Renette, Carpendù, Carla...ma quante saranno le varietà di mele? Aggirandosi a Cavour, in occasione dell'ormai tradizionale rassegna di Tuttomele, tra gli stand dei frutticultori o davanti alla vetrina con la strega dall'aria maldestra che porge il goloso frutto a una Biancaneve svogliata, è una delle domande che naturalmente viene da porsi.
Simbolo del luogo è la celeberrima rocca. Da Oriente, pare un tutt'uno con le montagne. In realtà si tratta di un semplice inganno prospettico, ben presto svelato con l'osservazione dagli altri punti cardinali, da cui si palesa la sua vera dimensione. Scoglio solitario nel mare della piana, ultimo lembo delle montagne delle Alpi Cozie, il fenomeno geomorfologico della Rocca di Cavour è appannaggio pressoché esclusivo del Pinerolese. I sedimenti alluvionali infatti, un "materasso" spesso centinaia di metri, l'hanno isolato dalla restante catena montuosa orginaria; costituisce quindi un eccezionale esempio di "inselberg" (dal tedesco, monte-isola), ovvero un rilievo isolato, ma collegato nel sottosuolo alla più vicina catena montuosa, di cui rappresenta il naturale proseguimento.
La mancanza di repliche di tale rilevanza in terra subalpina ha motivato la Regione Piemonte a istituire nel 1980 un parco naturale, divenuto nel 1995 "Riserva naturale speciale del Parco del Po cuneese".
Settantacinque ettari appena, ma di grande interesse ambientale, geologico. E' costituita da rocce del Carbonifero risalenti a 300 milioni di anni fa; un compatto frammento di gneiss occhiadino, scampato all'azione erosiva operata da fiumi e torrenti nel Quaternario. Un tale singolare "prodotto" delle arcaiche vicende geologiche non poteva non attrarre l'uomo dei primordi, tanto da giustificare le molte leggende nate per spiegare l'origine di questo singolare fenomeno geologico.
In una di queste la rocca è descritta come un gran masso scagliato da Giove sul gigante disubbidiente Bram, che scampò alla morte grazie all'incavo sommitale. Per secoli dalla Rocca si udì un lamento, commentato dagli abitanti con l'esclamazione: "Bram à fam!" (Bram ha fame!). Di qui il nome della vetta secondaria, detta appunto "Roca 'd Bram-a-fam" (vetta di Bramafame).
Fantasie a parte, nel monotono panorama naturale della piana coltivata la Rocca di Cavour costituisce anche un'isola di biodiversità. Unica zona boscata nel raggio di una decina di chilometri, il rilievo rappresenta per l'avifauna un'oasi e un approdo ideali. Lo dimostrano le oltre 100 specie osservate, delle quali circa 50 nidificanti.
Il paese poi è un'antichissima zona di insediamento ligure e celtica (lo testimoniano le numerosissime incisioni a coppella presenti sulla Rocca) e non solo. I Romani si insediarono sul lato meridionale del monte, costituendovi un municipio Forum Vibii Caburrum, da cui il nome attuale di Cavour, nome ereditato anche dal celebre conte che di cognome faceva Benso (di Chieri) e che con la rocca poco centrava, se non per il titolo nobiliare. Di quel periodo sono stati rinvenuti, già nel secolo scorso e più recentemente, svariati reperti di discreto interesse quali anfore, lucerne, lacrimatoi e fibule.
Spicca in particolare una bella stele funeraria con figura in bassorilievo, recante l'iscrizione: "Q. Mannius / Rufi E Ste / sibi et / Primo filio / T.E!". (Quinto Mannio Stellatino, figlio di Rufo, lasciò per testamento che venisse eretta questa tomba a sé e a suo figlio Primo).
In quei tempi, dove oggi sorge la bella fontana del 1828 presso la chiesa parrocchiale, esistevano a Cavour dei bagni termali e, probabilmente, anche un tempio dedicato alla dea Drusilla (ovvero ad Asprilla flaminica) sorella di Caligola che, come afferma Tacito, era stata divinizzata dall'imperatore stesso. La città romana non aveva una grande estensione, ma controllava un'importante via di comunicazione e si trovava al centro di una vasta e fertile area agricola di cui rappresentava anche l'emporio commerciale.
Ritrovamenti archeologici casuali e scavi più sistematici, hanno rilevato come il sito di Caburrum è da individuarsi attorno all'area dove si situa oggi il complesso medievale dell'abbazia di Santa Maria. Fondata nel secolo VIII o IX, probabilmente come Priorato Benedettino, occupò l'area su cui verosimilmente sorgeva un tempio pagano. Attorno al '900 questa installazione primitiva subì la totale distruzione a opera forse dei saraceni, ma fu restaurata nel 1037, come attesta l'atto di fondazione, per volere del vescovo torinese Landolfo. Questi la dotò di numerosi poderi, nonché di alcuni villaggi dell'area pinerolese, tra cui Pinasca.
Dediti al lavoro e alla preghiera, i monaci bonificarono l'ampia zona circostante, organizzarono delle colture e, soprattutto, costruirono un importante canale (il cosiddetto "Buco del Diavolo") che, prelevando l'acqua dal Pellice, permetteva l'irrigazione delle campagne fra Cavour e Garzigliana. Contesa dal vescovo di Torino e dal Monastero di San Michele della Chiusa, a partire dalla seconda metà del XIII secolo l'abbazia iniziò a perdere gradualmente di importanza, fino ad esser ridotta al rango di semplice commenda abbaziale.
