Il 2020 passerà alla storia, oltre che per lo scoppio della pandemia, anche per la temperatura record delle acque dei mari e degli oceani, che è stata la più alta mai registrata. E il Mediterraneo, purtroppo, è il bacino che ha fatto registrare il maggior incremento dei tassi di riscaldamento e di variazione della salinità.
Sono questi i dati che emergono dal primo studio sul riscaldamento globale degli oceani - dal titolo "Upper Ocean Temperatures Hit Record High in 2020" - elaborato da un team internazionale di scienziati tra cui i ricercatori italiani Franco Reseghetti del Centro Ricerche S. Teresa dell'ENEA e Simona Simoncelli dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) di Bologna.
Lo studio, pubblicato sulla rivista internazionale Advances in Atmospheric Sciences, ha evidenziato come gli ultimi cinque anni, a partire dal 2015, siano stati i più caldi mai registrati e come ciascuno degli ultimi nove decenni sia stato più caldo del decennio precedente.
"Il riscaldamento del Mediterraneo è stato registrato a partire dalla fine degli anni '80 - afferma Franco Reseghetti del Centro Ricerche S. Teresa dell'ENEA - ma oggi ha una crescita galoppante, con un progressivo interessamento degli strati più profondi. Anche le misurazioni della temperatura della colonna d'acqua nei mari Ligure e Tirreno, che ENEA ha condotto dal settembre 1999, hanno evidenziato un progressivo riscaldamento dello strato tra i 200 e i 700 metri di profondità".
"Il calore provocato dall'effetto serra – sottolinea Simona Simoncelli, scienziata ambientale marina specializzata in oceanografia fisica e ricercatrice dell'INGV – viene in parte assorbito dalle acque, a profondità sempre maggiori, con un effetto di mitigazione del clima terrestre. Tuttavia si tratta di energia che viene assorbita dalla terra e poi sprigionata causando i fenomeni meteorologici sempre più estremi e frequenti cui purtroppo ci stiamo abituando. Ma sono anche altre le conseguenze negative del riscaldamento: un crescente stress per gli organismi autoctoni, con la diminuzione della loro capacità di riprodursi e della loro resilienza e l'arrivo in massa di specie invasive, spesso veicolate dal traffico navale, che ritrovano nel Mediterraneo condizioni simili a quelle dei mari tropicali"
Aree Marine Protette: che ruolo giocano e che rischi corrono?
Nel 2017 uno studio internazionale, pubblicato sull'autorevole sito Proceedings of the National Academy of Sciences of the USA, ha affermato che le Aree Marine Protette possono contrastare, almeno parzialmente, il riscaldamento globale perché svolgono una funzione di "cuscinetto" mitigando cinque conseguenze dannose del cambiamento climatico: l'acidificazione degli oceani, l'innalzamento del livello del mare, la maggiore intensità delle tempeste, le migrazioni delle specie animali e la riduzione della produttività e disponibilità di ossigeno. Le zone umide costiere, inoltre, contribuiscono alla "cattura e sequestro" del carbonio dalle emissioni di gas a effetto serra, fornendo un ulteriore apporto positivo alla mitigazione del clima. Tuttavia solo il 3,5% degli oceani del mondo è attualmente protetto e appena l'1,6% è completamente esente dallo sfruttamento.
Il quattordicesimo degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell'ONU si proponeva di preservare almeno il 10% delle aree costiere e marine entro il 2020, un obiettivo peraltro non raggiunto che, a detta di alcuni, era troppo ambizioso mentre secondo altri, come l' Unione internazionale per la conservazione della natura (IUCN), lo è stato troppo poco, perché la quota di oceani protetta dovrebbe diventare del 30% entro il 2030.
Gli esperti sono concordi nel ritenere che l'unico mezzo per preservare davvero la biodiversità dei nostri ambienti marini sia intervenire direttamente sulle emissioni di gas serra, applicando gli accordi di Parigi. In caso contrario i mari, gli oceani e le stesse AMP saranno esposte a un grave rischio. John F. Bruno, biologo della University of North Carolina, Stati Uniti, ha pubblicato su Nature Climate Change una ricerca secondo cui tra circa 80 anni le Aree Marine Protette potrebbero estinguersi perché non più in grado di tollerare l'aumento di temperatura e la riduzione di ossigeno generati dal riscaldamento globale.
