Eccoci ora alle prese con la Rana temporaria, o come la chiamano gli inglesi, la "common frog". Talvolta mi chiedo perchè i figli di Albione debbano aggiungere quell'aggettivo "comune" a (quasi) ogni creatura vivente? Forse perché, in effetti, è l'unica rana autoctona che hanno la fortuna di avere a casa? Noi italiani, invece, con la nostra lingua figlia diretta del latino, possiamo permetterci di essere appena un po' più sofisticati e chiamarla con nomi diversi. Tanto per dire, la chiamiamo rana montana, rana alpina o, se ci sentiamo particolarmente scientifici, semplicemente rana temporaria. Non "comune", grazie mille. Ma veniamo al punto cruciale: chi caspita è codesta rana? Beh, è una tipica rana rossa o bruna, di quelle che di solito troviamo nei boschi, nei prati umidi e, appunto, in montagna. In realtà di rosse sul nostro territorio (nazionale e regionale) ne abbiamo altre tre, di cui parleremo nei prossimi appuntamenti alla Sherlock e di cui ho già dato una overview qualche tempo fa. La rana temporaria si riconosce (di solito) non tanto facilmente dalle altre rane rosse: come loro ha un colore che va dal marrone al rossiccio, però ha un muso un po' corto (di solito, vd. dopo), però il suo colore è piuttosto variabile, dal giallo al marrone scuro, con sfumature rossastre, un'aria da "io sono qui da prima che tu nascessi". Poi, ha una macchia scura a livello del timpano, cosa che probabilmente ha portato il mitico Carletto Linneo nel suo Systema Naturae a darle il nome, per l'appunto, di temporaria (ma questa macchia ce l'hanno anche le altre "rosse", il che forse non aiuta). La Rana dalmatina, rana agile o saltafoss o pisacan (in dialetto padano), è quella che forse più le assomiglia, anche per le dimensioni simili (circa 70-90 mm), mentre le sue zampe posteriori sono più lunghe di quelle della rana temporaria, ed affiancate al corpo superano ampiamente la punta del suo muso.
I miei primi ricordi della Rana temporaria
In Italia la nostra anfibia ha deciso di vivere (spesso) in montagna, lontana dal caos delle città e dalle pianure affollate. Io, da giovane naturalista in erba, ho avuto il privilegio di incontrare più volte questa signora anfibia innanzitutto nella "mia" Valsesia, tra torrenti e laghetti alpini. Il Torrente Basasca dietro casa mia a Isolella è stato il mio primo laboratorio naturalistico a cielo aperto. Il vero spettacolo arrivava - come sempre - durante il periodo riproduttivo, tra febbraio e marzo (ma anche oltre a seconda dell'altitudine). È allora che la Rana temporaria si trasforma in una rockstar: decine di individui si riuniscono in laghetti come quello dei rospi o di Sant'Agostino a Varallo Sesia, pronti a dare vita a una nuova generazione di ranocchi, passando dalla fase "girino", ovviamente.
Le abitudini riproduttive
La Rana temporaria è una maestra nell'arte della fantasia riproduttiva. Queste rane tradiscono principalmente la loro presenza in due modi. Primo, si radunano in massa durante lo scioglimento delle nevi, pronte a deporre le uova, che poi sono quei grossi ammassi gelatinosi che sembrano usciti da un film di fantascienza. E già qui c'è qualcosa di epico: una sorta di riproduzione esplosiva in mezzo ai laghetti alpini e prealpini, con tanto di cori notturni. Il vero spettacolo inizia però con la deposizione delle uova. Alcuni maschi, infatti, non si accontentano di fare il loro dovere con le femmine. No, loro devono andare oltre. Si radunano attorno alle uova come se fossero dei fanatici ad un concerto, e qui arriva la parte più bizzarra: non si accoppiano solo con le femmine, ma addirittura direttamente con le uova! Il mio amico David R. Vieites, erpetologo del CSIC Museo Nacional de Ciencias Naturales di Madrid, ha studiato questo fenomeno e gli ha dato un nome che è già leggenda: "clutch piracy", ovvero "pirateria delle ovature", pubblicando il tutto sul giornale Nature.
La Rana temporaria, quindi, non è solo un anfibio, è una specie di filosofo, di un pirata, di un artista della riproduzione. Questi anfibi sono dei veri maestri nel trasformare l'atto della riproduzione in uno spettacolo degno di un film. Partiamo dai suoi canti a bassa frequenza. Sì, perché queste rane non si accontentano di gracidare al vento come le loro cugine verdi più comuni ma emettono dei mugolii ritmati sott'acqua, come se stessero cantando una canzone d'amore in una vasca da bagno. In Val d'Ossola ho avuto una volta il privilegio di assistere a questo concerto subacqueo. Decine di rane intente a deporre uova a tutto spiano, mentre i maschi cercavano disperatamente di accoppiarsi con qualsiasi cosa si muovesse. I miei cari amici Abbondio e Silvia Svanella, dalla Valtellina, mi hanno recentemente mandato alcune foto che sembrano uscite da un manuale di biologia surrealista: maschi di Rana temporaria che si accoppiano con salamandre pezzate! Niente specismo per favore, solo il puro e semplice desiderio di trasmettere quei geni egoisti di cui parlava il grande Richard Dawkins. Solo che a volte ci si sbaglia ibridi tra rane e salamandre non ne conosciamo (ancora)! E quindi i geni rimangono con un palmo di naso. Perché, in fondo, l'evoluzione non è solo una questione di buone maniere, ma di sopravvivenza. La natura non è morale, non è romantica, è semplicemente pratica. E la Rana temporaria, con i suoi tentativi goffi di accoppiarsi con chiunque, ce lo ricorda in modo spassosamente efficace.
