Un genere letterario dove il cervo emerge, suo malgrado, lo possiamo identificare all'interno di un contenitore più vasto che raccoglie le attività venatorie come modalità in cui un potere viene esercitato.
In questi trattati, la caccia assume spesso un valore simbolico a cui non tutti possono accedere, con la presenza di un vero e proprio rituale con le sue procedure, i suoi suoni, i suoi attori, la sua vittima sacrificale e le sue ricompense. Dobbiamo evidenziare come i contenuti di queste opere esprimano un sistema valoriale in auge nel momento storico in cui sono state composte e a questo contesto dobbiamo evidentemente fare riferimento. Il punto di vista è dunque quello di un cacciatore. Oggi molti di queste affermazioni andrebbero riviste sulla base di una rinnovata sensibilità, di un approccio scientifico diverso e di modelli culturali e sociali diversi. L'approccio da seguire durante la lettura è, dunque, quello di un confronto con un documento con valenze storiche.
Il "Libro della caccia"
Come esemplificazione di questo genere letterario prendiamo uno scritto molto conosciuto, quello di Gaston Phébus, conte di Foix (1331 - 1391) composto verso il 1387-89 con il titolo Livre de la Chasse.
Il nobile, perso il padre in giovane età, ha una vita movimentata e ama profondamente la caccia. Quanto descritto dal conte ha rappresentato per molto tempo un punto di riferimento per chiunque si sia occupato dell'attività venatoria.
Il cervo, come la renna, il daino, il capriolo e altre specie è inserito tra le bestie più dolci che pascolano e che sono gentili e nobili. Molte sono le cose dell'animale che il capo-caccia deve conoscere. Questo non è sicuramente un mestiere ozioso, chi lo fa di professione si deve alzare presto, accudire i cani, fare in modo che caccino diligentemente, deve stanare il cervo, ucciderlo, macellarlo rispettando i diritti per la spartizione e la cuyrée (la ricompensa da dare ai cani), recuperare gli eventuali cani spersi nel bosco e nelle campagne. L'oziosità è la madre dei vizi e del peccato e il cacciatore, rassicura Phébus, non è sicuramente ozioso. La caccia, quindi, seguendo il punto di vista dell'autore, acquisisce anche una valenza morale e religiosa.
Cronaca di una caccia d'altri tempi
Il capo-caccia, appena la rugiada è illuminata dal primo sole, deve muoversi per scovare le tracce lasciate dal cervo. Quindi, deve conoscere la biologia dell'animale e i segni di presenza che esemplari di sesso o di età diversi possono lasciare sul terreno. Più tardi, quando si riunirà con il signore e con gli altri convenuti, dovrà relazionare sulle impronte e sulle fatte trovate e insieme dovranno consultarsi per comprendere se le tracce sono di un grande cervo idoneo a soddisfare le ambizioni dei signori.
Salito a cavallo, il capo-caccia guida i suoi cani e appena vede il cervo comparirgli davanti, li manda a sostenere la prima battaglia a cui ne seguiranno altre, come determineranno le circostanze. È interessante notare come lo stesso uso dei termini non è neutrale: evocare la battaglia ricorda come molti nobili e cavalieri apprendano l'arte della guerra andando a caccia. L'uomo segue l'azione cavalcando e al momento giusto lancia il cane più forte e grande che possiede. Tutto questo è fonte di grande gioia e piacere che, torna a sottolineare Phébus, allontana qualsiasi tentazione di peccato o di male. Una volta preso il cervo, il capo-caccia deve procedere alla macellazione e a distribuire la giusta ricompensa ai cani, il tutto deve essere accompagnato dal buon vino che il suo signore gli avrà certamente donato. Gaston non si stanca di ripetere che occorre amare e accudire con attenzione i cani e gli uccelli da caccia. Una volta rientrato ai quartieri, l'uomo deve spogliarsi e lavarsi. In seguito può preparare una buona cena a base di lardo, di carne di cervo o di altri animali, ma soprattutto non deve mancare del buon vino. E quando avrà ben mangiato e ben bevuto sarà lieto e contento del suo operato. Altrettanto lietamente si potrà coricare al fresco della sera senza pensare di cadere nel peccato. Quando poi un capo-caccia giunge alla fine dei suoi giorni, va in paradiso, avendo vissuto in armonia con il creato.
La descrizione del cervo
Fatta questa lunga premessa incentrata su colui che deve guidare la caccia, l'autore medievale si dedica alla descrizione del cervo che viene trattato come primo animale conseguentemente al rango che gli è assegnato. È un animale comune, che poche persone possono dire di non aver mai visto. Sono bestie leggere, forti, che vanno in amore, le ruyt, verso la Santa Croce di settembre e rimangono in calore per un mese intero. Durante gli amori, i maschi combattono tra loro, a volte uccidendo e ferendo i rivali, specialmente nelle zone di foresta dove ci sono poche femmine. Un ottimo cervo può anche arrivare a essere il dominante, ma se si stanca troppo, non riesce a mantenere la supremazia e può vedersi sopravvanzato da un altro. In questo periodo cantano con il loro linguaggio, così come farebbe un uomo innamorato, e possono arrivare a uccidere cani, cavalli e uomini.
