Sicuramente il martin pescatore è uno dei rappresentanti più belli e colorati dell'avifauna italiana ed europea. Due i caratteri distintivi che rendono questo uccello inconfondibile. Anzitutto il piumaggio, brillante, sfumato di turchese e verde smeraldo sul dorso, mentre il petto appare di un vivo arancione. Si apposta su un ramo sopra l'acqua con il becco puntato verso il basso come un arpione e scuote il capo e la coda quando individua la preda: quindi si tuffa improvvisamente, mantenendo le ali aperte, così come gli occhi che sono protetti da una terza palpebra. Riemerge dall'acqua con il pesce nel becco, poi torna al posatoio. L'intera azione si svolge in meno di due secondi.
Dal peso di appena 40 grammi, il martin pescatore può ingoiare prede relativamente grandi per la propria stazza, anche di pari o superiore dimensione, per poi "finirle" becchettandole insistentemente su una pietra posta nelle vicinanze dell'acqua. In Italia, la specie risulta di abitudini stanziali, ma è cospicuo anche il contingente migratore e svernante.
Come è facile immaginare, la specie ha sofferto molto per la progressiva cementificazione di fiumi e torrenti. Altro fattore critico, l'inquinamento, che ha sia impoverito che alterato chimicamente la sua dieta, costituita quasi unicamente da pesce. Infatti le acque torbide gli rendono difficile o impediscono la pesca, pertanto l'inquinamento dei fiumi influisce molto sulla sua sopravvivenza. Il martin pescatore è uno degli uccelli più minacciati inoltre dai cambiamenti climatici e dall'inquinamento causato dalla plastica.
L'incubo delle microplastiche
La plastica è per definizione un materiale plasmabile, costituito da polimeri organici sintetici derivati da petrolio, gas e carbone. A differenza di altri materiali, la plastica non si corrode e non arrugginisce. La maggior parte dei materiali plastici non è biodegradabile, ma può subire un processo di disgregazione in frammenti di più piccole dimensioni, per esempio a seguito dell'esposizione ai raggi ultravioletti.
Il nostro Paese produce milioni di tonnellate di rifiuti e ogni anno riversa in natura circa mezzo milione di tonnellate di materiali plastici indistruttibili che, frammentandosi nell'ambiente, finiscono per ridursi in pezzi sempre più piccoli che raggiungono le dimensioni di micrometri.
La maggior parte dei residui trovati è costituita da fibre di plastica dei tessuti sintetici ad esempio usati nell'abbigliamento: una conferma del fatto che manca, al momento, un sistema di filtraggio adeguato di questi residui, che attraverso le acque reflue finiscono direttamente nei fiumi. Questi frammenti sono definiti microplastiche proprio per le loro piccolissime dimensioni. Si tratta infatti di particelle di polimero solido, insolubili in acqua, di dimensioni comprese tra 1 e <1000 micrometri (micron= un milionesimo di m). Una volta raggiunte le acque superficiali, le microplastiche più leggere galleggiano, per poi accumularsi sulla superficie e nei vortici causati dalla corrente. Le microplastiche più dense invece s'inabissano depositandosi sul fondo. Addirittura nella fossa delle Marianne, la più profonda depressione oceanica conosciuta al mondo, è stata scoperta una nuova specie di crostaceo "microplastico" che gli scienziati hanno chiamato Eurythenes plasticus. Il piccolo crostaceo anfipode, della lunghezza di pochi millimetri, infatti, presenta microplastiche nel suo stomaco (leggi l'articolo su TuttoScienze).
Siamo nell'Età della plastica
L'inquinamento da plastica è ufficialmente entrato nella stratificazione fossile: i frammenti di questo materiale sono molto aumentati nei sedimenti oceanici dal secondo dopoguerra a oggi.
Un nuovo studio su un campione di sedimenti oceanici recentemente pubblicato su Science Advances rivela infatti che dagli Anni '40 del Novecento a oggi, la concentrazione di residui di plastica nel pavimento oceanico è raddoppiata ogni 15 anni: la crescita delle quantità di fibre e frammenti rispecchia fedelmente la diffusione dei materiali plastici degli ultimi 70 anni.
Secondo gli scienziati dell'Institution of Oceanography dell'Università della California, che hanno guidato la ricerca, dopo le Età del Bronzo e del Ferro siamo entrati nell'Età della Plastica. La presenza di plastica nei sedimenti marini potrebbe essere usata dai geologi del futuro per datare l'inizio dell'Antropocene, secondo alcuni una nuova era geologica, caratterizzata da profonde trasformazioni ecosistemiche prodotte dall'uomo.
Cosa possiamo fare?
Le azioni utili a migliorare la situazione possono declinarsi in semplici gesti che già conosciamo come evitare, nel limite del possibile, prodotti con imballaggi monouso in plastica o prodotti "usa e getta" come per esempio piatti, bicchieri o posate, bastoncini per la pulizia delle orecchie o per mischiare le bevande, contenitori e sacchetti... Questa raccomandazione riguarda anche gli imballaggi e i prodotti "usa e getta" in plastica biodegradabile, che nonostante la denominazione si degradano completamente, non di rado, solo a temperature elevate (>50°C) e difficilmente raggiungibili in natura. Di conseguenza, anche le bioplastiche derivanti da fonti rinnovabili (come dall'amido di mais o dalla canna da zucchero), il cui bilancio ecologico complessivo non è sistematicamente favorevole, vanno considerate con cautela.
Inoltre si dovrebbe prestare attenzione nel chiudere il ciclo dei rifiuti evitando cioè il loro abbandono e prevenendo la dispersione nell'ambiente. Naturalmente evitare di gettare rifiuti, direttamente o indirettamente, attraverso tombini, lavandini o nelle reti delle canalizzazioni per l'evacuazione o lo smaltimento delle acque.
Pericoli per il martin pescatore
I possibili effetti delle microplastiche sono ancora in gran parte da approfondire, fermo restando che rispetto alle plastiche di più grandi dimensioni possono essere più facilmente trasmesse attraverso la catena alimentare. Le microplastiche compromettono le comunità di macroinvertebrati di acqua dolce e possono essere ingerite da pesci e uccelli acquatici come il martin pescatore e quindi causare fenomeni di accumulo.
Queste problematiche sono emerse grazie all'analisi delle borre di questo uccello, un rigurgito costituito da cibo indigesto a seguito di un pasto, in cui si è notata una preoccupante presenza di microparticelle, involontariamente ingerite. La pubblicazione uscita recentemente (ottobre 2020), che ne approfondisce le tematiche, a cura dell'Università degli Studi di Milano in collaborazione con il Parco del Ticino e Lago Maggiore, il Parco Lombardo della Valle del Ticino, Graia S.r.l e l'Associazione Faunaviva, conferma che l'inquinamento causato dalla plastica è molto grave e ha effetti non solo sul martin pescatore ma anche per molte altre popolazioni, dai pesci alle tartarughe.
La ricerca rivela che ovunque si cerchino le microplastiche, le si trovano, anche nelle aree più insospettabili. Questo studio aggiunge nuove evidenze ai problemi ambientali della plastica allo scopo di sensibilizzare l'opinione pubblica per un uso più consapevole di questo materiale tanto utile quanto problematico per l'ambiente.