Masserie, vecchie case abbandonate, muri di mattoni e ruderi sono alcuni dei luoghi in cui è possibile vedere una nuova e rigogliosa vegetazione che sembra rimpossessarsi degli spazi che l'uomo gli ha sottratto nei secoli. Il termine tecnico che viene utilizzato per definire questo habitat è ruderale. La flora ruderale, infatti, comprende piante che si adattano ad aree urbane e suburbane dove trovano terreno adatto per le proprie radici fra le fessure e gli interstizi della pavimentazione stradale o su cumuli di macerie.
Ailanto, superpianta invasiva
Tra queste piante si distingue l'Ailanthus altissima conosciuta anche come ailanto o albero del paradiso, una specie neofita invasiva che fu importata in Europa dalla Cina nel '700. La pianta cresce in modo rapido e straordinariamente rigoglioso, è molto adattabile e in grado di colonizzare facilmente aree marginali come i terreni incolti, le scarpate, i bordi delle ferrovie, delle strade e dei torrenti. In queste aree, spesso abbandonate, si diffonde senza incontrare grandi resistenze. Due caratteristiche favoriscono la sua invasività: la produzione di semi "alati" che si disperdono con il vento su aree molto ampie e la produzione di germogli dalle radici che, se tagliate, hanno un forte ricaccio che può arrivare fino a 30 metri di distanza.
I danni delle piante invasive
Le radici dell'ailanto sono in grado di spaccare il cemento e la pietra, infilarsi in profondità, destabilizzando strutturalmente edifici, terrapieni e muraglioni e causando gravi danni alle costruzioni, ma soprattutto l'ailanto è in grado di uccidere le altre specie eliminando interi ecosistemi: essendo poco esigente e a crescita rapida è molto competitiva con le specie autoctone delle quali riduce e impedisce la crescita. Per questo in Italia e in Europa è segnalata tra le principali specie invasive. Le specie esotiche invasive sono la seconda causa di perdita di biodiversità dopo la scomparsa degli habitat naturali: alterano l'equilibrio inquinando habitat ed ecosistemi protetti. Secondo stime dell'UE l'impatto negativo di queste specie raggiunge i 12 miliardi di euro di perdite ogni anno.
Parco Nazionale dell'Alta Murgia, un ecosistema a rischio
L'ecosistema del Parco Nazionale dell'Alta Murgia, nel nord della Puglia, è tra gli ambienti minacciati dalla diffusione incontrollata dell'ailanto. Nel parco si trova circa il 25% del totale di tutte le specie presenti in Italia, una enorme ricchezza di biodiversità che rischiava di scomparire. "In origine la presenza di animali e di uomini assicurava la gestione dei pochi esemplari di ailanto presenti nel parco. Quando l'area è stata abbandonata l'ailanto ha avuto campo libero e si è diffuso lasciando poco spazio alle specie spontanee che soffrono di questa invasione biologica" afferma Maurizio Vurro, dirigente di ricerca presso l'Istituto di Scienze delle Produzioni Alimentari del Consiglio Nazionale delle Ricerche (ISPA CNR). A ciò si aggiungono i danni e le distruzioni che l'ailanto provoca su strutture e manufatti di pregio all'interno del parco. "Il rischio era quello che l'intero parco venisse colonizzato da questa specie, come sta avvenendo in molti territori anche urbanizzati" conclude Vurro.
Il Progetto LIFE Alta Murgia
Da qui nasce il progetto LIFE Alta Murgia volto alla salvaguardia dell'ecosistema di alcune aree del parco attraverso l'eradicamento dell'ailanto. Un'operazione questa, però, che presenta particolari sfide: "Per le sue caratteristiche biologiche non è possibile intervenire semplicemente con mezzi meccanici come ad esempio il taglio dei fusti, perché questi interventi sono in realtà peggiorativi" il fusto dell'ailanto, se tagliato, riceve uno stimolo a "produrre germogli dalle radici, e quindi ogni volta che si taglia in realtà non si fa altro che moltiplicarne la presenza. Interventi chimici classici e interventi meccanici più eradicanti non sono possibili nei parchi.
Insomma, si tratta di una delle specie vegetali più difficili da combattere" afferma Maurizio Vurro curatore del progetto con Francesca Casella, ricercatrice al CNR-ISPA di Bari. "Si è deciso di intervenire con tecniche innovative e a basso impatto consistenti nella somministrazione localizzata di un erbicida a dosi ridotte direttamente nella pianta. Queste applicazioni, che non hanno alcun effetto sull'ambiente circostante, consentono di inattivare le gemme radicali e quindi impediscono alla pianta di riprendere a vegetare. Queste tecniche di applicazione risultano molto efficaci e al momento le uniche utilizzabili". Oltre 700 interventi in altrettante aree del parco hanno permesso di tenere sotto controllo la diffusione dell'ailanto, dove continuano le azione di monitoraggio in modo da individuare eventuali nuove infestazioni sulle quali intervenire rapidamente.
Tra gli effetti collaterali positivi, sottolineati dai promotori del progetto, anche la buona ricezione e il supporto ricevuto da parte degli agricoltori e dei proprietari delle masserie e dei vari edifici minacciati, perché il progetto ha permesso di recuperare anche strutture di notevole pregio storico ed architettonico.
Per conoscere le specie vegetali esotiche invasive del Piemonte, scarica lo speciale di Piemonte Parchi qui.