sono noti 24 genotipi (cioè l'insieme di tutti i geni che compongono il DNA).
Il genotipo 1 della PSA è presente in Sardegna, mentre il genotipo 2 è il responsabile dell'epidemia che attualmente interessa Europa, Asia e Caraibi.
La sua grande diffusione all'interno delle popolazioni suine è dovuta all'elevata resistenza e stabilità ambientale del virus che rimane attivo anche in condizioni di putrefazione, congelamento e refrigerazione. Basti pensare che può permanere fino a 18 mesi a +4°C e fino a 2 anni a - 70 ° C e -20 °C. Inoltre, può trovarsi anche nei prodotti alimentari suinicoli finali, a meno che questi siano sottoposti a lunga stagionatura.
In natura, attraverso lo spostamento delle popolazioni di cinghiali infette, la PSA si espande dai 20 ai 50 chilometri all'anno (l'attuale tasso di espansione della malattia è di 1 km a settimana). Proprio in virtù della sua resistenza, il virus può essere trasportato anche dall'uomo a grandissima distanza dai focolai, ad esempio tramite lo spostamento di rifiuti, di veicoli o attrezzature contaminate, oppure attraverso la movimentazione di carcasse o derrate infette.
Da dove arriva la PSA? Un po' di storia...
Per capire le origini di questa malattia dobbiamo fare un salto indietro nel tempo. Siamo nel 1921, in Kenya: i suini allevati dai coloni inglesi iniziano a infettarsi tramite il contatto con i suidi selvatici locali (facocero, potamocero, ilocero). R. Eustace Montgomery, consigliere veterinario del Governo dell'Uganda, pubblica un report in cui si descrive per la prima volta la PSA. La malattia, in realtà, era endemica in Africa già da qualche secolo e alcuni studi fanno risalire la sua origine all'evoluzione di un virus delle zecche molli che infettano i suini selvatici africani.
Solo all'inizio del 900 però, dall'Africa il genotipo 1 del virus raggiunge l'Europa, diffondendosi in Spagna, Francia e Belgio. Fortunatamente la prima ondata epidemica si spegne nella maggior parte degli Stati europei. L'unica regione in cui oggi è ancora presente questa prima forma virale è la Sardegna, dove però, negli ultimi anni, si è registrato un costante e netto miglioramento della situazione epidemiologica.
Tuttavia, a partire dal 2007, la malattia, questa volta il genotipo 2, è stata introdotta nuovamente in Europa, sempre a causa del trasporto accidentale di materiale infetto, con focolai in Georgia, Armenia, Azerbaigian nonché nella Russia europea, Ucraina e Bielorussia. Da questi Paesi la malattia si è diffusa ulteriormente nell'Unione europea.
Oggi la PSA è diffusa in tutti i cinque Continenti, principalmente a causa della movimentazione di alimenti e materiali infetti o contaminati.
Il 9 gennaio 2022 c'è stata la rilevazione del primo caso in Italia, a Ovada, in Piemonte: evento che ha fatto dilagare una seconda ondata epidemica nel nostro Paese. Nei giorni successivi al 9 gennaio, infatti, il virus è stato rilevato anche in diverse carcasse di cinghiali rinvenute in Liguria, specificamente in provincia di Genova.
A oggi il virus è presente in Calabria, Campania, Lombardia, Lazio, Sardegna ed Emilia-Romagna con oltre 15.000 casi notificati.
Per approfondimenti:
Peste suina africana, il ruolo dei parchi