Febbraio, tempo di amori per il gatto (Felis catus L.). E, tra i detti popolari, questo è proprio il mese che veniva definito "dei gatti e delle streghe" collegando in tal modo i nostri felini alla magia. Non solo, nessun altro animale sembra sia stato così intimamente legato in tutte le epoche storiche alla condizione femminile come il nostro felino.
Anche nell'immaginario collettivo da sempre, la "gattara", il personaggio che si occupa di dare da mangiare ai gatti randagi o che ha una particolare predilezione per loro, è una donna.
E difatti pure la "Festa Nazionale del gatto" che ricorre il 17 febbraio è stata istituita nel 1990 a seguito della proposta di una donna, la giornalista gattofila Claudia Angeletti. In varie città d'Italia si festeggia questa giornata con iniziative artistiche o di solidarietà a favore di questi animali.
E anche il giorno non è a caso. 17, numero che nella nostra tradizione è ritenuto portatore di sventura, come un tempo lo fu anche il nostro gatto.
Forse perché l'anagramma del numero romano da XVII si trasforma in "VIXI" ovvero "sono vissuto", di conseguenza "sono morto".
Ma forse questo animale ci affascina tanto perché, pur essendo domestico, non conosce il significato della parola "padrone". E anche per questo il parallelismo tra donne e gatti sovviene spontaneo. Entrambi creature mutevoli, talvolta lunatiche, misteriose e affascinanti, donne e gatti sanno comunicare con lunghi silenzi e profondi sguardi quello che sentono.
Sia il gatto che la donna sanno essere dolci, avere movenze aggraziate ed eleganti e al contempo, all'occorrenza, sanno sfoderare gli artigli. La scrittrice Colette diceva che donne e gatti si somigliano perché «entrambi possono essere costretti a fare solo ciò che vogliono fare».
Alcuni affermano che le donne vedono nel gatto un'incarnazione dei loro ideali: creature capaci di amare e stabilire forti legami, ma allo stesso tempo forti, libere e indipendenti, che non temono di esternare i propri sentimenti e non hanno bisogno di un capo. Nel libro "Le Psycat", Odette Eylat sostiene che «il gatto è amato, ricercato o sfuggito proprio come l'analista che ricostruisce per noi l'interrotto cordone ombelicale con la Grande Madre Natura, l'infinito».
Proprio come la donna, provocatrice e risvegliatrice di istinti materni, sensuali, provenienti dal più profondo del nostro inconscio.
Nessun dubbio, quindi, sulla celebrata affinità dell'universo femminile con quello felino, entrambi associati a una duplice simbologia tra bene e male, tra luce e ombra, che sembra trascendere il tempo e lo spazio.
Tra mito e leggenda
Sin dai tempi degli antichi Egizi, il gatto era un animale sacro e probabilmente furono proprio loro, i primi a instaurare un rapporto di convivenza con questo piccolo felino. Le prime testimonianze, risalenti all'Antico Regno, si trovano nel Libro dei Morti, dove il gatto, identificato sostanzialmente col leone, combatte contro Apophis, il pitone delle paludi, simbolo delle forze malvagie, allorché attacca la terra durante la notte.
Sicuramente addomesticato con difficoltà, era onorato perché proteggeva i granai dai topi e quindi il popolo dalla carestia. Inevitabilmente, la forte affinità tra gatto e donna fu presto notata dagli attenti Egizi, che veneravano Bastet, divinità solare col corpo di donna e la testa di gatto.
Protettrice dei gatti e di coloro che se ne prendevano cura, era una dea potente, legata a Ra, simbolo della femminilità, della sensibilità e della magia.
Proteggeva anche i bambini, l'amore, la fertilità, la famiglia e la casa. I riti in onore di questa dea erano incentrati sulla purificazione e sulla profumazione, rappresentazione della trasformazione che la donna effettua durante il ciclo mestruale.
Alle volte venne raffigurata con una testa di leonessa e il corpo di donna, e in questo caso prese il nome di Sekhmet, detta anche "Occhio di Ra", mandata dal padre a distruggere i nemici. In alcune leggende egizie difatti, Bastet e Sekhmet sono sorelle.
Ella rappresentava così la dualità insita in ogni donna, quella solare e luminosa, visibile a tutti, docile e remissiva, e quella lunare, ovvero nascosta, misteriosa, indipendente e potente.
Il suo culto era incentrato nella città di Bubastis, nel cui tempio sono state rinvenute centinaia di effigi dedicate alla divinità, raffigurate secondo alcuni modelli ricorrenti: come dea madre intenta ad allattare i propri piccoli o come gatta-regina, coperta di gioielli e raffigurata in atteggiamento ieratico.
Da qui, la credenza egizia femminile che la bellezza dei gatti fosse divina, ideale, fatale. Le donne stesse si truccavano accentuando tratti tipicamente felini, come la forma degli occhi, per accentuarne l'aria misteriosa.
Attraverso l'Egitto il gatto giunse nei paesi arabi, dove il felino venne preso rapidamente in simpatia e la sua fama ben presto eguagliò quella del cavallo, altro animale sacro.
Con l'avvento della civiltà greca, l'aspetto solare di Bastet passò in secondo piano, e venne associato principalmente al culto della Luna, divenendo una rappresentazione di Artemide. Stessa concezione anche presso i Romani, che lo ritenevano sacro a Diana, associata alla luna, alla femminilità e alla magia; proteggeva la gravidanza e intratteneva un rapporto privilegiato con la natura, i boschi, gli animali e le piante. Ella, per sedurre il fratello Apollo e concepire da lui un figlio, prese forma di gatto.
Anche in Oriente si trovano simili divinizzazioni: in India la dea Sasti, divinità felina anch'essa simbolo di fertilità e maternità.
Nella mitologia nordica i gatti sono associati alle dee della fertilità, come Freya e Brigit. Narra la leggenda che Freya, la bellissima dea dell'amore e della fertilità, viaggiasse sul suo carro d'oro, trainato da una coppia di gatti maestosi. Venerdì in inglese si dice Friday, ossia "il giorno di Freya", ed era considerato il giorno più propizio per le nozze.
Qualche studioso suppone esistesse anche un legame tra il gatto e la Dea Madre dei druidi celti.
Purtroppo ben altra sorte e fortuna ebbe in qualche altra parte dell'Europa. Durante il Medioevo Papa Gregorio IX li dichiarò "stirpe di Satana" nella bolla papale del 1233, con la quale prese avvio un vero e proprio sterminio di queste creature, torturate e arse vive al fine di scacciare il demonio.
Ciò causò una tale riduzione della popolazione felina da causare il proliferare di ratti e topi, specialmente nelle grandi città, favorendo la diffusione della peste in tutto il continente. Solo agli inizi del 1700 il gatto venne riaccolto con favore nelle case, ma per la rivincita della sua immagine dovette attendere più tardi, nel 1800, quando fu scagionato completamente dalla ricerca in medicina, che lo ritenne fra gli animali non portatori di malattie. In questo periodo invece divenne l'animale romantico per eccellenza, misterioso e indipendente.
Eppure, ancora ai giorni nostri, ogni tanto la cronaca denuncia misteriose scomparse feline ad opera di strane sette, soprattutto dei gatti a manto nero, che a causa di questa caratteristica, bisogna dire, la sfortuna sembra la rechino più a se stessi che agli altri.
Ancora oggi donne e gatti, prima venerati e amati, poi messi al rogo e perseguitati, o relegati a un ruolo marginale, stanno camminando fianco a fianco verso l'emancipazione e la libertà.
Bibliografia:
Grande Enciclopedia del Gatto, volume 6°, 2003. De Agostini editore.