Michelangelo Bisconti è nato ad Abbadia San Salvatore, piccolo paese sul monte Amiata - in provincia di Siena - l'8 agosto 1970. Ha conseguito la laurea con lode in Scienze Naturali e il dottorato di ricerca in Scienze della Terra all'Università di Pisa. Nel corso degli anni ha lavorato con borse di studio e assegni di ricerca presso l'Università di Pisa, il Museo di Storia Naturale del Mediterraneo di Livorno, l'Università degli Studi di Torino e per l'Unione Europea (Programma Synthesys), studiando le collezioni di cetacei fossili di Bruxelles, Leiden e Budapest. Si occupa dal 1996 dell'evoluzione dei cetacei e ha realizzato più di 100 pubblicazioni scientifiche su riviste di rilevanza nazionale e internazionale. Last but not least suona il clarinetto, ed è sposato con due bambini.
Professor Bisconti, com'è nata la sua passione per la paleontologia?
E' una passione che si è sviluppata in me molto precocemente. Ho ricordi molto vecchi in proposito. Alla scuola materna già parlavo di ossa fossili e dinosauri. Credo di essere rimasto particolarmente colpito da un documentario sui dinosauri in età prescolare. Da allora la paleontologia è rimasta un leitmotiv nella mia vita anche se, con il tempo, ho valutato altre professioni. Alla fine, però, la passione ha vinto.
Perché ha scelto di lavorare in questo settore scientifico?
La teoria darwiniana dell'evoluzione ha esercitato un forte fascino su di me fin dagli anni in cui frequentavo le scuole superiori. Ho letto molto in proposito prima di andare all'Università. C'erano aspetti che non capivo bene e, soprattutto, ero interessato ai meccanismi del cambiamento evolutivo che stanno alla base dell'origine di specie diverse. Questo interesse e la passione per animali e fossili mi hanno fortemente spinto a cercare di approfondire, attraverso un'attività di ricerca che fosse a tempo pieno. Infatti, dal momento che - in teoria - la paleontologia permette di cogliere le trasformazioni morfologiche che sono avvenute nel passato, ho pensato che fosse la disciplina ideale per soddisfare la mia curiosità scientifica. Per questo motivo ho iniziato a lavorare come paleontologo attraverso i percorsi offerti dapprima dall'Università e poi da altri enti. Una forte curiosità è stata alla base delle mie scelte lavorative.
Quali sono i suoi studi di ricerca più importanti e perché li ritiene tali?
Nel corso degli anni ho avuto l'opportunità di studiare numerosi reperti di grande interesse che hanno offerto spunti di riflessione importanti, contribuendo all'avanzamento della paleontologia. Il primo è uno studio pubblicato nel 2005 su una piccola balena nana del Pliocene del Mare del Nord; sono particolarmente legato a questo studio perché è stato il mio primo articolo pubblicato su una rivista internazionale. Il secondo è un lavoro pubblicato su una prestigiosa rivista scientifica anch'essa internazionale nel 2008; riguarda la prima balena grigia fossile al mondo che ho identificato in un reperto proveniente dal Pliocene del Piemonte, più precisamente da Cortandone. E' un articolo molto citato che ha riscosso un notevole interesse nel mondo della cetologia. Nel 2012 ho avuto l'opportunità di descrivere e pubblicare uno studio sulla prima balena franca pigmea fossile del mondo dopo un lungo periodo di ricerca, durato più di dieci anni. Nel 2021 ho pubblicato con i miei colleghi piemontesi Piero Damarco, Marco Pavia e Giorgio Carnevale lo studio della più antica balena fossile del Mediterraneo che proviene da Moleto, in Piemonte. Infine, sono molto legato a due articoli pubblicati recentemente e nei quali, insieme a un eccellente gruppo di collaboratori, abbiamo affrontato l'evoluzione del cervello dei cetacei sulla base dei resti fossili. In questi lavori abbiamo utilizzato sia un calco endocranico naturale - sostanzialmente la forma interna della cavità del cranio che riproduce la morfologia del cervello ricoperto dalle meningi - proveniente dal Miocene inferiore del Monferrato, sia la TAC della balenottera Tersilla, scoperta in un affioramento pliocenico a San Marzanotto, vicino Asti. Questi lavori sono stati molto innovativi nel settore e hanno permesso di aprire un nuovo campo di ricerca ignorato da circa cento anni in Italia: lo studio dei calchi endocranici dei cetacei per comprendere meglio l'evoluzione del cervello di questi animali.
