A guardarlo lassù, conficcato sui 1445 metri del Monte Freidour, quel suggestivo groviglio di vele in bronzo fa davvero uno strano, benefico, effetto. Strano, perché il monumento parrebbe lontano dal contesto naturale nel quale è immerso (siamo in un parco provinciale). Benefico, perché esso ci scuote e ci rammenta che i parchi sono luoghi vivi e come tali custodiscono pezzi della nostra storia. In questo caso, la scultura creata nel 1994 dall'artista Michele Privileggi e da lui ribattezzata "Ali come Vele", ha il compito di illuminare un episodio della Resistenza risalente al 1944. Il 13 ottobre di quell'anno, infatti, un aereo inglese carico di viveri e munizioni destinate alla lotta partigiana, a causa del maltempo, si schianta sul Monte Freidour. Nell'impatto muoiono tutti gli otto membri dell'equipaggio. Per anni, dopo la fine della guerra, nei paesi e nelle borgate a cavallo tra le valli Lemina, Chisone e Sangone, si è favoleggiato sull'incidente: gli occupanti del velivolo erano americani o inglesi? Dove sono stati sepolti? Qualcuno si è arricchito con il prezioso carico piovuto dal cielo? Dobbiamo alla tenacia di Giustino Bello, storico sindaco di Cantalupa, se la vicenda è stata chiarita nelle sue linee essenziali. Bello, che all'epoca dei fatti frequentava la prima elementare, negli anni successivi si incuriosì e si appassionò all'episodio. Una curiosità accesa dai racconti della gente e dall'essersi imbattuto in prima persona in qualche lamiera arrugginita nei boschi della zona, macabra traccia residua di quella terribile esplosione. Le prime lettere, Bello le scrive all'ambasciata inglese che lo mette in contatto con un colonnello della Raf, Ian Medelin. «È stata davvero encomiabile – ricorda oggi Giustino Bello – l'attenzione con la quale hanno impostato e seguito la ricerca». Dopo molti anni di scavo tra archivi e documenti, nell'aprile del 1993 il sindaco riceve una nota ufficiale e dettagliata dall'Ufficio Storico della Raf. Grazie a questo documento e alle testimonianze raccolte da Piemonte Parchi, proviamo allora a ricostruire la tragedia scaturita, come ricorda il sindaco stesso, da «un gesto di solidarietà militare e umana compiuto dalle forze alleate nei confronti della Resistenza locale». Nell'autunno del 1944 molti giovani militari di queste valli sono prigionieri in Germania, tanti sfuggono – braccati – alla leva della Repubblica di Salò, alcuni fanno la scelta della lotta partigiana. Qui operano due brigate: la "Val Chisone", guidata da Maggiorino Mercellin e da Ettore Serafino e la "Sergio de Vitis" al comando di Giulio Nicoletta. Sono formazioni autonome, slegate dai partiti politici. La strage di Cumiana (3 aprile del 1944) ha già mostrato tutta la ferocia dei nemici. La Resistenza è provata, gli aiuti degli Alleati sono essenziali. La notte del 13 ottobre, sedici aerei appartenenti al 31esimo squadrone South African Air Force, decollano dalla base di Celone (Foggia) per paracadutare rifornimenti ai partigiani sulle Alpi nord occidentali. Ben 6 di questi velivoli (con i loro 48 uomini di equipaggio) non fanno rientro alla base. Tra essi c'è un Liberator KH239 che, nel tentativo di trovare un luogo adatto al lancio sul versante ovest del Freidour, complice una notte scura e fitta di pioggia, si abbassa troppo di quota sino a frantumarsi sulla montagna. «Erano sicuramente le 20 e 30 – osserva Giustino Bello – perché un abitante della frazione Talucco di Pinerolo mi raccontò che lui nacque proprio quando si sentì il fragore dello schianto». Argentina Roccia oggi ha 74 anni. All'epoca ne aveva 8 e viveva con i suoi cinque fratelli in una casa proprio nel vallone del Gran Dubbione, in località Ciabriol, a poche centinaia di metri dal luogo dell'incidente. Ecco la sua testimonianza: «Era tutto scuro, anche quella sera avevamo poco da