Piccoli tesori dell'Oltrepò
Il Museo di Scienze Naturali di Voghera nasce nel 1971 come realtà privata, quando un gruppo di amici, appassionati di paleontologia e mineralogia, raccolgono le proprie collezioni al fine di renderle visibili a tutti. Venne fondato il Gruppo geo-paleontologico vogherese, il quale iniziò a divulgare la conoscenza dei minerali e dei fossili e a fornire un supporto didattico al mondo scolastico locale.
I primi anni furono sicuramente i più difficili; anche il professore Giovanni Pinna collaborò con soci del Gruppo nella realizzazione del museo e sicuramente le sue idee furono fondamentali per lo sviluppo della struttura. Nel 1978 il museo era praticamente finito, le sale espositive erano organizzate in modo innovativo e, sicuramente, per l'epoca, all'avanguardia, con un'attenzione particolare al territorio e alle sue peculiarità.
Oltre alle raccolte paleontologiche sono state allestite, nel tempo, altre sale dedicate: ad esempio, quella dedicata alla mineralogia, collezione peraltro incrementata anche di recente da una cospicua donazione da parte di un appassionato locale.
Solo intorno agli inizi degli Anni '80 il museo divenne civico, in quanto tutto il materiale venne donato al Comune di Voghera; la gestione del museo restò al Gruppo, ma l'istituto divenne visitabile solo su prenotazione. Negli anni 2000 gli aspetti gestionali e organizzativi della struttura furono rivisitati (considerate anche le nuove linee in ambito museologico emanate dal Ministero della Cultura e dalla Regione Lombardia, che invitavano gli enti pubblici a rispettare determinati standard) e il Museo subì una vera e propria riorganizzazione espositiva e formale. Oggi, il percorso espositivo vanta anche una sezione di zoologia e la collezione archeologica.
Il museo è tra i pochi riconosciuti in Provincia di Pavia dalla Regione Lombardia: ciò in considerazione del fatto che rispecchia i parametri necessari richiesti per tale riconoscimento, come 25 ore di apertura settimanali, figure professionali specifiche, collezioni catalogate, sede idonea, ecc. Lo stesso è anche capofila del sistema museale locale.
Antiche cultivar
Il museo negli anni ha portato avanti diversi progetti di ricerca e valorizzazione, anche con istituzioni come l'Università degli Studi di Pavia e la Cattolica del Sacro cuore di Piacenza.
I progetti realizzati toccano i temi più svariati, dal censimento degli uccelli nidificanti nel territorio comunale di Voghera o dei lepidotteri dell'Oltrepò pavese, peraltro interessanti anche per l'approccio di Citizen Science, allo studio delle faune fossili a mammiferi del quaternario padano o dei molluschi fossili pliocenici del territorio oltrepadano; fino ad arrivare a progetti più corposi come quelli dedicati ai siti di interesse per la rete ecologica regionale in contesto locale; ai SIC (Siti di Interesse Comunitario) e PLIS (Parco Locale di Interesse Sovracomunale) sempre del contesto oltrepadano.
Interessanti sia per l'approccio sia per i risultati anche i progetti sulla biodiversità in ambito agronomico, in particolare su alcune cultivar antiche come pomacee, il peperone di Voghera e mandorlo e noce, retaggi peraltro antichi di una tradizione che ci porta al periodo longobardo. Esempio che sta avendo grande riscontro è lo studio sulla pomella genovese, un'antica mela tipica dell'Appennino pavese, trasportata attraverso le vie del mare, imbarcata nelle navi che solcavano tutto il Mediterraneo. Questo piccolo frutto era stato lentamente soppiantato all'inizio del 1900 da varietà più "commerciabili", ma decisamente meno identitarie. Grazie alla passione di alcuni contadini locali, alcune piante sono sopravvissute fino a noi e da qui l'idea di valorizzarle. Grazie a un progetto finanziato da fondazioni private, si è potuto effettuare una caratterizzazione genetica e nutraceutica, così come uno studio storico.
È emerso che la pomella genovese fu chiamata così dai popoli mediterranei che vedevano arrivare questa gustosa mela da Genova (ignari del fatto che invece arrivasse dall'entroterra) e che era presente sui mercati di Napoli almeno dal 1720 (cento anni prima della famosa annurca napoletana). La pomella appare assai ricca di antiossidanti, si conserva a lungo senza particolari esigenze e non necessita né di trattamenti né di irrigazione. Si è così visto come in realtà sia tutt'altro che antica ma estremamente "moderna".