Qual è la sua più grande soddisfazione in ambito accademico e lavorativo?
Qualche anno fa ho ricevuto dalla Soprintendenza competente l'incarico di dirigere le operazioni di preparazione, restauro e studio scientifico di una balenottera pliocenica proveniente dal territorio del comune di Montalcino, in provincia di Siena. E' stato un lavoro di grande responsabilità durato circa tre anni e che ancora mi vede in veste di coordinatore di un gruppo di ricerca di ottimi professionisti in diversi settori, che vanno dalla micropaleontologia, alla magnetostratigrafia, tafonomia, malacologia, paleoittiologia e museologia scientifica. Nel complesso, questo incarico mi ha fatto crescere moltissimo e i risultati ottenuti, riconosciuti a livello internazionale, mi hanno dato grandissima soddisfazione.
C'è un fossile o un sito paleontologico di un determinato periodo geologico che preferisce?
Negli anni, ho scavato ed esplorato diversi siti paleontologici e preistorici e sono legato a molti di questi. C'è un bellissimo sito oligocenico a Calignaia, appena fuori Livorno, nel quale si trovano grossi blocchi rocciosi con grandi tracce fossili di un qualche mollusco che ha vagato in maniera irregolare su quello che - più di venti milioni di anni fa - doveva essere un fondale marino. Me lo fece scoprire un caro amico e appassionato di paleontologia e preistoria, Franco Sammartino e insieme lo studiammo e lo pubblicammo in un volume di atti di un convegno toscano di scienze naturali. E' un sito immerso nella macchia mediterranea con una grande ricchezza di piante aromatiche e animali che ci hanno fatto compagnia per tutto il tempo dello studio sul campo.
Naturalmente, non posso non citare il sito di Poggio alle Mura dove sono rimasto a studiare la balenottera Brunella per alcuni anni. Un luogo bellissimo caratterizzato da vigne e colline che rappresentano ciò che un tempo fu un estesissimo fondale marino con l'orizzonte segnato dalla presenza del Monte Amiata, da cui provengo. Ho passato tanto tempo a Poggio alle Mura e ne ho amato i colori, i profumi e il vino. Il tutto condito da affioramenti fossiliferi bellissimi e molto ricchi.
Infine, sono legato affettivamente ad un sito paleolitico dove ho scavato per tre anni durante il periodo universitario. Si tratta della Grotta Continenza, un sito che si affaccia sulla piana del Fucino in Abruzzo. Lì ho fatto le mie prime vere esperienze di scavo, ho contribuito alla messa in luce di tanta fauna paleolitica e mesolitica e una sepoltura umana priva di testa. Non dimenticherò mai quel periodo e quel luogo che mi fecero crescere così tanto sia scientificamente che umanamente.
I fossili a cui sono più legato sono però cetacei. Certamente la balenottera primitiva di Montafia (At) rappresenta un centro d'interesse continuo da tanti anni per me. Ci sto ancora lavorando ma sono sicuro che rappresenterà una chiave di lettura importante per chiarire l'evoluzione della biodiversità dei misticeti dell'emisfero settentrionale nel corso del Pliocene. Inoltre sono legato ad un fossile scoperto in Belgio da un caro amico e collega, Mark Bosselaers, e che rappresenta uno dei più grandi balenotteridi mai individuati allo stato fossile. Ho visto Mark procedere con la preparazione del reperto per più di dieci anni; i miei studi su questa balenottera sono andati avanti nello stesso periodo, un tassello alla volta. Adesso siamo vicini a definire la natura di questo fossile che certamente rivelerà molto dell'evoluzione della morfologia e delle dimensioni dei misticeti. Al momento lo conosciamo solo come 'the big one' ('quello grosso') ma già così è entrato nel nostro immaginario, impegnandoci per molti mesi di lavoro nel corso dell'ultimo decennio.
