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Il Marmo artificiale di Rima

In Alta Valsesia una storia antica di arte e "sviluppo sostenibile".

  • Claudia Chiappino
  • aprile 2012
  • Lunedì, 2 Aprile 2012
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La passione per la pietra, quella autentica, naturale (ma perché, ne esistono forse altre?), ci spinge spesso a salite faticose sulle nostre montagne, alla ricerca di panorami di rara bellezza... o di se stessi. Certo, non avrei mai pensato che, in quel giorno di agosto in cui discesi serena ed appagata dalla vetta del Tagliaferro, ardita vetta Valsesiana alta quasi 3000 m, sarei incappata in una forma "artificiale" di roccia di cui non avevo mai sospettato l'esistenza; e dire che sono un ingegnere minerario... Il cosiddetto "marmo artificiale" rappresenta una delle invenzioni più originali nate nelle nostre valli alpine; i depositari della ricetta "segreta" per realizzare questo materiale furono gli artisti-artigiani di Rima, un caratteristico villaggio alpino disteso in una bella conca a quota 1417 metri in Val Sermenza. La vicenda del marmo artificiale è affascinante per tre motivi, se dobbiamo elencarli: il primo di carattere socio-antropologico, il secondo tecnico-artistico, il terzo...ingegneristico-energetico. L'emigrazione permise di regola alle comunità di montagna in tempi di crisi (argomento di estrema attualità) di diminuire le bocche da sfamare; molti abitanti di Rima riuscirono addirittura ad effettuare un salto di qualità nella scala sociale, con il passaggio dallo status di agricoltori-allevatori a quello di affermati e prestigiosi imprenditori di livello internazionale. L'industria del marmo artificiale contribuì al riscatto di una parte della comunità, che poté anche accedere a studi superiori; a Rima tuttavia i benefici non furono sentiti solo in termini di guadagno economico o di maggiore istruzione: buona parte dei proventi furono infatti investiti nell'edilizia sia privata che pubblica, per permettere a tutta la popolazione di usufruire del progresso conseguito. Il marmo artificiale prodotto aveva caratteristiche estetiche e di durevolezza uniche, tali da renderlo competitivo, addirittura vincente, nel confronto con i marmi "veri" impiegati negli interni. Se pensiamo ora che da anni si stanno affermando (come contraltare alla "globalizzazione") le moderne filosofie dello "sviluppo sostenibile" nelle filiere di produzione, rappresentate con il marchio "km zero", è sorprendente realizzare che quasi duecento anni fa, in tempi "non sospetti", questi artisti/artigiani trovarono una chiave di lettura diversa per la realizzazione di materiali pregiati da costruzione, arrivando a realizzare in loco elementi e decori "di lusso" e a dare contemporaneo impulso alla manodopera locale. La Storia Il marmo artificiale seguì fedelmente le rotte dell'emigrazione degli abitanti di Rima fin dagli anni '30 dell'Ottocento; la migrazione verso i paesi di lingua tedesca non fu casuale, in quanto i rimesi discendevano proprio da quegli antichi Walser che nella seconda metà del XIV secolo si trasferirono dal Vallese a sud delle Alpi. Le famiglie De Toma, Axerio-Piazza, Axerio-Cilies, Viotti e Dellavedova fondarono imprese giustamente note all'estero: le loro capacità imprenditoriali fece ottenere loro importanti incarichi per la decorazione di chiese, ville, palazzi governativi e alberghi. La lavorazione del marmo artificiale si diffuse inizialmente nella parte nord-orientale e centrale del vecchio continente, interessando Russia, Svezia, Norvegia, Romania, Bulgaria, Ungheria, Austria, Serbia, Germania e Francia, per estendersi successivamente a Spagna, Marocco e Algeria. Il basso costo delle materie prime rappresentò l'elemento principale di successo del marmo artificiale: alla base della lavorazione stavano il gesso e la scagliola, che avevano siti di estrazione praticamente ovunque in Europa. Si evitavano così le elevate spese di estrazione e trasporto necessarie per importare il marmo "vero". I rimesi generalmente ricoprivano il ruolo di "capo mastro", essendo di gran lunga i più qualificati a realizzare il lavoro nella parte più delicata, quella finale; solo loro erano infatti autorizzati ad eseguire i lavori di impasto, colorazione, applicazione del marmo alle superfici, o di esecuzione di particolari elementi decorativi. Molti giovani abbandonarono in quegli anni Rima per recarsi all'estero, alle dipendenze degli affermati imprenditori del marmo artificiale che li avevano preceduti con successo: molti di loro tornavano stagionalmente o annualmente alle loro case, lasciando testimonianze ancor oggi visibili di quanto riuscivano ad apprendere