Gli anfibi mal sopportano il cambiamento climatico: partendo da questa semplice considerazione abbiamo cercato di saperne di più, intervistando Daniele Seglie , erpetologo.
Perché gli anfibi sono animali così vulnerabili? Come si collocano nel contesto del cambiamento climatico?
Innanzitutto perché dipendono dalle temperature esterne, così come tutti gli animali ectotermi. Inoltre hanno una pelle molto permeabile e quindi non sono protetti dalla variazione dell'umidità esterna e da fattori come l'inquinamento. Sono poi animali poco mobili e questa è sicuramente una delle cause principali della loro suscettibilità al cambiamento climatico, perché l'unica strategia di risposta è quella di muoversi in ambienti più idonei. Il cambiamento climatico ne determina anche una maggiore suscettibilità ai patogeni.
E' però importante operare una distinzione: nelle aree industrializzate e antropizzate, come la Pianura Padana, la prima causa di scomparsa è data dal consumo di suolo e dall'inquinamento, il cambiamento climatico si colloca al secondo posto. Nelle aree montane esso è invece sicuramente la prima causa di minaccia.
Ci sono specie di anfibi che vivono in Piemonte meritevoli di attenzione?
Sì, un esempio è la Salamandra di Lanza, che è una specie endemica delle Alpi Cozie ed è presente unicamente in Piemonte (Val Po, Val Pellice, Val Germanasca e Val Sangone) e in una piccola porzione della Francia (vallée du Guil). È una delle specie di anfibi con l'areale più ristretto a livello europeo, e c'è quindi una certa preoccupazione per la sua conservazione. Si tratta di una specie alpina, che vive in ambienti particolari di alta quota in un range altitudinale abbastanza ridotto. Si tratta perciò di un animale per il quale il cambiamento climatico può essere particolarmente impattante.
Può darci qualche informazione a riguardo?
Purtroppo non abbiamo a disposizione trend storici per dimostrare cosa stia attualmente succedendo. Tuttavia, i modelli climatici indicano una regressione dell'areale nei prossimi anni. In particolare esiste un modello, basato proprio sulla salamandra di Lanza, che valuta come l'area potenziale occupata dalla specie possa variare nei decenni. Le previsioni a riguardo non sono incoraggianti: indicano infatti una riduzione notevole di tale areale, proprio perché è una specie di montagna: se le temperature aumentano deve spostarsi verso l'alto, con una conseguente diminuzione della superficie abitabile.
Inoltre, non sempre le cime delle montagne sono ambienti adatti, perché sono rocciose, mentre l'habitat ideale per la specie è rappresentato da una coesistenza di aree rocciose, praterie e lariceti.
E' stato anche creato un modello che simula una sua completa estinzione negli anni, anche perché si muove poco, risponde quindi peggio al cambiamento climatico rispetto ad animali più vagili che hanno minori difficoltà a spostarsi in zone idonee in seguito all'aumento delle temperature.
Come viene tutelata?
L'anno scorso, a livello europeo, questa specie è stata spostata in una categoria di rischio estinzione più elevata, da vulnerable è passata a Critically Endangered (In Pericolo Critico). Questo a causa del cambiamento climatico, che reca con sé tutta una serie di problematiche quali la possibile insorgenza di patologie (ad esempio è famosa la chitridiomicosi, infezione causata da un fungo parassita). In alcune specie questa patologia è stata messa in relazione con l'innalzamento delle temperature, che ha in alcuni casi portato all'estinzione di intere popolazioni. Per fortuna nella salamandra di Lanza il chitridio non è ancora stato rilevato, anche se sono state condotte diverse analisi per studiarne l'eventuale presenza. Rappresenta infatti uno di quei fattori di rischio che potrebbero portare all'estinzione della specie in poco tempo. Tutto questo è massimizzato dal fatto che questa salamandra vive in un areale molto ridotto, a quote comprese tra i 1500 e i 2500 m, ma con il grosso delle popolazioni che vive in una fascia tra i 1900 e i 2100 metri.
Oltre alla salamandra di Lanza, ci sono altri anfibi che possono essere definiti "in pericolo"?
Certamente, ad esempio il Pelobate fosco (Pelobates fuscus), un anuro diffuso in gran parte dell'Europa Centrale, Italia settentrionale compresa. Le popolazioni italiane sono state ascritte a una sottospecie diversa, quella insubricus, anche se ci sono diverse scuole di pensiero sul fatto che sia una sottospecie o meno. Fino a quarant'anni fa l'animale era diffuso in Pianura Padana e in zone limitrofe in maniera abbastanza continua, oggigiorno le popolazioni presenti nel nostro Paese sono pochissime, non superano la decina. Si tratta quindi di una specie a elevato rischio d'estinzione.
Per quanto riguarda gli impatti del cambiamento climatico sulla specie, non possono essere rilevati in maniera dettagliata. Questo perchè vivendo in pianura e quindi in zone dove l'impronta antropica è molto elevata (sia per quanto riguarda l'urbanizzazione, sia per quanto riguarda l'agricoltura intensiva e l'industrializzazione), la scomparsa di habitat per cause antropiche può mascherare un po' gli altri fattori.
Può comunque citarne qualcuno?
Sicuramente uno è correlato alla riproduzione della specie e al cambio delle precipitazioni. Il pelobate per riprodursi sfrutta delle zone umide temporanee, ovvero zone umide che si allagano con le piogge in primavera e si asciugano in tarda estate. Quindi la tempistica con cui iniziano la riproduzione e il tempo di sviluppo delle larve è molto importante, perchè se ci sono asciutte precoci tutte le larve muoiono, oppure si riproducono molto tardi con l'asciutta estiva e non riescono a completare la metamorfosi.
