In questa nostra rubrica dedicata al cervo abbiamo incontrato alcuni modi in cui questo animale è stato rappresentato dall'uomo. Descrizioni che ci inducono a chiederci: «Ma quanti cervi esistono nel nostro immaginario?» Tracce del rapporto uomo-cervo emergono persino da alcune testimonianze rinvenute sulle pareti delle grotte.
Nelle grotte di Lascaux in Francia, oltre novecento figure sono identificate come animali e tra queste circa novanta rappresentano il cervo. Alcune analisi hanno messo in evidenza come il cervo sia raffigurato prevalentemente con la livrea autunnale, quando, cioè, l'animale si trova nel pieno del periodo dell'accoppiamento. Noto è altresì lo stregone rappresentato in un dipinto rupestre nella grotta di Trois Frères in Francia raffigurato con in testa un palco da cervide. In Puglia, nella grotta dei Cervi, fra 4.000 e 3.000 anni prima di Cristo, sono stati raffigurati diversi soggetti, molti di questi sono animali e nelle numerose scene di caccia non manca il cervo. «L'iconografia sacra del cervo è presente in ogni regione del mondo e tocca religioni primitive, politeistiche e monoteistiche. Sulla simbologia del cervo tutti i dizionari sono concordi nell'indicarlo una preda destinata ai ranghi più elevati, è psicopompo e perciò connesso con l'aldilà e il soprannaturale. Tuttavia l'origine del suo notevole valore spirituale è ancora oggetto di studio. Sulle statue-stele dell'Età del Rame di Valcamonica è simbolo dell'aldilà, nel mondo Assiro-babilonese due cervi compaiono associati all'albero della vita, l'asse del mondo, e sono il tramite fra realtà terrene e celesti» spiega Maria Laura Leone.
Un altro studioso, Carlo Donà, sottolinea il legame simbolico che unisce il cervo al sole, presente in moltissime culture eurasiatiche e che trasla nel mondo classico: «Che il cervo sia l'animale di Apollo, o un curioso mito, riportatoci da Igino in una versione di telegrafica brevità: "Si racconta che la cacciatrice Arge, mentre stava inseguendo un cervo, gli gridò: - Corri pure veloce come il sole, io ti raggiungerò comunque. - E il sole adirato la mutò in cerva"». Ma probabilmente la principale ragione di questo accostamento è da legare all'evidente e maestoso palco che impreziosisce la figura dell'animale: «L'essenza solare dei palchi, denunciata già dalla loro forma raggiata e dal fatto che essi si inscrivono in un ciclo annuale analogo al ciclo del sole, si rivelava apertamente e trionfalmente proprio in quella loro straordinaria capacità riflettente che, in determinate condizioni, li fa sembrare letteralmente fatti di luce».
Il cervo svolge in alcune culture il ruolo magico di conduttore dei morti verso l'aldilà. È un ruolo estremamente antico, come ricorda Voisenet, che può essere riscontrato durante il periodo pagano nella Gallia, nello spazio celtico e nell'era cristiana. Il cervo, parallelamente al suo legame battesimale, mantiene il suo aspetto funerario come avviene ad esempio nelle raffigurazioni di scene di caccia riportate sui sarcofagi merovingi in cui l'anima viene condotta verso l'altro mondo. La stessa peculiarità compare nella pratica mortuaria di essere sepolti avvolti in una pelle di cervo, involucro sicuro per un viaggio senza rischi verso il mondo dei morti. Un personaggio illustre che adottò tale pratica fu, ad esempio, papa Clemente VI.
Il cervo, inoltre, porta l'uomo a scoprire nuovi territori e a fondare stati. La popolazione degli Unni, ad esempio, riesce ad attraversare la palude Meotide grazie al giungere di una cerva soprannaturale che scompare immediatamente dopo. La cronaca di Jordanes racconta una storia simile che riguarda i goti.