I geositi e il Museo paleontologico dell'astigiano a suo giudizio sono valorizzati a dovere?
Per motivi di lavoro, frequento la collezione di cetacei fossili piemontesi da diversi anni. Questa collezione è conservata proprio presso il Museo Paleontologico Territoriale dell'Astigiano. Lavorando a stretto contatto con il personale del museo e del Parco ho potuto constatare la grande passione e dedizione che gli uomini e le donne di questa istituzione mettono in quello che fanno. Il museo è cresciuto tantissimo in questi anni attraverso un lavoro capillare con scuole di ogni ordine e grado e con l'organizzazione di mostre attentamente pensate per coinvolgere il più vasto pubblico possibile. L'ultima mostra, ancora visitabile, si intitola 'Balene preistoriche' ed è stata un grande successo. Questo costituisce motivo di orgoglio anche per me, dal momento che ho contribuito alla sua progettazione. Nel corso dell'ultimo congresso annuale della Società Paleontologica Italiana, paleontologi provenienti da tutta Italia sono stati accompagnati e guidati attraverso alcuni dei più importanti geositi dell'astigiano e tutti hanno apprezzato la cura e l'attenzione che gli operatori dell'Ente mettono nella conservazione e divulgazione di questa importante eredità naturalistica e culturale. Le numerose pubblicazioni realizzate o curate dagli specialisti del museo e da appassionati fissano su carta i contenuti delle ricerche e delle attività di cura della collezione. Tra questi sono certamente da citare "Valle Andona Mare e Fossili", scritto a più mani da diversi paleontologi e "Fossili e Territori" di Laura Nosenzo, in cui uno studio che potremmo definire quasi etnografico fa da trait d'union tra il mondo della ricerca accademica e il territorio. Nel complesso dunque mi sento di poter affermare che le collezioni e i geositi astigiani vengono ampiamente studiati e valorizzati da professionisti molto capaci. Naturalmente si può sempre puntare più in alto e fare di più, ma quello che è stato fatto e che viene ancora fatto mi pare moltissimo e rende giustizia ad un patrimonio ambientale e culturale su cui si sono accesi i riflettori per la prima volta non meno di 300 anni fa.
Come considera il patrimonio paleo-cetologico piemontese in ambito internazionale?
Le collezioni paleo-cetologiche piemontesi rappresentano un unicum a livello italiano. La qualità dei fossili (in termini di diversità e stato di conservazione) è di altissimo livello e questo consente studi di dettaglio su differenti aspetti dell'anatomia e dell'evoluzione dei delfini e delle balene (in senso lato) che sono vissute dove oggi c'è il Piemonte qualche milione di anni fa. La presenza in questa collezione di uno scheletro completo e articolato come la balenottera di Valmontasca scoperta a Vigliano d'Asti nel 1959 (probabilmente il più completo misticete fossile d'Europa), del delfino di Camerano Casasco (uno dei più completi e meglio conservati della sua specie in tutto il nostro continente), della balena grigia di Cortandone o della balenottera di Montafia (la cui splendida conservazione ne fa un vero e proprio capolavoro della natura) e di tanti altri reperti interessanti fanno sì che questa collezione rappresenti uno scrigno di tesori paleontologici unico e di grande interesse per i paleontologi di tutto il mondo. Se è vero che per diversi decenni si è fatta poca ricerca sui cetacei fossili piemontesi, da qualche anno a questa parte la collezione di Asti viene intensamente studiata e pubblicata e la sua importanza comincia ad essere recepita a livello internazionale attraverso citazioni e comunicazioni tra studiosi. Ritengo che con i prossimi anni e le prossime pubblicazioni, i fossili di questa collezione saranno imprescindibili per qualunque ricerca sull'evoluzione dei cetacei fossili a livello mondiale.