mangiare: sul fuoco c'era soltanto qualche castagna. Mio padre lavorava ancora molto lontano da casa. Eravamo soli, noi bambini, con la mia mamma. Improvvisamente abbiamo sentito come un tuono e un grande lampo di luce ha illuminato il cielo. Se avevi un ago potevi infilarlo, quel lampo». È un diluvio di acciaio e di fuoco che squarcia una notte fradicia e feroce. Mario Moschietto, giavenese, rammenta così la sciagura: «Non ce la feci ad andare subito sul posto: ci riuscì mio cugino il quale mi parlò dello spettacolo tremendo che si presentò davanti ai suoi occhi: qua e là si potevano scorgere gambe o mani tranciatesi durante l'urto». «Anch'io ricordo il rumore dell'impatto - aggiunge l'avvocato-partigiano Ettore Serafino - ci precipitammo fuori dal rifugio e capimmo che per quegli uomini non c'era più niente da fare. In ogni caso eravamo troppo lontani dal luogo dell'incidente». I cadaveri vengono seppelliti in una fossa comune. Sono tutti inglesi, tranne il pilota, un australiano. Con la fine della guerra, nel maggio dl 1945, i poveri resti degli avieri verranno trasferiti all'interno di un cimitero militare inglese, nell'hinterland di Milano. Ecco i loro nomi: C.W. Lawton (il pilota), T.D. Fotheringham, E.H.A. Clift, G. Tennison, D.W. Bishop, D.R. Wellon, J. Bucks, S.E. Lockton. È stata proprio la scoperta della piastrina di riconoscimento appartenente al sergente Lockton che ha consentito alla R.A.F. di affermare con certezza l'identità di tutto l'equipaggio. «All'indomani della sciagura – rammenta ancora la signora Roccia – si trovò ben poco del carico: i più furbi erano partiti subito dai paesi vicini ed erano riusciti a portarsi a casa vestiti, coperte, scarpe e qualche soldo». Sono tempi drammatici: ciascuno si porta via qualcosa. Chi un carrello, chi un serbatoio, chi la stoffa del paracadute. Qualche paesano racconta di vere e proprie fortune imprenditoriali fiorite grazie ai soldi piovuti dal cielo e destinati alla Resistenza. Ma sono voci. Le armi e le munizioni vengono sequestrate dalle pattuglie di nazisti e fascisti nei rastrellamenti avvenuti nei giorni successivi. La memoria di quel fatto, invece, rimane nelle zolle della montagna, nei suoi monumenti, nella sua gente.
Mauro Pianta Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
Nuove guide per i parchi provinciali
In occasione del 2010 anno mondiale della biodiversità, la Provincia di Torino ha voluto avviare un percorso di promozione e valorizzazione delle proprie aree protette con la realizzazione di una collana di guide agili e sintetiche dedicate al sistema dei parchi provinciali. Le pubblicazioni edite da Hapax che si avvalgono della collaborazione di naturalisti e di esperti escursionisti sono reperibili presso il Servizio parchi della Provincia e potranno essere raccolte in un pratico cofanetto.
Monte San Giorgio è la prima uscita. Le 64 pagine del volume di veste grafica moderna e accattivante ci raccontano in forma sintetica del territorio del parco, della sua geologia ma anche della città di Piossasco della sua storia e delle sue curiosità, quanti sanno ad esempio che Cruto uno degli inventori della lampadina era piossaschese? Naturalmente si parla anche di fauna di vegetazione e di tutti gli indirizzi utili. Infine una selezione di sentieri: Il percorso mountain bike, il Percorso di Pietraborga, il Percorso della Montagna, il Percorso del fuoco e il Percorso Botanico con relativa cartina e profilo altimetrico. La stessa impostazione è per il secondo volume in preparazione, Monte Tre Denti - Freidour. A Piossasco si sostituisce Cumiana, paese ricco di storia e di castelli con le sue cento borgate sparse nei boschi. I sentieri proposti sono il Percorso del Mago, il Percorso delle Pietre Bianche ed i già citati Traversata dei Tre Denti e del Freidour e il "Sentiero D.Bertrand".
Almo