In termini scientifici, la diminuzione della popolazione mondiale di anfibi è racchiusa nella sigla GAD (Global Amphibians Decline) e su di essa ha un grande impatto un'infezione fungina, la chitridiomicosi.
La diffusione dell'infezione
Questa infezione, individuata per la prima volta nel 1998 in Centro America e in Australia, oggi è diffusa in tutti i continenti e colpisce centinaia di specie di anfibi. Individuata come causa d'estinzione totale di 90 specie, è stata rilevata su oltre 500 specie di anfibi quale fattore di evidente calo demografico e di estinzioni locali. La maggior parte degli scienziati, attualmente, ritiene che i funghi responsabili della patologia, ovvero Batrachochytrium dendrobatidis e B. salamandrivorans, siano originari dell'Africa e/o del Sud est dell'Asia e che siano stati portati dall'uomo in giro per il mondo.
A partire dagli anni '90 del secolo scorso, l'infezione è stata via via riscontrata in un numero sempre crescente di Paesi europei, dimostrando una portentosa capacità di diffusione ed elevata letalità in seno alle popolazioni. In Italia la prima segnalazione risale al 2002. Da allora numerose specie di anfibi sono risultate sensibili al patogeno. Al momento mortalità massive sono state documentate per il Discoglosso sardo nel Nord della Sardegna.
La presenza in Piemonte
Siamo tristemente consapevoli che, ad oggi, la diffusione del chitridio potrebbe portare gravi problemi per la conservazione degli anfibi in tutte le nostre regioni, Piemonte compreso. Nel giugno del 2023, infatti, è stata riscontrata da Marco Favelli - ricercatore indipendente nell'N.G.O "Zirichiltaggi" Sardinia Wild Life Conservation - la presenza del patogeno anche all'interno dell'area dei laghi nel Parco naturale La Mandria, situato nella prima cintura della città di Torino. L'Ente parco ha attivato subito uno studio epidemiologico per verificare quanto la patologia fosse diffusa nell'area protetta che ha dato esiti preoccupanti in quanto la patologia è risultata presente in tutta l'area protetta della Mandria e in quella della Vauda.
Come si riproduce e come possiamo ridurne la diffusione?
Per rispondere a queste domande dobbiamo approfondirne il ciclo di vita. La chitridiomicosi è un'infezione fungina, causata da Batrachochytrium dendrobatidis e B. salamandrivorans, che si diffonde attraverso l'acqua, tramite zoospore flagellate, vale a dire provvisti di "code" che, muovendosi, ne consentono gli spostamenti. Sfruttando questo mezzo, le spore possono percorrere in pochissimo tempo grandi distanze fino a raggiungere il proprio obiettivo, la pelle umida e ricca di affossamenti di un anfibio, in cui rapidamente riescono ad "incistarsi", cioè a insinuarsi in modo stabile. La virulenza delle spore può persistere per diverse ore in ambiente umido mentre, in ambiente secco, è persa dopo circa 30 minuti.
Questa malattia è mortale per molti anfibi in quanto, insinuandosi nella pelle della vittima, si lega stabilmente alla cheratina, una proteina che è tra i componenti della cute. Nel corso del suo metabolismo, il patogeno libera dei cataboliti (prodotti di scarto del metabolismo) che si accumulano nel sangue dell'animale infetto, arrivando ad avvelenarlo. Se nei mammiferi, come del resto è l'essere umano, qualche poro della pelle ostruito può generare fastidio, prurito e magari un punto nero o un brufolo ... negli anfibi ha conseguenze talvolta letali. La pelle di questi animali, non ha le sole funzioni di protezione, termoregolazione ed isolamento degli organi dall'ambiente esterno, ma anche un ruolo nel sistema respiratorio. Gli anfibi infatti, grazie ai pori presenti negli anfratti della loro sottile membrana epidermica, la "pelle appunto", possono scambiare i gas e l'ossigeno. Se questa funzionalità viene compromessa, l'animale risulta indebolito e può sviluppare sintomi evidenti, come ulcerazioni, talvolta localizzate, sulla punta delle dita, e scolorimenti nella pelle.
Proprio questi sono i sintomi riscontrati nel 2005 dal biologo Stefano Bovero, consulente per l'erpetofauna ed ittiofauna dell'Ente Parchi Reali e ricercatore indipendente nell'N.G.O "Zirichiltaggi" Sardinia Wild Life Conservation, durante i suoi rilevamenti in Sardegna, nell'ambito di un progetto di ricerca sulla diffusione della chitridiomicosi nell'isola in collaborazione con la Zoological Society of London, leader mondiale per lo studio delle patologie degli Anfibi.
In Sardegna la patologia colpisce importanti specie endemiche come il tritone sardo /Euproctus platycephalus), la raganella sarda (Hyla sarda) e il discoglosso sardo (Discoglossus sardus). Quest'ultima specie risulta particolarmente sensibile e sono state osservate morìe di massa. Nel comprensorio del Parco La Mandria al momento sono state rilevate morìe di massa nel rospo comune (Bufo bufo) e mortalità individuali di rana verde (Pelophylax sp.).
Il ritrovamento piemontese nel Parco La Mandria è un caso certo di infezione da chitridio in quanto molti campioni sono stati analizzati dal laboratorio dell'Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte e Valle d'Aosta. E' un campanello di allarme importante perché la presenza di animali infetti in tutto il Parco La Mandria e nella Riserva della Vauda fa presumere che la malattia sia ampiamente diffusa a livello regionale.
Quali i prossimi passi da seguire?
Nei prossimi mesi sarà necessario identificare, attraverso una ricerca mirata, quali sono le aree già colpite dal patogeno per produrre protocolli per evitarne la diffusione ed identificare strategie per mettere in sicurezza le specie anfibie di particolare interesse conservazionistico come per esempio il Tritone Crestato italiano (Triturus carnifex). Solo analizzando gli animali colpiti si potranno evidenziare le differenze nella sensibilità al parassita e si potrà valutare quale strada intraprendere per arginare il fenomeno.
Il patogeno non è pericoloso per l'uomo, ma non per questo si può abbassare la guardia. Se si avvista un individuo morto, o morie di massa, è importare scattare una foto annotando luogo e data del ritrovamento e contattare via e-mail la Commissione Conservazione della SHI (Societas Herpetologica Italiana) all'indirizzo Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.. Se l'avvistamento è all'interno di un'area protetta è anche consigliato avvisare i gestori dello spazio che potranno così raccogliere un campione su cui effettuare i test del caso.