“La volpe sa molte cose, ma il riccio ne sa una grande”. Così scrisse Archiloco, il poeta greco che si guadagnava da vivere facendo il soldato (i poeti non fanno quasi mai una bella vita).
Forse pensava al fatto che il riccio possiede un unico modo di difendersi - appallottolarsi e pungere - e quasi sempre funziona. Ma la volpe ne sa una più del diavolo, ad esempio per stanarlo gli urina sopra, lui si apre e lei lo addenta al muso.
Il riccio sarà anche elegante, come dice il best seller di Muriel Barbery L'eleganza del riccio, ma è un po' monocorde, come tutte le persone un po' ottuse. Però è regolare, affidabile, mica è poco. Se minacciato non attacca, non fugge, sta lì e aspetta, si difende passivamente e chi prova a mangiarlo nove volte su dieci si becca spine ovunque, nella bocca, nel naso. Provate a vivere, a nutrirvi, a giocare con quelle cose piantate in punti sensibilissimi: si rischia di morire di inedia.
La sapienza del riccio
La "cosa grande" che sa il riccio, il più delle volte è utile, ma come ogni attitudine se portata all'estremo contiene anche una zona oscura; la sicurezza del riccio può dunque sconfinare nella limitatezza, può condurlo alla rovina.
"In certe notti serene - scrive Dino Buzzati - con la luna grande, si fa festa nei boschi (…) Lo si capisce da qualcosa di speciale che in quelle occasioni c’è nell’atmosfera. Molti uomini, la maggioranza anzi, non se ne accorgono mai. Altri invece l'avvertono subito (…) E' questione di sensibilità”. In quelle notti estive e fortunate, come scrive Dino Buzzati ne Il segreto del bosco vecchio, i ricci abbandonano le tane e vanno in cerca di cibo; non temono di attraversare spazi aperti - si sentono protetti dagli aculei - così finiscono sotto le ruote delle auto a milioni. La "cosa grande", insomma, è loro fatale.
Il carosello dei ricci
Strano animale notturno, il riccio. Nella stagione estiva si accoppia ma - inutile far finta di niente - non è chiaro cosa significhi “godere come un riccio”. Lui, ormai l'abbiamo capito, non è un campione di variazioni e fantasie, è un animale solitario, che non si allontana troppo dalla tana; è un sedentario che vive preferibilmente nelle campagne, nei boschi, tra i cespuglio e nelle legnaie dove costruisce il nido. Trascorre gran parte della giornata nascosto tra le foglie e va in cerca di cibo fra il tramonto e le ore notturne, cibandosi di insetti, anfibi, lucertole e piccoli roditori. Non è propriamente un eroe del sesso, dunque, ma di preliminari sì. Il rito dell'accoppiamento è lungo, l’atto brevissimo, dura pochi secondi: il maschio gira intorno alla femmina per ore, lo chiamano “il carosello dei ricci” (o è la femmina che insegue? mah, siamo al "prendimi-dammiti-cuccuruccù "di Brancaleone, perché non si applaude con una mano sola, dice un proverbio cinese), insomma, si inseguono velocemente in cerchio per qualche tempo, poi lui le mordicchia gli aculei, lei inizialmente sbuffa e lo respinge ma quando è pronta inarca il corpo verso il basso, in modo tale da appiattire lo scudo di aculei e permettere al maschio di montarla senza ferirsi. La gestazione dura circa 40 giorni, la femmina partorisce solitamente da tre a sei piccoli. Non rimangono ventre contro ventre, come qualcuno pensa, né rotolano come una palla di spine… Il massimo del divertimento è la corsa, che al riccio, dicono, serve anche per scaricare l’eccesso di energia. Strane notti d’estate. Le conoscevano Mario Rigoni Stern e Dino Buzzati.