"Le Aree Marine Protette svolgono un ruolo fondamentale nel tutelare gli ecosistemi marini e aumentare la loro resilienza" spiega ancora Simona Simoncelli. "E' dunque necessario che si mantengano in buona salute e occorrerebbe aumentare il loro numero e renderle interconnesse in modo da potenziarle".
Per capire cosa succede al mare in generale, è utile fare riferimento ai dati del network europeo T-Med Net, fra i cui membri ci sono anche le aree marine protette, e a quelli del servizio Copernicus Marine Information, che monitorano i mari anche con l'utilizzo di sensori subacquei. I fenomeni più preoccupanti sono le "ondate di calore marine" ("marine heatwaves"), che nel breve periodo cambiano la stagionalità, e l'acidificazione delle acque, dovuta all'assorbimento della CO2 atmosferica, con effetti negativi sulle forme viventi marine, come lo sbiancamento dei coralli e cambiamenti nei cicli vitali delle varie specie. Le Aree Marine Protette subiscono particolarmente questi effetti, perché ne fanno le spese le specie che in esse sono tutelate come la posidonia.
"L'importanza di questa pianta è fondamentale – prosegue ancora Simoncelli - perché costituisce il substrato per la riproduzione dei pesci e consolida i fondali sabbiosi, rendendoli più resistenti all'erosione costiera, contrastando l'innalzamento del livello delle acque e le mareggiate più intense. Inoltre ha un'importante ruolo di assorbimento della CO2. Ciononostante la posidonia è ancora vista come un problema perché si ammassa sulle spiagge e ostacola la balneazione".
Un manifesto per oceani e mari
L' Assemblea generale delle Nazioni Unite ha dichiarato il decennio appena iniziato, che va dal 2021 al 2030, la "Decade of Ocean Science for Sustainable Development", il Decennio delle Scienze del Mare per lo Sviluppo Sostenibile, un'iniziativa che ha come obiettivo primario quello di mobilitare la comunità scientifica, i governi, il settore privato e la società civile intorno a un programma comune di ricerca e di innovazione tecnologica, ponendo l'accento sull'uso sostenibile dell'oceano e delle risorse marine, lo sviluppo di un'economia dell'oceano, la gestione sostenibile degli ecosistemi costieri, la condivisione di dati sugli impatti negativi del surriscaldamento, dell'acidificazione e della distruzione degli habitat. È stato presentato il "Manifesto del Decennio del Mare: verso l'Oceano di cui abbiamo bisogno per il Futuro che vogliamo" che può essere firmato da chiunque sia interessato e sensibile a questo tema.
AMP, un patrimonio da tutelare
Le riserve naturali marine in Italia sono definite per legge (art. 25 della Legge n. 979 del 31 dicembre 1982) e inserite nel più vasto ambito delle aree naturali protette delineato dalla Legge Quadro sulle Aree Protette (Legge 6 dicembre 1991, n. 394) che comprende anche parchi nazionali, parchi naturali regionali e riserve naturali terrestri, fluviali, lacuali e marine. Ogni area è suddivisa in tre tipologie di zone con diversi gradi di tutela. Nelle zone "A" o a riserva integrale, non è possibile svolgere alcuna attività, quindi neanche il transito e la balneazione, a eccezione di quelle a carattere scientifico e di controllo, mentre nelle zone "B" e "C" (rispettivamente a riserva generale e parziale) esistono limiti alla pesca e al transito delle imbarcazioni (la velocità deve essere inferiore ai 6 nodi vicino alle coste).
Ad oggi in Italia sono istituite 27 Aree Marine Protette e 2 parchi sommersi, per un'estensione di circa 228mila ettari di mare e circa 700 chilometri di costa. Ad esse si affiancano le Aree Speciali Protette di Importanza Mediterranea (ASPIM o SPAMI acronimo inglese di Specially Protected Areas of Mediterranean Importance) tra le quali l'area internazionale del Santuario per i mammiferi marini, compresa nel territorio francese, monegasco e italiano.