Anfibi di montagna, anfibi di pianura
Ecco, arriviamo adesso a un capitolo affascinante della storia naturale italiana: la Rana temporaria, quella che tutti noi credevamo fosse una specie esclusivamente montana, invece ha un passato (e un presente) più complesso e intrigante. Fino a pochi decenni fa, infatti, eravamo abituati a pensare a questa rana come a un abitante delle Alpi e delle Prealpi, una specie legata ai laghetti alpini e ai torrenti di montagna. Ma la natura, come sempre, ama sorprenderci. Negli anni '80, i cari amici Giovanni "Gion" Boano e Giovanni "Gianni" B. Delmastro, rispettivamente direttore e conservatore del Museo Civico di Storia Naturale di Carmagnola, mi contattarono per collaborare con loro a uno dei primi studi approfonditi sulla distribuzione e sull'ecologia delle rane rosse. Questo museo, tra l'altro, è un vero e proprio tempio della biodiversità, un luogo innovativo dove è anche nata l'Associazione Naturalistica Piemontese e dove viene ancora pubblicata la mitica Rivista Italiana di Storia Naturale. Insomma, un luogo dove la scienza e la passione per la natura si incontrano e danno risultati eccezionali. I dati che Gion e Gianni avevano raccolto erano straordinari, e molti di questi sarebbero poi confluiti nell'Atlante degli Anfibi e dei Rettili del Piemonte e della Valle d'Aosta, e successivamente nell'Atlante Nazionale. Tra questi dati, spiccavano le osservazioni di rane temporarie di pianura, una scoperta che ha sfidato la percezione tradizionale di questa specie. Gianni, nel corso delle sue instancabili escursioni notturne sul territorio piemontese, aveva trovato popolazioni di Rana temporaria nelle campagne di Racconigi in provincia di Cuneo. Queste rane, tipicamente considerate montane, sopravvivono ancora in alcune aree planiziali, probabilmente grazie a condizioni ambientali ancora idonee. Una testimonianza preziosa di come la distribuzione delle specie possa cambiare nel tempo, spesso a causa delle trasformazioni del territorio operate dall'uomo. Pubblicammo rapidamente queste osservazioni su un giornale che all'epoca (parliamo del 1987) era innovativo: pagine patinate e tante foto a colori. Guarda caso si chiamava Pianura ! Questa situazione non è unica. Già nell'800, ricercatori come Michele Lessona e Lorenzo Camerano avevano evidenziato come molte specie oggi considerate montane un tempo vivessero anche in pianura. Per esempio, avevano trovato lucertole vivipare lungo il Po, vicino a Torino. Oggi, purtroppo, queste popolazioni sono apparentemente scomparse, ma al Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino conserviamo ancora i loro reperti in alcool, testimonianze preziose di un passato che difficilmente tornerà. Insomma, la Rana temporaria ci dice che la natura è a volte banale, ma dinamica, e che il lavoro di ricerca e conservazione è fondamentale per preservare queste storie. Grazie a studiosi come Gion, Gianni e tutti coloro che dedicano la loro vita a comprendere e proteggere la biodiversità, possiamo continuare a scoprire e raccontare queste meraviglie a beneficio delle generazioni future.
L'abbiamo perfino trovata nelle Langhe, anche se le popolazioni presenti sembrano un po' diverse da quelle delle Alpi e Prealpi: più longilinee, con zampe più lunghe e muso piuttosto appuntito (contro il muso ottuso delle rane di montagna). Il gia' citato Lorenzo Camerano aveva denominato queste due forme di rane temporarie con gli affascinanti e un po' barocchi nomi di obtusirostris (di solito quelle di montagna, tipiche, con muso per l'appunto, corto e arrotondato) e acutirostris (di solito quelle di bassa quota a di pianura, con museo appuntito). Per un po' abbiamo pensato/sperato che fossero (magari) addirittura due specie diverse, ma alla fine abbiamo capito che erano "solo" dei cosiddetti "ecotipi". Comunque, decine di acutirostris le ho osservate nelle "pozze degli ungulati" al Parco Safari delle Langhe a Murazzano. Il mio amico Davide Marino, l'Indiana Jones degli anfibi, qualche anno fa ne ha trovate anche sulla Collina di Torino.
Le rane temporarie hanno anche i loro guai. Malattie emergenti, per esempio. In Piemonte, al "Lago delle rane" (un nome originale), si sono verificate vere e proprie ecatombi. Probabilmente colpa di batteri come Aeromonas hydrophila and A. sobria, solitamente associati alla malattia definita "red legs disease", che ha trasformato il paradiso in un incubo.
* Franco Andreone è Conservatore di Zoologia al Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino, membro del gruppo di coordinamento dell' IUCN/SSC Amphibian Specialist Group e Focal Person per l'Italia di IUCN/SSC