oltralpe. La Tecnica Il processo per produrre il marmo artificiale è lungo, delicato e difficile: mediamente, sono necessarie dalle dieci alle dodici ore per ottenerne una superficie di un metro quadro. Tradizionalmente, è utilizzato come base un impasto di scagliola lavorata con collanti, che fa presa in circa dodici ore ed è molto levigabile: l'amalgama, con l'aggiunta di pigmenti colorati, viene stesa su una tavola di composizione, sopra un telo di iuta; quando solidifica, stirando il telo, si raggrinza con la conseguente formazione di spaccature, che saranno riempite con materiali che richiamano le venature del marmo da imitare. In questo modo il composto è applicato alla superficie da decorare, che può essere quella perfettamente piana di una parete o di un soffitto, piuttosto che quella curva di una colonna. La presenza di acqua e collanti rende possibile la perfetta aderenza dell'amalgama alla superficie: a questo punto la tela viene rimossa, con inizio della fase di lisciatura, prima con una spatola di ferro e carta-vetro grossa, quindi con ben sette tipi di pietre diverse, via via più dure. La superficie viene levigata inizialmente con pietra pomice grossa, poi con pomice fine e una pietra chiamata in gergo "terza verde", che costituisce forse il passaggio-chiave dell'intera lavorazione. Si passa quindi a una pietra ollare fine della Scozia (simile a quella un tempo impiegata per affilare i rasoi), al marmo nero antico, a una pietra rossiccia dell'Elba, fino alla pietra di sangue ematite. Tutte le operazioni sono rigorosamente eseguite a mano, poiché solo l'occhio e il tatto dell'artista sono in grado di percepire il raggiungimento del risultato voluto. Una levigatura dopo l'altra, la superficie viene stuccata o pennellata con colla pura; infine, è trattata con olio paglierino e cera vergine. Sono ovviamente possibili alcune varianti, necessarie in funzione del risultato ricercato. Ad esempio, il telo di iuta accuratamente stirato era indicato per ottenere soprattutto delle venature in linea retta. Molti artisti del marmo artificiale operavano con la semplice applicazione dell'amalgama sulla superficie da decorare con una cazzuola. In questi casi, la difficoltà principale consisteva nel riuscire a mantenere uno spessore costante, senza premere troppo o troppo poco, con formazione di irregolarità difficili poi da levigare. L'applicazione diretta con la cazzuola era usuale per piccole superfici, per forme particolari, oppure per realizzare tinte speciali. Uno degli elementi architettonici più problematici da decorare con il marmo artificiale è sicuramente la colonna. L'amalgama era preparata su una tavola di composizione che aveva una superficie piana pari allo svolgimento di quella della colonna; il composto era poi sezionato in fette applicate su una tela, e quindi su assi, larghe venti centimetri e alte come la colonna. Una volta applicato alla colonna, l'impasto veniva fatto aderire lungo i bordi alla superficie intonacata, manualmente; la fase era particolarmente delicata, poiché gli artigiani lavoravano in piedi su ponteggi a più piani, dovendo fare attenzione a non urtare l'asse di appoggio. Successivamente si applicava un'altra porzione di superficie sempre della larghezza di venti centimetri, continuando in questo modo fino a rivestire tutta la colonna. Il composto, in cui comunque di base era presente un minimo d'acqua, poteva essere applicato a secco oppure dopo essere stato impregnato, lasciando filtrare il liquido dosato con maestria, in modo tale da non rovinare la composizione. Il risultato finale è comunque perfetto: l'effetto della luce è uguale a quello ottenuto su qualsiasi lastra di marmo "vero", anche se al tatto la superficie del marmo artificiale risulta più calda. Le colorazioni più richieste erano e sono: rosso di Verona, rosso di Levanto, rosso di Sicilia, blu lapislazzuli, giallo di Siena, macchia verde, verde Alpi, verde cipollino, onice italiano, rosa di Portogallo, marmo rosa, granito, beige di Botticino, marmo bianco di Carrara, porfido. Le opere per apprezzare dal vivo le splendide creazioni sparse sul territorio nazionale, è irrinunciabile un giro in alta Valsesia, con naturale prosecuzione a "caccia di opere d'arte" nelle 3 principali città di pianura dove si spinse la creatività dei maestri rimesi. A Rima si trovano lo Chalet Ragozzi, l'Albergo Alpino, la Chiesa di San Giovanni Battista, l'Oratorio di Sant'Anna; a Varallo la splendida Villa Virginia; a Novara la Scuola delle Suore del Sacro Cuore, a Torino la Chiesa di San Giovanni Evangelista, a Milano la Pinacoteca Di Brera, con le imponenti Sale Napoleoniche.

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