Attualmente conserva poco dell'edificio medievale, ma recenti lavori di restauro hanno permesso di recuperare alcuni lembi di affreschi antichi di pregevole fattura, coevi ad altri presenti in altre chiese rurali del territorio. Al di sotto si trova una splendida cripta protocristiana, la cui volta è sostenuta da una serie di colonnette longobarde di recupero, e il cui altare, il più antico del Piemonte, è stato ricavato probabilmente dal basamento di una colonna del tempio pagano preesistente.
L'edificio che un tempo ospitava i tini (in passato la vite aveva un estensione molto maggiore di quella che ha oggi), dove i monaci lavoravano le uve del circondario, con il contributo di fondazioni bancarie, è diventata una sala espositiva. Inoltre è stato ricollocato e riorganizzato il museo archeologico di Caburrum, che espone soprattutto materiali fittili, lapidei e funerari ritrovati durante gli scavi archeologici e che in parte furono raccolti nella seconda metà del secolo scorso dall'allora parroco. E' aperto e visitabile (gratuito) nei fine settimana, la struttura è invece sede dell'Associazione culturale "Anno Mille" che organizza mostre, concerti e altre attività culturali.
Altre importanti testimonianze si incontrano sulla sommità del rilievo. Tra queste, i resti della Torre di Bramafam e del Castello dei signori di Piossasco. I ruderi della prima si trovano sulla vetta orientale, in condizione di abbandono, e sono coevi alla costruzione delle mura di epoca medioevale, di cui esistono ancora alcuni frammenti poco più in basso della torre medesima. Inglobata dalle mura stesse, la Torre di Bramafam era un semplice punto di avvistamento. Più importante è invece la storia del castello, di cui oggi si possono osservare pochi brandelli di muro sulla cima occidentale. Nel 1592, l'edificio fu interessato dalla guerra per il Marchesato di Saluzzo tra Enrico IV ed Emanuele I di Savoia, precisamente durante la presa di Cavour da parte delle milizie del Generale Lesdiguéres.
Un riferimento d'obbligo va fatto anche ai resti delle mura medievali, visibili sul fianco est della rocca, che tanta parte ebbero nell'ostacolare i soldati del citato generale Lesdiguéres. E così alle svariate grotte che si aprono nel bosco, sul versante nord-ovest del rilievo, tra cui la
cosiddetta "Balma Pairet", detta anche "Cà ëd Peirét", dal nome dell'eremita che si dice abitasse la grotta fino agli inizi del '900. E i singolari graffiti, incisi su una liscia parete verticale poco sotto la cima occidentale del rilievo, dove, tra semplici nomi scolpiti con fogge e grafie assai diverse, si individuano con chiarezza incisioni risalenti al XVIII secolo. Un ultimo accenno merita infine la piazza della Parrocchiale, dove si concentra in pochi metri quadrati un bel pezzo di storia cittadina. Da citare anche la bella fontana posta ai piedi della cosiddetta "Scala Santa". Sebbene recente (XIX secolo), la fontana è stata edificata con l'utilizzo di elementi lapidei risalenti al periodo imperiale (i piedi della vasca), sull'area in cui un tempo esistevano con molta probabilità le terme edificate da Asprilla.
Dal parcheggio di Santa Maria la cima della Rocca è raggiungibile in meno di un'ora. Meno comoda della salita in auto, più lunga di quella normale, la passeggiata permette comunque un approccio un po' desueto alla rocca. Si deve percorrere la strada comunale dell'Abbadia poi la via antica di Saluzzo e quindi via San Sebastiano. Poco oltre l'affresco si va a sinistra, in via Cavoretto, poi ancora a sinistra in una stretta e ripida stradina (via Cavouretto) dove inizia il percorso contraddistinto dal trattino bianco.
Dopo poco sulla destra si incontra la "Pera d'la pansa", una fra le più importanti incisioni del Pinerolese. Si tratta di un curiosissimo bassorilievo, ricavato su una grande roccia, che ricorda una pancia tondeggiante, con l'ombelico in evidenza. Del monumento si conoscono pochissimi particolari, ma secondo alcuni studiosi locali potrebbe rappresentare la dea celtica della fecondità.
Continuando sullo sterrato si lascia uno stradello sulla destra per giungere nei pressi del ristorante della Grangia. Qui si prosegue sul sentiero che sale nel bosco e che raggiunge la strada asfaltata di vetta in prossimità del tornante della Cascina della Tina d'Pera.
Nei pressi del tornante successivo della strada, una bella roccia presenta invece un'altra interessante serie di coppelle. Qualche centinaio di metri ancora e si giunge al parcheggio. A destra si sale al rudere di Bramafam e a sinistra invece al giardinetto pubblico da cui si ha una bella vista sul sottostante borgo. Altre numerose incisioni a coppelle profonde si ritrovano curiosamente proprio a terra, sulle pietre limitrofe al terrazzo del ristorante in cima.La discesa si può effettuare lungo il percorso tradizionale e giunti in paese ritornare sul percorso di andata.
Programma Tuttomele: http://www.cavour.info/viewobj.asp?id=14#tuttomele