Come vede lo sviluppo futuro in questo contesto?
Come sempre, molto dello sviluppo dipende dall'entità dei fondi che saranno destinati a cura, gestione e ricerca. La collezione astigiana necessita attenzione e manutenzione, i fossili tendono a deteriorarsi con il tempo per cui è necessario che personale specializzato mantenga il controllo dello stato di conservazione. Inoltre non bisogna sottovalutare l'importanza della ricerca sul territorio e sui reperti. Non si deve dimenticare che buona parte di quello che può essere un efficace processo di valorizzazione dipende dai risultati dello studio scientifico dei fossili. La scoperta scientifica rappresenta la testa di ponte che permette di veicolare un vasto quantitativo di informazioni in grado di ampliare e rendere più interessanti i progetti educativi e didattici consentendo, al contempo, di raggiungere un'utenza non specialistica attraverso lo stimolo della curiosità e della novità. Per questo motivo la presenza di ricercatori e studenti universitari è, a mio avviso, un fattore fondamentale per procedere oltre rispetto all'attuale stato di cose. Procedere oltre significa fare nuove scoperte e ricostruire più dettagliatamente l'ambiente piemontese degli ultimi 20 milioni di anni. Le potenzialità per fare un grande lavoro di ricerca e divulgazione ci sono tutte. La collezione è straordinaria. I geositi sono belli e ben curati. La popolazione del territorio è interessata e ricettiva. Le persone da destinare a cura e ricerca potrebbero esserci. Se ci saranno anche finanziamenti adeguati, lo sviluppo futuro potrebbe essere di altissimo profilo.
Cos'è Brunella?
Questa domanda mi fa un po' sorridere. Credo che sia un'usanza tipicamente italiana quella di dare alle balene e balenottere fossili un nome di donna. In Piemonte ci sono Tersilla e Olga, in Toscana ci sono Brunella e Tosca, in Puglia c'è Giuliana, in Emilia Romagna ci sono Valentina, Giorgia, Beatrice e Matilde... Sono tutte balene e balenottere fossili a cui sono stati dati nomi di persone, generalmente da bambini o da scolaresche. Brunella è un balenotteride proveniente dal Pliocene inferiore del territorio di Montalcino, in provincia di Siena. Venne scoperta nel 2007 da due appassionati di un gruppo paleontologico, l'AVIS Mineralogia e Paleontologia di Scandicci, i signori Simone Casati e Franco Gasparri, all'interno di un terreno appartenente all'azienda Banfi s.r.l. che produce vino, tra cui un buonissimo Brunello di Montalcino. Lo scheletro di Brunella è rimasto nei magazzini della Banfi per tanti anni fino a che la Soprintendenza mi ha contattato chiedendomi di coordinare gli sforzi per la preparazione, il restauro e lo studio del reperto. Per poco più di tre anni ho lavorato su questa balenottera insieme a diversi specialisti portando a termine preparazione e restauro. Lo studio è ancora in corso. Il progetto di preparazione di Brunella è stato interamente finanziato dalla ditta Banfi s.r.l. attraverso la formula dell'Art Bonus previa approvazione ministeriale e ha permesso di realizzare, parallelamente alle attività descritte sopra, una scuola di restauro dei beni paleontologici che ha coinvolto numerosi docenti e parecchi studenti da molte università italiane e straniere, grazie anche al supporto organizzativo dei professionisti dell'Istituto di Studi Archeoantropologici. Il tutto può essere esplorato nel sito web della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le province di Siena, Grosseto e Arezzo e nel sito della Fondazione Banfi. L'intero progetto è unico a livello nazionale e rappresenta un riuscito prototipo di collaborazione tra istituzioni pubbliche e aziende private per la conservazione, studio e valorizzazione di un bene paleontologico di grande interesse scientifico che sta ancora, lentamente, svelando informazioni e stimolando la curiosità di moltissime persone in Italia e nel mondo.
Per approfondimenti:
Parco paleontologico astigiano
Istituto di Studi Archeoantropologici
Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le province di Siena, Grosseto e Arezzo