Terminato questo periodo, i maschi cercano il calore del sole, sono magri e il lungo inverno con la penuria del cibo certamente non li giova. Lasciano dunque il branco e vivono tra loro in due, tre o quattro fino a marzo, quando perdono le corna, i vecchi un po' prima, i giovani un po' dopo. In alcune occasioni un grande cervo ha insieme un compagno che viene comunemente chiamato écuyer, scudiero. Stanno così sino al mese di agosto quando nuovamente riprendono a cercare le femmine. Nel frattempo le corna si sono rinnovate. Sino al mese di giugno le loro teste (palco) sono ricoperte di pelo e di peli. Al momento giusto i cervi se ne liberano sfregando il palco contro i rami e i tronchi degli alberi. Le corna, inizialmente chiare, vengono scurite presso le carbonaie che le persone hanno lasciato nelle foreste o in altri modi. Ciononostante è possibile incontrare alcuni esemplari che le hanno bianche di natura, o nere. I piccoli nascono generalmente in maggio, nascono maculati e questa colorazione gli rimane sino alla fine di agosto quando diventano dello stesso colore del padre e della madre. A questa età sono già difficili da prendere per un levriero così come da una freccia scoccata da una balestra. Phebus si sofferma a descrivere le varie tipologie delle corna sino ad arrivare al coronato, un cervo che sembra appunto cinto da una splendida corona fatta di molteplici punte. Poi analizza le diverse forme che possono assumere gli escrementi che l'animale lascia in giro e che naturalmente il cacciatore deve saper conoscere e interpretare: le fatte possono indicare i diversi alimenti ingeriti e possono appartenere a bestie differenti. I cervi, inoltre, come gli uomini, possono essere alcuni più sapienti o maliziosi di altri. Non solo, possono essere diversi a seconda della discendenza: in questo caso sono determinanti sia il padre sia la madre. Oppure differiscono a causa del loro stato di forma, del cibo ingerito e, perché no, delle buone costellazioni celesti. Queste diversità, viene ripetuto dall'autore, valgono ovviamente anche per gli uomini e per gli altri animali.
Un vecchio e saggio cervo
Spesso, come abbiamo poc'anzi ricordato, gode della compagnia di quello che è stato definito lo scudiero. In questo modo, se braccato dai levrieri, fa di tutto per distogliere l'attenzione da sé a discapito del malcapitato compagno. Oppure cerca un branco di cerve, o tenta la fuga verso altri cervi in modo da liberarsi degli inseguitori per poter finalmente riposare un po'. Per queste ragioni occorre avere dei cani particolarmente addestrati e astuti in modo che non perdano tempo inutilmente dietro a questo o a quell'altro cervo. Quando fugge, la bestia lo fa sempre in favore di vento e questo per diverse ragioni: se corresse controvento l'aria gli entrerebbe in bocca e gli seccherebbe la gola con gran danno per l'animale stesso, inoltre, in questo modo ha la possibilità di sentire i cani che gli vengono dietro mentre gli stessi cani hanno più difficoltà a sentire lui. Infine: «Avrà la coda al vento e non il naso».
La vita del cervo e la sua caccia
Quando fa caldo, si rifugia nell'acqua dei fiumi tardando a raggiungere la riva. Questo lo fa sia per raffreddarsi sia per far perdere le tracce. Se ha distanziato i cani e non ci sono fiumi o torrenti, cerca gli stagni d'acqua per bagnarsi e quando si allontana ripassa dalla via che ha usato per arrivare alla pozza. Poi cerca un posto dove dimorare e riposare. Il cervo è longevo più di altre bestie, può raggiungere i 100 anni e più invecchia, più diventa chiaro di colore e lussurioso. E quando è parecchio vecchio, batte le zampe a terra per stanare i serpenti, poi li mangia e corre a bere: l'acqua e il veleno si mescolano facendo perdere tutti i malanni che il corpo ha accumulato rinnovandogli la carne. La testa (palco) del cervo possiede delle virtù medicinali che contrastano l'indurimento dei nervi e servono a lenire tutti i dolori, il midollo presenta le stesse peculiarità. Ha due pregi che nessun altro animale possiede come lui, compreso l'uomo: il gusto, che gli permette di distinguere le buone erbe, e la malizia e la furbizia, che gli permettono di preservare la propria vita. Le cerve, quando hanno il cerbiatto, non stanno troppo vicine ai piccoli, ma li fanno accucciare al riparo, poi, quando giudicano giunta l'ora di mangiare, li richiamano con il loro linguaggio. Evidentemente Gaston Phébus considera più che positivamente il cervo e la sua caccia e lo dimostra nelle considerazioni che esprimono il suo stato d'animo: «E' una buona caccia quella del cervo, è una bella cosa cercare un cervo; è una bella cosa seguirlo ed è una bella cosa lasciarlo correre, è bella cosa il cacciarlo, è bella cosa il ricacciarlo, è bella cosa abbatterlo sia in piedi sia in terra; è bella cosa la cuyrée, è bella cosa lo scuoiarlo, è bene distribuire i diritti tra i partecipanti, è bella e buona cosa la caccia. Ed è una bella bestia e guardando tutte le cose, ritengo che sia la più nobile selvaggina che si possa cacciare».
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