Alcuni lavori che abbiamo fatto hanno messo in evidenza un cambiamento nel periodo riproduttivo di questa specie, ovvero negli ultimi anni abbiamo osservato un ritardo nell'inizio della riproduzione. Questo non tanto per fattori legati alla temperatura, quanto per l'anomalia nel susseguirsi delle precipitazioni (sempre legate al cambiamento climatico). Si tratta di dati meno evidenti dal punto di vista scientifico perché non ci sono serie storiche sulla singola zona umida, tuttavia in otto anni abbiamo comunque visto che c'è stato un ritardo nella riproduzione dovuto principalmente al ritardo delle precipitazioni primaverili. Nei primi anni di studio le precipitazioni arrivavano regolarmente a marzo, quando avveniva la riproduzione, negli ultimi anni le precipitazioni più consistenti, che sono quelle durante le quali la specie si muove perchè è molto legata all'acqua per quanto riguarda questo aspetto, sono generalmente arrivate a maggio.
L'altro fattore molto critico è che se la specie si riproduce tardi anche la metamorfosi delle larve giunge tardivamente. Se la riproduzione avviene a maggio, le larve hanno bisogno di acqua almeno fino a luglio/agosto per completare la metamorfosi. In alcuni anni abbiamo invece osservato asciutte precoci che hanno fatto morire completamente le larve. Ci sono stati anni in cui le zone umide dove questa specie si riproduce non si sono neanche allagate. Ad esempio, la siccità iniziata nel 2021-22 si è protratta a lungo e quindi c'è stato un deficit di apporto idrico, per cui le zone umide non si sono riempite nemmeno nel 2023 quando ha piovuto, causando due anni di insuccesso riproduttivo. Questo, per specie che vivono poco, può portare all'estinzione completa. Per fortuna il pelobate è una specie longeva , ma se dovessero continuare queste situazioni anomale di precipitazioni l'estinzione avverrebbe rapidamente e con certezza.
Infine ci sono quegli impatti negativi ipotizzabili, studiati meno nel dettaglio perché per farlo servirebbero diversi anni di monitoraggio consecutivi sulla stessa popolazione. Ad esempio negli ultimi due anni, in cui le precipitazioni sono state molto tardive, sono stati ipotizzati impatti su specie come la rana agile (o Rana dalmatina), che è presente anche in Piemonte. Questo animale è meno a rischio di estinzione perché diffusa in gran parte d'Europa, però in Piemonte negli ultimi due anni molte popolazioni non si sono riprodotte proprio perché gli stagni erano asciutti nel periodo riproduttivo, che per questa specie è fine febbraio-marzo. L'acqua è arrivata intorno a maggio-giugno, ma ormai la specie aveva saltato il periodo della riproduzione.
Cosa può dirci in merito alle anomalie delle precipitazioni?
Ovviamente mentre per la temperatura ci sono evidenze documentate e quindi si possono fare modelli più predittivi, sulle anomalie delle precipitazioni in una determinata zona , essendo trend locali, è più difficile quantificare, però a livello di osservazioni sul campo negli ultimi anni c'è stata una decisa variazione del periodo di pioggia: o sono posticipate in primavera, o si concentrano in autunno, che appunto è un periodo che "non serve" per la riproduzione degli anfibi. Questo si somma alla semplice riduzione delle precipitazioni e all'aumento delle temperature.
Ci sono progetti che si stanno muovendo per la protezione di queste specie?
Per fortuna, essendo entrambe le specie inserite nella Direttiva Habitat, si può accedere spesso a fondi europei per la loro tutela. Per esempio, per il pelobate al momento c'è un progetto Life chiamato Life insubricus, proprio per la sottospecie presente in Italia e che coinvolge prevalentemente il Piemonte e la Lombardia, con cui si sta cercando di aumentare il numero di popolazioni rimaste e migliorare la conservazione di quelle presenti.
Ha come capofila il Parco del Ticino Lombardo, ma coinvolge numerosi enti di conservazione piemontesi, come il Parco del Ticino piemontese, la Città Metropolitana di Torino, l'Ente Parco Astigiani e il Parco del Po piemontese. In tutte le aree di presenza di Pelobate si vogliono fare degli interventi di conservazione, che sono principalmente di due tipologie: miglioramento delle zone umide esistenti e creazione di nuove da una parte e interventi attivi di ripopolamento dall'altra. Questi ultimi consistono nel prelievo di alcune ovature da siti noti e nella traslocazione nei nuovi siti per massimizzare il successo riproduttivo.
In parte questi interventi di ripristino ambientale in zone umide cercano di sopperire al cambiamento climatico, soprattutto in alcuni casi, ad esempio dove è possibile realizzare chiuse per regolare i livelli dell'acqua, visto che uno dei problemi è proprio lo sfasamento temporale delle precipitazioni, quindi magari il sito è asciutto quando gli animali devono riprodursi. L'installazione di queste strutture artificiali permette di avere acqua quando serve per la riproduzione del pelobate e per lo sviluppo delle larve.
In altri casi, quando non è possibile sfruttare le naturali precipitazioni, si è pensato di ricorrere a interventi più artificiali di impermeabilizzazione, ad esempio andando a creare zone umide impermeabilizzate artificialmente alimentate da un pozzo. In questi casi viene utilizzato un telo di impermeabilizzazione completamente ricoperto da terra, di modo da far apparire la zona completamente naturale. La regolazione dell'acqua viene fatta artificialmente con un pozzo e si è così completamente svincolati dagli impatti negativi del cambiamento climatico.