Una cerva, sempre di colore bianco, secondo il mito, sarebbe invece alla base della fondazione di Capua.
Il cervo o la cerva ricoprono altre funzioni, in alcuni casi si sostituiscono ai genitori naturali accudendo e crescendo i fanciulli.
Oltre a questi ruoli, spesso emerge il tema della metamorfosi. Possiamo qui riprendere le parole di Gabriele Rossetti riguardanti l'analisi di una poesia del Petrarca: «Il poeta si presenta in seguito trasfigurato in Cervo; e il lettore era con ciò avvertito che la Cerva, la quale ei poscia incontrerebbe, era pure il poeta stesso. Il Vida, alunno di quella scuola, ci mostrò chiaramente che Mercurio si trasforma or in una cosa or in un'altra, seguendo il suo Desire, e a misura che s'appressava al suo Desire, e finì con appressarsi alla donna che vide scendere dal monte, per mutarsi in lei. Né quel Mercurio mancò di cangiarsi in Cervo, essendo questo uno de' più significanti simboli delle antichissime iniziazioni».
Nel Medioevo non manca, inoltre, la presenza del nostro animale. In molti romanzi riveste una forte valenza simbolica. A tal proposito Louandre scrive: «I cervi e le cerve, che gli agiografi rappresentano siccome animali gentili e dolci, dotati di rara sagacia e di una specie di spirito profetico, si ritrovano con questo carattere nei poemi e nei romanzi cavallereschi. Essi si affezionano di preferenza alle donne e ai bambini, come i leoni ed i cavalli si affezionano ai guerrieri. Predicano, come vedesi nel lamento di Gugemer, l'amore e la tenerezza agli indomiti cacciatori, che passano la loro vita a correre senza posa nei boschi, non fermandosi a guardare le donne, come Ippolito prima che avesse incontrato Aricia. Adottano gli orfanelli, o riconducono sotto il tetto ospitale degli eremiti e dei monaci, come usano i monaci del San Bernardo, verso i viaggiatori smarriti in mezzo alle nevi ed alle foreste. Malgrado la loro natura pacifica, essi si associano alle gesta dei guerrieri e li guidano nelle loro avventurose spedizioni. Nella canzone dei Sassoni, un cervo passa il Reno a nuoto, per segnare all'imperatore d'Occidente il posto ove doveva porre un ponte sul fiume. Un cervo dirige la marcia dell'armata di Clodoveo contro Manio. Finalmente, allorché i saraceni invadono l'Italia e scacciano il Papa, che implora soccorso dai francesi è parimenti un cervo, il quale, scongiurato dalle preghiere di Carlo Magno, svela ai difensori del papato un passaggio in mezzo alle Alpi».
Con il trascorrere dei secoli si afferma altresì una visione scientifica che cerca di narrare gli animali secondo la loro biologia con la costruzione di una classificazione condivisa. Nel Settecento e nell'Ottocento il processo scientifico si accresce e si specializza, ma ciò nonostante non è raro imbattersi in scritti di naturalisti ancora molto lontani da concetti quale la conservazione. Nel 1873 non si ha alcuna remora a scrivere: «Nelle regioni ove l'agricoltura fiorisce, secondo le nozioni attuali non è più da tollerarsi nessuna specie di cervo. I danni che reca questo animale oltrepassano di gran lunga i pochi vantaggi che se ne possono ricavare».
Questo atteggiamento non deve comunque stupire in quanto la presa di coscienza e il senso di responsabilità nei confronti delle estinzioni di specie di piante e animali con l'affermazione del concetto di biodiversità doveva ancora venire. Non dobbiamo neppure stupirci se le rappresentazioni simboliche proseguono. È sufficiente a tal proposito citare l'etichetta di un famoso amaro che utilizza un cervo crucifero o l'apparizione, nella saga di Harry Potter, del patronus del protagonista che risolve magicamente una difficile situazione. Inutile ricordare che il patronus qui richiamato ha la forma di un cervo.