Un caso concreto: l'Area Marina Protetta del Promontorio di Portofino
Ma come avviene affrontata in concreto la sfida al riscaldamento globale dalle Aree Marine Protette? Tra le riserve storiche della Liguria c'è l'AMP del Promontorio di Portofino.
"Gran parte del nostro lavoro è ormai dedicato a fronteggiare e studiare la sfida del cambiamento climatico" spiega Lorenzo Merotto dello staff scientifico dell'AMP Portofino "sia con attività di contrasto e monitoraggio, che con iniziative di educazione ambientale. Per quanto riguarda le prime, consistono in una serie di interventi che a prima vista potrebbero sembrare non collegate al riscaldamento globale, ma che in realtà lo sono perché in mare tutti gli aspetti sono interconnessi. In particolare il nostro ente partecipa attivamente al progetto europeo Interreg MPA engage, che nel 2019 è subentrato al precedente MPA adapt ormai concluso, e che prevede una serie di monitoraggi della temperatura dell'acqua che effettuiamo grazie a otto sensori immersi in mare a profondità variabili, da 5 fino a 40 metri, che compiono una misurazione all'ora ininterrottamente e ogni sei mesi vanno controllati e ricaricati, mentre i dati vengono poi caricati sul portale T-MEDnet. Queste misurazioni ci dicono che la temperatura media dell'acqua sta aumentando di 0,1 °C all'anno, una variazione importante perché comporta uno stress crescente per l'ecosistema marino ed è tra le cause delle morìe di massa di piante e animali che abbiamo registrato negli ultimi anni. Tra questi ci sono i coralli e le gorgonie che monitoriamo frequentemente per valutarne lo stato di salute. Un'altra parte della nostra attività riguarda l'educazione ambientale, che è rivolta non solo agli studenti ma anche a turisti e pescatori cui, ad esempio, spieghiamo che non bisogna ancorare le imbarcazioni in corrispondenza di praterie di posidonia e che la pesca va praticata in modo ecocompatibile, evitando di gettare reti e lenze al di sopra delle gorgonie o, nel caso di attività subacquea, di nuotare con le pinne vicino al fondale".
Quali effetti del riscaldamento avete riscontrato ?
"Stanno sicuramente aumentando le specie che gradiscono il caldo e diminuendo quelle che lo soffrono. Tra i pesci, ad esempio, diminuiscono gli sgombri e aumentano i lanzardi, un tipo di pesce azzurro "cugino" dello sgombro. Anche i barracuda , che in passato erano rari, sono sempre di più. In entrambi i casi si tratta comunque di specie autoctone del Mediterraneo. Tra i vegetali, invece, si sta diffondendo la Caulerpa cylindracea, una parente dell'alga "killer" arrivata qualche anno fa dall'acquario di Monaco, anch'essa specie esotica invasiva che crea molti problemi sui fondali marini. Fortunatamente nel Mar Ligure non stiamo ancora assistendo all'arrivo massivo di specie alloctone come invece nel sud del Mediterraneo, ad esempio in Sicilia".
E' realistico ipotizzare un aumento delle AMP e una loro interconnessione come forma di protezione dell'ambiente marino?
"Non è facile creare nuove AMP, per tutta una serie di ragioni, e inoltre le cause ultime del riscaldamento globale andrebbero risolte a monte, riducendo l'impatto diretto da parte dell'uomo. E' sicuramente più importante che le riserve marine esistenti siano gestite bene e facciano rispettare le regole", conclude Merotto "anche attraverso la cooperazione internazionale che, per quanto riguarda le nostre aree, avviene attraverso la rete europea Med Pan".
Per approfondimenti:
L'intervista a Simona Simoncelli e Franco Reseghetti è disponibile su questa pagina facebook mentre l'articolo integrale sul loro studio è disponibile sul Sito dell'ENEA
Aree Protette, Sito del Ministero dell'Ambiente