Il museo racconta nelle sue vetrine questa storia. Un esempio virtuoso di collaborazione pubblico-privato, ma anche di multidisciplinarietà, per la valorizzazione di un territorio problematico, compreso nelle aree interne e in forte spopolamento, ma ricchissimo di peculiarità.
Il MuseoBus
Un altro interessante progetto che sta dando ottimi risultati è quello legato al MuseoBus: un mezzo attrezzato per mostre e laboratori didattici che in inverno raggiunge i plessi scolastici più lontani del territorio montano e in estate va nelle piazze, nelle sagre, nelle piccole frazioni dei borghi a intercettare quel pubblico che ben difficilmente si recherebbe nei musei.
Il Museobus permette anche di incontrare chi poco frequenta i musei, o perché anziano e poco avvezzo agli spostamenti o perché non interessato a visitare queste strutture.
Si cerano occasioni di dialogo e di raccolta di fonti immateriali attraverso i racconti e la conoscenza dei luoghi e delle tradizioni che le persone hanno e che, se non opportunamente intercettate e raccolte, rischiano di andar perdute per sempre.
Il museo nel sociale
Il Museo di Scienze Naturali di Voghera porta avanti ormai da circa 20 anni interessanti progetti anche all'interno del carcere vogherese che hanno coinvolto in ambiti lavorativi e didattici gruppi di detenuti (anche ergastolani) permettendo loro – citando il titolo di un progetto – di "tornare alla luce e riscoprire la luce".
Questo progetto è partito nel 2004 con poche lezioni frontali condotte nei quattro circuiti detentivi del supercarcere, con l'intento di avvicinare una popolazione che per ovvie ragioni non poteva frequentare il museo. Trattandosi prevalentemente di detenuti a regime carcerario di alta sicurezza, si è valutato che fosse più proficuo svolgere dei laboratori anziché delle lezioni frontali: tuttavia, se da una parte si è rischiato di risvegliare in queste persone - isolate dal contesto sociale - sensazioni ed emozioni represse per lungo tempo, con il rischio di interromperle nel caso di sospensione delle attività, dall'altra invece si è scoperto quanti "saperi" e quante "risorse" ci siano anche in un contesto così particolare.
Si è così partiti, anno dopo anno, con diversi laboratori volti, ad esempio, alla pulizia dei campioni naturalistici di varie collezioni (anche private), restituendo "luce" non solo ai reperti, ma anche alle persone coinvolte. In alcuni casi, dove i detenuti potevano accedere a borse lavoro da spendere fuori dal carcere, è stato possibile anche ospitarli al museo per alcuni periodi. Un'esperienza virtuosa che decisamente ha arricchito tutti i partecipanti, compreso il personale del museo.
La sede e le collezioni
Attualmente il Museo è ospitato in alcuni locali della ex Caserma di Cavalleria, dopo che un crollo ha compromesso l'uso della sede originale ma è in attesa di essere trasferito al Castello visconteo di Voghera. Il grande limite attuale del museo riguarda proprio gli spazi che devono essere adatti a contenere una degna esposizione dei reperti e dell'intero apparato allestitivo.
Le collezioni vantano diversi reperti dal grande valore scientifico ed espositivo. Tra questi per esempio l'omero di plesiosauro trovato nelle vicinanze di Zavattarello (PV); si tratta di uno dei pochissimi resti appartenente a questi grandi rettili marini mesozoici segnalati per l'Italia. Altra unicità sono le otoliti mioceniche provenienti da due particolari affioramenti; sono riferibili a specie ittiche marine abissali. Altri resti interessanti sono ad esempio il cranio femminile di megacero proveniente dalle alluvioni quaternarie padane; così come il frammento di palco appartenente ad Alces latifrons; resti che si sommano alle svariate altre specie segnalate per questo deposito e riferibili sia a contesti glaciali sia interglaciali, ma senza una stratigrafia distinguibile.
Ulteriore segnalazione degna di nota sono i resti di un cetaceo miocenico (tortoniano) ritrovati in un deposito fossilifero dove abbondano anche denti di diversi pesci cartilaginei e resti di molluschi ed echinidi.
Per la sezione zoologica si segnala un esemplare di Sterna di Ruppel catturata nel tratto pavese del Po e una ricca collezione di lepidotteri locali; oltre a reperti della fauna locale come anche lupo, istrice e sciacallo dorato (segnalazione sporadica).
Gli articoli "I Musei delle Meraviglie" sono curati da Sabrina Lo Brutto, Università degli Studi di Palermo e National Biodiversity Future Center; Vittorio Ferrero, Università degli Studi di Torino; Franco Andreone, Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino.