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L'elefante in una stanza. Il valore (non solo ambientale) della biodiversità

All'indomani della Restoration law, la prima legge per il ripristino degli ambienti naturali a livello europeo, la biodiversità diventa un valore ambientale, sociale ed economico da proteggere?
La risposta è sì, ma serve un cambiamento culturale che, per alcuni, è già cominciato. 

 

  • Emauela Celona
  • Maggio 2025
  • Giovedì, 15 Maggio 2025
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Al centro, “L’elefante della biodiversità”, un’installazione monumentale nata da un'idea di Almo Nature e realizzata dall'artista Andrea Morini: alto quattro metri, lungo sei, ricoperto da una pelle di cotone che rappresenta l’enorme mole di rifiuti che invade il nostro pianeta. Nelle altre immagini, alcuni momenti dell'incontro a Palazzo Ducale di Genova.  | Foto E. Celona Al centro, “L’elefante della biodiversità”, un’installazione monumentale nata da un'idea di Almo Nature e realizzata dall'artista Andrea Morini: alto quattro metri, lungo sei, ricoperto da una pelle di cotone che rappresenta l’enorme mole di rifiuti che invade il nostro pianeta. Nelle altre immagini, alcuni momenti dell'incontro a Palazzo Ducale di Genova. | Foto E. Celona

Il ripristino dei sistemi naturali è alla portata del nostro Paese. È questo in sintesi il messaggio emerso a Genova, lo scorso 9 maggio, in occasione di uno degli appuntamenti del Festival dello sviluppo Sostenibile, curato da Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura e Almo Nature – Fondazione Capellino, in collaborazione con ASviS (Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile) ospitata per l'occasione nella prestigiosa sede di Palazzo Ducale.

Probabilmente il primo passo importante è già stato compiuto nel 2022, quando la tutela della biodiversità è entrata nella Costituzione italiana: un riconoscimento legislativo, ma anche di concretezza aggiungere le parole ambiente, biodiversità ed ecosistemi all'art. 9, che ha ripagato il lavoro di tutela e protezione della natura messo in atto dai 24 parchi nazionali, gli oltre 130 parchi regionali e un sistema di aree protette marine consolidato. Un articolo che, peraltro, non solo inserisce l'ambiente nei Principi costituzionali ma affianca queste parole nuove a termini quali paesaggio e patrimonio storico e artistico della Nazione. 

Una concezione, quella della tutela della biodiversità, che necessita un profondo cambiamento culturale che, in parte sta già avvenendo. Lo dimostrano, ad esempio, i 320 milioni di euro investiti nel National Biodiversity Future Centre, uno dei 5 centri di ricerca previsti dal PNRR. Ma cosa ha innescato questo processo di cambiamento, volto a considerare gli ecosistemi un valore per l'Umanità?
Secondo Francesco Frati, docente di zoologia all'Università di Siena,  ci sono diversi fattori. In primis, ha fatto la sua parte la scienza, considerando la biodiversità in termini di servizi ecosistemici, in un contesto one health, ovvero un approccio olistico alla salute che riconosce l'interconnessione tra la salute umana, animale e degli ecosistemi, promuovendo un'azione coordinata tra diversi settori per affrontare le sfide sanitarie. Poi, la politica internazionale, con l'Agenda 2030 ratificata dall'Onu e il contesto economico che ha registrato come il 50% del PIL globale dipenda, direttamente o indirettamente, dalla natura. Infine, l'etica: basti pensare all'enciclica di Papa Francesco in cui viene definito il corretto rapporto tra l'uomo e l'ambiente.

Per contribuire a un cambiamento culturale di percezione della biodiversità, il modello praticato dagli scienziati del National Biodiversity Future Centre prevede: il monitoraggio, per conoscere le specie; la conservazione, che le preserva; il restauro, per ripristinare e mantenere gli ecosistemi. Da ultimo, non per importanza, la valorizzazione: attraverso la comunicazione, la formazione e l'educazione della società civile.

