Professoressa, quali sono gli effetti del cambiamento climatico sulla salute e come si colloca il Piemonte in questo contesto?
Sicuramente anche il Piemonte è coinvolto nella problematica del cambiamento climatico e ha già sperimentato effetti diretti nel corso del tempo, come il problema delle alluvioni con conseguenti inondazioni: quella di Alessandria nel 94, quella del 2000 e una nel 2020 che ha interessato la Val Roia. In seguito a questi eventi possono verificarsi fenomeni quali mortalità acuta, incidenti, ricoveri, ma anche effetti a lungo termine che includono situazioni di disagio mentale e psicologico, disturbo da stress post traumatico e addirittura suicidi. Un'altra conseguenza importante correlata alle inondazioni, che viene spesso considerata secondaria, riguarda le malattie infettive in genere e in particolare le patologie enteriche che possono diffondersi tramite l'acqua e gli alimenti, oltre a congiuntiviti, dermatiti e via dicendo, così come una maggiore proliferazione di alcuni insetti, ad esempio zanzare e zecche che possono essere vettori di patologie (vector borne diseases).
C'è poi la questione correlata all'aumento delle temperature e alle ondate di calore, che riguarda tutto il nostro Paese, compreso il Piemonte. A tal proposito ARPA Piemonte ha rilevato un aumento della temperatura media (soprattutto la minima e la massima) negli ultimi decenni.Infine, come è ben noto, il cambiamento climatico è attualmente associato a dei periodi fortemente siccitosi con tutte le criticità associate.
In merito alle alluvioni, ha citato le vector borne diseases. Può dirci qualcosa di più in merito?
Le vector borne diseases sono quelle patologie causate da virus, batteri e parassiti trasmesse da insetti vettori (come, zanzare, zecche, pappataci). Un esempio abbastanza conosciuto è il morbo di Lyme. Per quanto riguarda il Piemonte, dati provenienti dal SeREMI (Servizio di riferimento regionale di Epidemiologia per la sorveglianza, la prevenzione e il controllo delle malattie infettive) affermano che, per quanto riguarda questa patologia, il problema per ora è abbastanza contenuto. Infatti, i periodi caldi hanno fatto sì che le zecche siano più diffuse, ma fortunatamente la patologia è ancora abbastanza rara.
La situazione invece è più critica per quanto riguarda altre malattie, tra cui tutta una serie di arbovirosi il cui vettore è rappresentato dalle zanzare, come Culex pipiens e Aedes albopictus. La prima è competente per la West Nile, malattia considerata endemica anche in Piemonte. Viene portata dagli uccelli migratori e trasferita all'uomo e ad altri animali come il cavallo, che rappresentano però un fondo cieco per la patologia; il serbatoio è rappresentato dai volatili, tanto che vengono fatti controlli periodici su alcune specie come tortore e gazze per vedere che non siano portatrici di virus. Sono anche stati sviluppati dei vaccini per i cavalli, visto che in loro la malattia determina una sintomatologia di tipo neurologico, c'è quindi la possibilità di vaccinare in periodi critici.
E' disponibile un vaccino per l'uomo?
Per l'uomo non c'è una vaccinazione disponibile, ma al momento non varrebbe neanche la pena effettuarla visto che, se si scoprono casi positivi, si interviene direttamente sulla zona per individuare le eventuali zanzare e procedere con la disinfestazione. Il vero problema attuale è però quello della dengue, in Piemonte come in tutta Italia. Il rischio è che questa patologia stia diventando endemica, mentre fino a poco tempo fa i casi erano praticamente tutti importati. In merito alla dengue però il discorso è particolare: il vettore è tipicamente la zanzara Aedes aegypti, che non è presente da noi. Purtroppo, però, Aedes albopictus, specie che è stata importata da tempo, ha la competenza di accogliere e inoculare il virus e quest'anno si sono iniziati ad osservare dei casi autoctoni di questa patologia.
La dengue risulta quindi essere una grossa minaccia. A tal proposito sarebbe interessante sapere se una volta contratta si acquisisce l'immunità o meno.
Ci sono sierotipi diversi del virus che provoca la dengue. Ne sono stati accertati almeno quattro. L'aver acquisito la malattia per uno di questi sierotipi conferisce immunità solo nei confronti di quel sierotipo e non verso gli altri. Quindi una persona che si è ammalata di dengue per un sierotipo può contrarre la malattia per l'esposizione ad altri sierotipi. Siamo in presenza di una situazione abbastanza complicata da gestire. Il rischio è, come accennavo in precedenza, che gli innalzamenti di temperatura a lungo termine e l'aumentare della durata dei periodi caldi ne favoriscano l'endemicità. Tra tutte le patologie è attualmente quella che da noi desta maggiore allarme, anche perché quello che abbiamo sempre fatto contro queste arbovirosi non sta funzionando e non si sa esattamente come gestirla. L'unica cosa che si può fare è cercare di eliminare il vettore e seguire una tipologia di approccio One Health.
Per quanto riguarda i microrganismi che causano patologie, come sono influenzati dal cambiamento climatico?
Il problema è che il cambiamento climatico fa sì che microrganismi che non sono autoctoni di una determinata zona lo possano diventare, e quindi rendere la malattia endemica in quell'area. Questo perché trovano un nuovo habitat favorevole alla loro sopravvivenza, moltiplicazione e trasmissione. Con l'innalzarsi delle temperature e il prolungarsi dei periodi caldi, cambia la loro distribuzione e quella degli insetti vettori, che sono più numerosi e si spostano, andando verso l'alto, di latitudine e di altitudine. Si tratta di un problema molto complesso e soprattutto estremamente difficile sia da prevenire, sia da gestire.
Come accennato inizialmente, il cambiamento climatico è associato a periodi siccitosi e allo sviluppo degli incendi. Quali sono i rischi per la salute?
L'incendio di per sé è grave perché laddove si sviluppa in un periodo di siccità trova una vegetazione particolarmente recettiva e può quindi interessare areali molto ampi e durare a lungo. Questo fa sì che oltre al rischio acuto di trovarsi vicino alle zone colpite ci sia un rischio correlato all'esposizione agli inquinanti aerodiffusi prodotti dall'incendio: aumenta infatti la concentrazione del particolato PM10 e PM2.5. Questo viene poi veicolato dal vento, anche a distanze molto lunghe. Sono stati fatti degli studi proprio in Piemonte, che hanno messo in evidenza come nel 2017, in occasione di un incendio avvenuto in Alta Val di Susa, fossero state ritrovate elevate concentrazioni di polveri sottili fino a Novara. Questo significa che la popolazione può subire delle esposizioni agli inquinanti originati dagli incendi anche a grandi distanze.
Ha nominato anche le ondate di calore. Cosa può dirci più nello specifico a riguardo? Ci sono studi in merito?
Nel 2003 è stato effettuato uno dei primi studi sulle ondate di calore in varie città italiane. In queste città è stato rilevato un eccesso di mortalità rispetto all'anno precedente e questo effetto è risultato particolarmente evidente nelle città del nord-ovest, compresa Torino, cioè le città caratterizzate da inverni più freddi.
Questo studio e altri che lo hanno seguito hanno reso evidente la relazione tra ondate di calore ed eccesso di mortalità. In risposta a questo rischio recentemente sono stati messi in atto in Italia degli interventi di adattamento per contrastare i danni sulla salute provocati dalle ondate di calore.
Di che interventi si tratta?
A livello italiano sono state prodotte delle linee guida dal Ministero della salute sul come comportarsi durante le ondate di calore, soprattutto per quanto riguarda le persone con più di settantacinque anni, che sono quelle che nell'episodio del 2003 erano state maggiormente coinvolte. Le linee guida sono state fatte sia a livello nazionale, sia a livello piemontese. Devo dire che, come Regione, siamo abbastanza all'avanguardia su questo: è stato infatti creato un bollettino previsionale messo a disposizione nei periodi caldi e liberamente consultabile dai cittadini. Anche altre regioni italiane hanno adottato questa politica sulle ondate di calore, che risulta importante da un punto di vista preventivo. Questo strumento, quindi, esiste ed è molto utile, il problema è che non è molto noto alla popolazione.
Il cambiamento climatico è correlato anche a problematiche inerenti la sicurezza alimentare. In che modo?
Il cambiamento climatico può andare ad aumentare il rischio di sviluppo di alcune tipologie di tossine negli alimenti durante il processo di coltivazione. Ad esempio, può favorire lo sviluppo di micotossine (tra cui aflatossine, ma non solo) anche in campo, durante la coltivazione, oltre che durante il processo di immagazzinamento delle derrate alimentari. La faccenda è complicata perché mentre posso cercare di tenere sotto controllo la produzione di micotossine durante lo stoccaggio, è un po' più difficile riuscire a gestirle in campo. C'è quindi il pericolo che delle derrate vengano contaminate già in campo e questo si traduce in meno risorse alimentari disponibili per l'uomo, ma anche per gli animali.
Le faccio un altro esempio, inerente alle strategie di agricoltura studiate per minimizzare l'impatto ambientale, di cui si è anche discusso in Regione: vista la siccità, si stanno cercando delle modalità di irrigazione che consumino meno acqua, per coltivazioni come il riso, ma non solo. Queste modalità di coltivazione che utilizzano meno acqua però cambiano la possibilità di liberazione da parte del terreno e di assorbimento da parte della pianta di alcuni metalli pesanti, che con la modalità di irrigazione tradizionale era nota e tenuta sotto controllo, mentre con questa nuova modalità deve essere nuovamente studiata.
Si può affermare che ciò che fa bene alla salute in termini di alimentazione, fa anche bene al pianeta - come si colloca il Piemonte in questo contesto?
In realtà dappertutto siamo ancora un po' indietro nell'affrontare queste tematiche. In Piemonte e in Italia sono stati fatti degli interventi con progetti specifici nelle scuole da parte del Servizio di Igiene della Nutrizione con l'obiettivo di migliorare il comportamento nutrizionale, ma non specificatamente per le ricadute in ambito ambientale, ma con l'intento di migliorare il comportamento alimentare per la salute delle persone. Chiaro che se il comportamento alimentare cambia, cambia anche l'impatto a livello ambientale, ma non siamo ancora arrivati a un livello tale da poterne vedere gli effetti. A mio avviso potrebbe essere estremamente utile avviare dei progetti di comunicazione e informazione per la popolazione a vario livello, in modo da creare un coinvolgimento non solo per quanto riguarda le tematiche strettamente nutrizionali, ma anche per quelle che sono le ricadute positive sull'ambiente. In questo modo metteremo assieme promozione della qualità dell'ambiente con promozione della salute.
Lei pensa che gli effetti del cambiamento climatico sulla salute siano percepiti maggiormente dalla popolazione, visto che ci riguardano "più direttamente"?
Sicuramente la popolazione percepisce periodi caldi più lunghi, eventi estremi e in generale che qualcosa è cambiato e che ci danneggia, direttamente o indirettamente. È addirittura stata riconosciuta una nuova condizione nei giovani associata alla paura del cambiamento climatico, definita stress da cambiamento climatico e alla quale è stato dato il nome di solastalgia. In alcuni soggetti provoca una situazione di timore molto importante, tanto da portare in alcuni casi a vivere rinchiusi in casa.
Vuole aggiungere qualcosa per concludere questa chiacchierata?
Sono fermamente convinta che la popolazione potrebbe davvero avere un ruolo rilevante sull'attuazione delle strategie di mitigazione e adattamento verso i cambiamenti climatici. Se riusciamo a includerla nelle iniziative, ad esempio indirizzate a un miglioramento del comportamento alimentare, possiamo immaginare quale potrebbe essere l'amplificazione della ricaduta. In termini generali, se più persone comprendono l'importanza di un certo tipo di comportamento, più persone possono metterlo in atto, portando ad una maggiore rapidità dell'ottenimento di un risultato importante. In sostanza: la popolazione svolge un ruolo cruciale in questo senso.
Elisabetta Carraro è Professoressa associata di igiene generale e applicata presso il Dipartimento di Scienze della Sanità Pubblica e Pediatriche dell'Università degli Studi di Torino.