(Dal nostro archivio, Piemonte Parchi n. 109)
Appartiene al gruppo eterogeneo dei Coraciiformi, assieme alle upupe, alle ghiandaie arine, ai gruccioni: quello europeo si chiama Alcedo atthis e non ha nulla da invidiare ai parenti multicolori abitanti di paesi lontani, luoghi sognati di cieli immensi, foreste inesplorate, pellicce maculate e piumaggi variopinti.
"Uccello più sfolgorante da noi non esiste" scriveva Renard nelle sue Storie Naturali: è un gioiello colorato che in mezzo agli anonimi passeri e ai scialbi usignoli sembra ancora più prezioso, una inaspettata esplosione di azzurro e arancio e rubino che sfreccia sulle sponde dei nostri fiumi in tutte le stagioni, a spezzare il grigiore dell'inverno spoglio, a festeggiare i germogli chiari di primavera, a celebrare il colore carico della vegetazione d'estate e poi i rossi dell'autunno.
E' stanziale, e dove le acque sono pescose vive abbondante e prolifico, poco studiato ma con densità stimabili di una coppia ogni mezzo chilometro. Sta bene fino ai 400 metri di altitudine: è un subacqueo da fiume di pianura, non da acque impetuose di torrente: ha bisogno di un paesaggio riposante dove i rami dei salici si allunghino sull'acqua, o dove i sassi sporgano alti, per le sue immobili vedette. Il suo tempo è fatto di attese, di agguati sulle acque dove precipita a piombo per insidiare i piccoli pesci. Il suo volo è rapidissimo, rasente, e sa fermarsi per un istante in aria, brillando come una gemma, prima del tuffo a colpo sicuro.
Il breve lampo di azzurro che sfreccia sui fiumi è un pescatore specializzato. Niente in lui è lasciato al caso: non la forma delle ali, corte e arrotondate da volo breve e rettilineo, non la coda corta e la testa grande che rendono la forma del corpo armonica e vincente quando fende l'acqua nei tuffi, non il becco lungo e diritto, fatto apposta per afferrare prede vive, né le zampe brevi poco adatte a camminare ma con tre dita rivolte in avanti e uno rivolto indietro per poter stare
a lungo appollaiato senza far fatica.
I colori delle penne si possono spiegare con una bella leggenda invece che con le scienze esatte. Il martino che all'inizio dei tempi era grigio, dopo il diluvio volle volare verso il cielo per scrutare le acque dall'alto: si avvicinò talmente al sole che il petto scottato si arrossò mentre il dorso divenne celeste.
Il candore brillante e lucido delle uova ha una sua ragione di essere spiegata dalla scienza, bella come una leggenda. Il nido è scavato negli argini, una camera al fondo di un cunicolo, al buio. Allora non c'è bisogno di spennellare le uova di puntini e macchiette mimetici, come fanno gli incoscienti che covano ai quattro venti sotto il naso dei predatori. Anzi, le uova del martino devono essere bianche più che si può, perché nel buio della camera di cova tappezzata di rigurgiti decorativi, gomitoli di lische e di scaglie, non si sbagli a covare aria per colpa del non vedere e dimentichi le uova, tante, 7, anche 10, certe volte moltiplicate per due nidiate all'anno.