L'eleganza del riccio
Il riccio (da non confondere con l'istrice o porcospino, che è più grande), a modo suo è un coraggioso, un grande nemico delle vipere, ad esempio: le ammazza proteggendosi abilmente con l'irto mantello. Ha le sue contraddizioni ma in fondo sì, ha ragione Muriel Barbery, ha una sua raffinatezza: "Madame Michel (la portinaia protagonista del romanzo, ndr) ha l'eleganza del riccio: fuori è protetta da aculei, una vera e propria fortezza, ma ho il sospetto che dentro sia semplice e raffinata come i ricci, animaletti fintamente indolenti, risolutamente solitari e terribilmente eleganti". Il riccio di solito si muove lentamente ma è in grado di correre veloce e si dimostra anche un ottimo nuotatore. Ha qualità nascoste, insomma, non è un esibizionista, com'è di moda oggi. Ama restare nelle radure, dove l’ombra è incerta, è questione di sensibilità: “Alcuni – dice Buzzati - la posseggono di natura; altri non l'avranno mai, e passeranno impassibili, in quelle notti fortunate, lungo le tenebrose foreste, senza neppur sospettare ciò che là dentro succede". Succede che il riccio, con la sua prevedibilità e il suo cervello ordinario, quasi tutto dedicato all’olfatto, vive la stagione dei girotondi e i suoi amori da solitario, prima di arrendersi all'inverno e al lungo letargo. Perché il riccio, secondo quel grande pensatore che fu Isaiah Berlin, è il capostipite di un'immensa famiglia di grandi spiriti: con l'aria di proporre un innocuo gioco di società, nel celebre Il riccio e la volpe (The Hedgehog and the Fox) Berlin parte dal frammento di Archiloco e riflette sulle grandi personalità del passato.
La filosofia del riccio
I ricci – scrive Berlin– sono centripeti: "Riportano tutto a un sistema, più o meno coerente o articolato, attraverso il quale capiscono, pensano e sentono". Le volpi, invece, vivono, agiscono e ragionano in modo centrifugo: "Il loro pensiero è disperso e diffuso, si muove su diversi livelli. Sfrutta l’essenza di una grande varietà di esperienze senza forzarle in una visione immutabile, onnicomprensiva, contraddittoria e talvolta incompleta, occasionalmente fanatica". Le volpi, scrive Berlin, "perseguono molti fini, spesso disgiunti e contraddittori, magari collegati soltanto genericamente, de facto, per qualche ragione psicologica o fisiologica, non unificati da un principio morale o estetico"; i ricci "riferiscono tutto a una visione centrale, a un principio ispiratore, unico e universale, il solo che può dare un significato a tutto ciò che essi sono e dicono". Puškin sarebbe una "volpe sublime" e Dostoevskij un purissimo riccio. Tolstoj "era per natura una volpe, ma credeva fermamente di essere un riccio". Anche Berlin, volpe per eccellenza, ha un segreto aspetto di riccio; Dante era un riccio, Shakespeare, una volpe. Platone, Lucrezio, Pascal, Hegel, Dostoevskij, Nietzsche, Ibsen e Proust erano ricci. Erodoto, Aristotele, Montaigne, Erasmo, Molière, Goethe, Puškin, Balzac e Joyce erano volpi.
Insomma, il riccio è un totem, è un luogo dello spirito, è una categoria filosofica. Certo, il meglio sarebbe unire alla fantasia e all’agilità della volpe la precisione e la coerenza del riccio, che è un po' come dire che gli italiani dovrebbero diventare un po' tedeschi e viceversa. Chi si ritrova con le spine può consolarsi e abbassarle ogni tanto, se vuole godere, perché - ecco il trucco - il divertimento sta proprio nei preliminari, è lì che brilla la fiamma della passione. Lo sapevano Shakespeare e Schnitzler: dell'amore apprezzavano i girotondi, i preliminari, il dopo era banale, scontato. E lo sapeva Leopardi, che il sabato è il giorno più felice perché si aspetta la domenica, il dì di festa. Tutto questo si chiama fiducia, aspettativa, desiderio, sogno, speranza: non per nulla, l'ultima dea.