Ambiente, il pilastro che contiene gli altri

Tre sono i pilastri su cui si basa uno sviluppo sostenibile: economico, sociale, ambientale. Tre pilastri che hanno necessità di integrarsi e che sono interdipendenti, sebbene per Roberto Danovaro, professore ordinario di Ecologia al Dipartimento di Scienze della Vita e dell'Ambiente dell'Università Politecnica delle Marche, è l'ambiente a contenere, nei fatti, gli altri due.
L'Umanità è ricca e cresce se ha risorse naturali. E ciò è dimostrato dal fatto che, se queste vengono a mancare, non è possibile sostenere: una crescita della popolazione umana oltre i confini biofisici del Pianeta; l'acclarata crisi climatica su cui si discute molto senza però adottare svolte decisionali; l'erosione degli habitat che necessitano di essere ristorati.
Il rapporto Uomo e Ambiente ha raggiunto oggi un punto cruciale: il 75% degli ecosistemi terresti mondiali sono distrutti e il tasso di erosione è passato da 100 volte a 1000 volte in più rispetto a un passato pre-Uomo. Eppure, perdere biodiversità significa perdere capitale naturale, e quindi beni e servizi ecosistemici, ovvero: avere meno acqua potabile, cibo sano, aria pulita.

Innescare un cambiamento culturale significa ridurre gli impatti, e quindi mantener l'aria che respiriamo più pulita, cambiare i nostri consumi, nutrirci in modo diverso, più sostenibile. Ma significa anche proteggere ciò che abbiamo, senza essere etichettati come ambientalisti. La natura non è più un orpello vezzeggiativo per la vita dell'Uomo, ma essenziale.
Occorre restaurare: ovvero invertire il pericoloso processo di degrado ambientale intrapreso finora. Dalla presenza della biodiversità dipende la nostra salute collettiva: e se non esistono divergenze politiche sul diritto alla salute, non possono più esistere divergenze politiche sulla salute ambientale, direttamente collegata alla nostra. Guarire la Natura fa bene a noi stessi. E porta vantaggi economici: da 7 a 30 euro per ogni euro investito nel restauro ecologico. Nel momento in cui avremo chiaro che proteggiamo l'Umanità attraverso la protezione della Natura, sapremo di avere intrapreso quel cambiamento culturale, così necessario, e sul quale è tornato anche il ministro Gilberto Pichetto Fratin, ministro dell'Ambiente e della Sicurezza energetica, intervenuto alla conferenza in un video messaggio.

Una questione (anche) di comunicazione

Comunicare la biodiversità è complicato. Perché abbiamo a che fare con un 'elefante in una stanza', per citare il titolo dell'incontro, sottolineato nell'intervento di Telmo Pievani, filosofo  specializzato in evoluzione .

Comunicare la crisi ambientale significa esporre dati che sono in un allarmante trend negativo: pensiamo ai numeri sulla deforestazione, al consumo di suolo, alle specie in via d'estinzione, al proliferare di quelle esotiche che minacciano la biodiversità autoctona. Il pubblico ascolta questi trend e le misure politiche e tecniche adottate per contrastarlo e ne percepisce la sostanziale inefficacia. A peggiorare la situazione, un contesto, a livello internazionale, concentrato su altri argomenti considerati dall'opinione pubblica più importanti: il drammatico quadro globale fatto di guerre, le politiche internazionali aggressive, la crisi climatica, i dazi e gli attacchi alla scienza.

Che fare, dunque?

Una possibile strategia comunicativa è uscire dalle solite modalità, che a lungo andare generano assuefazione, e comunicare l'ambiente e la biodiversità cambiando tecniche narrative e linguaggi, ad esempio, mescolando: scienza, arte, musica, filosofia...
Uscire dai soliti contesi istituzionali e generare emozioni, non solo negative e pessimistiche. Mantenendo l'onestà e la correttezza scientifica del dato, si possono raccontare i metodi e i processi che la scienza utilizza per preservare l'ambiente.

La biodiversità, dunque, non è passata di moda. Anzi. Il Position Paper su come attuare la Nature restoration law - la normativa immediatamente esecutiva e recentemente approvata dall'Unione Europea, il cui obiettivo principale è il ripristino e la conservazione degli ecosistemi naturali degradati entro il 2050 - realizzato da Asvis e presentato a Genova, analizza nel dettaglio i principali ecosistemi, evidenziando criticità e opportunità di intervento, e formula proposte su come definire il Piano nazionale di ripristino (Pnr) in Italia.
"Restaurare anche solo il 15% degli ecosistemi degradati potrebbe ridurre del 60% la perdita di specie", ha sottolineato Enrico Giovannini, ricordando come il Regolamento europeo rappresenti un'occasione storica per rigenerare la natura in Italia, ma anche per stimolare lo sviluppo economico e creare buona occupazione.

 

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