I suoi nemici sono stati un tempo i suoi rivali: i pescatori. L'idea che il martin pescatore impoverisse le acque pescose dei fiumi e fosse responsabile della scomparsa di molte trote dei cui avannotti è irrimediabilmente ghiotto, è stata per molto tempo una sua disgrazia, finchè si è capito che il danno che provoca al pesce è minimo. I pescatori uomini e i pescatori uccelli allora sono diventati amici, condividendo "sovrumani silenzi e profondissima quiete" lungo i fiumi. Ai più pazienti e fortunati può essere regalata l'emozione dell'avverarsi di un sogno: un martino appollaiato sulla punta della canna, scambiata per un ramo, in un indimenticabile momento complice della stessa attesa, a guardare l'acqua. Un altro pericolo è stata la moda: all'epoca in cui migliaia di uccelli esotici venivano sacrificati perché il loro piumaggio sgargiante era decoro dei cappelli, è sorprendente che il nostro appariscente uccelletto sia scampato all'eccidio. I nemici di oggi sono l'inquinamento e le rive artificiali, che portano all'abbandono di molti tratti se non di interi corsi d'acqua. L'intervento dell'uomo di per sé non darebbe noia, a meno che non si tratti del su e giù di maniaci della pesca sportiva, che possono disturbare i nidificanti fino a portare al fallimento della covata. Alcune iniziative poco "naturali" come cave, dighe e canalizzazioni, possono imprevedibilmente creare condizioni adatte a costruire il nido: bisognerebbe però che l'uomo avesse abbastanza garbo da interrompere i lavori estrattivi per dar tempo ai nidiacei di prendere il volo e disperdersi lungo le rive. Qualche volta capita l'inaspettato, e viene segnalata una presenza, a volte un nido, lungo il Po, in Torino città. Gli inverni rigidi non sono l'ideale per sopravvivere, ma osservando uno spettro di tempo sufficientemente ampio non sembrano essere gli eventi climatici i principali responsabili della rarefazione.
C'è anche la normale selezione naturale che castiga i giovani inesperti: loro a volte sbagliano mira nei primi tuffi e alcuni contro le pietre sott'acqua ci lasciano le piume. Quanta fatica sprecata allora per i poveri genitori che nella loro camera di cova hanno visto schiudersi le candide uova, e nutrito con impegno e fatica i famelici implumi, all'inizio nudi e ciechi, poi ricoperti di guaine cerose simili a setole e poi finalmente belli e colorati al momento del primo volo. Cuore di babbo e mamma non guarda il bello o il brutto, ma si dedica all'affamato: i giovani, salvo i primissimi giorni di vita, mangiano come un adulto e vengono riforniti di pesciolini interi in un frenetico andirivieni. Se la femmina inizia un'altra covata prima che la precedente sia uscita dal nido tocca al maschio da solo tutta questa fatica: eppure la affronta volentieri e non si scoraggia, anzi è pronto nella prossima stagione a corteggiare la sua bella porgendole pesci vivi dalla parte della coda, come una fede nuziale, e a ripetere l'avventura, finché c'è vita.
Il martin pescatore venne identificato con il mitico alcione: i marinai sostenevano che serviva per indicare il tempo perché puntava il becco in direzione del vento che stava per levarsi. Da morto lo si faceva seccare e lo si sospendeva in alto, fantoccio magico che allontanava i fulmini, propiziava la pace e serviva da macabro barometro naturale. Il suo nome, dedicato a San Martino di Tours, è omaggio a un atto gentile: il santo si tagliò il mantello per coprire un povero infreddolito e il martino suo omonimo, assieme al picchio, al corvo e al pettirosso, copre di fiori i morti più soli, quelli lasciati senza sepoltura.
Ci sono più di ottanta specie di martin pescatore, diffuse soprattutto nelle regioni tropicali. Sono uccelli di costituzione robusta, tutti con becco lungo, coda molto corta e piumaggio spesso brillante. Tra loro è conosciuto il kookaburra o alcione gigante australiano, il martin pescatore variegato dell'Africa a sud del Sahara e dell'Asia sud-occidentale, bianco e nero, quello dell'Amazzonia, con la cresta come molti di loro, verde brillante sul dorso e bianco sul ventre, poi il martin pescatore del Texas, diffuso negli Stati Uniti meridionali. Alcune specie hanno piumaggio differente a seconda del sesso ed è la femmina quella con i colori più brillanti. Sull'altra sponda del Pacifico vive il martin pescatore sacro, giallo, diffuso in molte zone dell'Australia e unica specie della Nuova Zelanda.
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